Le mie competenze: scrittura autobiografica, comunicazione, copywriting, social media, competenze digitali.

Sulla pelle delle bambine

Come vi ho già raccontato in altri post mi arrivano spesso mail promozionali non richieste (leggi: SPAM).

Alcune semplicemente le cestino.  Altre mi colpiscono come pugni nello stomaco. Quasi sempre perché dimostrano una piena adesione al “nuovo” modello femminile che sta prendendo il sopravvento. Abbiamo fatto un salto indietro di almeno 50 anni in quanto a immagine della donna e la forbice delle persone/target prese di mira dalla pubblicità si è così allargata che ormai anche le bambine sono delle piccole donne. Anzi no. Piccole consumatrici che devono aderire al modello povero e estetizzato di donna.

Ecco allora che se ricevo una mail come quella di cui vi cito l’incipit, come mamma, come persona e come donna TREMO.

Che sia difficile uscire dal ruolo di consumatori è chiaro, che noi come consumatori possiamo esercitare spirito critico e decidere di mettere davanti alla proposta patinata il VERO benessere dei nostri bambini lo è altrettanto.

Nessuno può impedire a questi MARCHI di vendere questi prodotti, ma noi genitori possiamo SCEGLIERE di non acquistarli, di mandare un segnale forte per cambiare il trend.

Siamo sicuri che sia proprio questo che serve al benessere delle nostre figlie?

Buongiorno Francesca,
avremmo desiderio di inviarle un campione della nostra nuova crema per bambine “…”.
Saremmo felici se tu la provassi e, se ti piace, condividessi le tue opinioni con i tuoi lettori. Si tratta infatti della prima crema appositamente studiata per bambine: non un prodotto per bebè, ma per “piccole signorine” dai sette-otto anni in su.
A quell’età le bambine iniziano ad imitare le loro mamme davanti allo specchio, si mettono le creme, si truccano….è l’età ideale per insegnare loro, per gioco, gesti e abitudini che saranno importanti per il loro futuro benessere. Ad esempio, l’abitudine di proteggere e idratare la pelle del viso.

Domande/affermazioni che girerò anche privatamente a chi mi ha mandato la mail:

  • perché una crema dovrebbe rivolgersi solo alle bambine e non ai bambini? Se l’obiettivo è il benessere della pelle, il sesso non dovrebbe fare distinzione.
  • le bambine a 7/8 anni sono bambine non piccole signorine

E voi cosa ne pensate?

Spero che siano contenti: per la prima volta ho risposto all’appello del marchio e ho realmente parlato sul mio blog del loro prodotto. E non hanno nemmeno dovuto inviarmelo.

 

Secondo lo Iap l’arte di Cattelan su Wired (in contesto pubblicitario) è offensiva!

Sarà stata pure arte quella di Cattelan – come in molti hanno scritto nei commenti al post – ma a seguito della mia segnalazione allo IAP  della pubblicità in terza di copertina sul numero di gennaio di Wired – Italia , ecco cosa mi scrive lo IAP oggi:

Segnalazione messaggio pubblicitario “Disaronno celebrate the 4th edition of TOILETPAPER Magazine” rilevato su Wired data copertina – gennaio 2012 

Desideriamo informarLa che, il Comitato di Controllo, esaminato il messaggio pubblicitario segnalato, ha deliberato di emettere ingiunzione di desistenza per violazione dell’art. 10 – Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona – del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale

A fronte del suddetto provvedimento autodisciplinare l’inserzionista ha confermato che la comunicazione contestata non verrà più riproposta su alcun mezzo. 

Può rinvenire il contenuto del provvedimento inibitorio (n. 4/2012/ING) nel nostro sito internet www.iap.it, nella sezione “Le decisioni del Giurì e del Comitato di Controllo”. 

RingraziandoLa per l’apprezzata collaborazione, porgiamo i nostri migliori saluti.

 I.A.P.

La Segreteria

Non mi è ancora arrivato il numero di febbraio della popolare rivista, ma mi hanno detto che si parla anche della polemica nata dal mio post e che la Redazione si impegna a una maggiore presenza di contributi femminili. Ne sono contenta.

Forse con i blog non si cambia il mondo, ma se possiamo iniziare un dialogo proficuo che contribuisca, anche se poco, a una maggiore sensibilizzazione sulla necessità di non naturalizzare stereotipi, anche attraverso questi mezzi, io – come blogger – sono già molto contenta.

Grazie allo Iap e anche a Wired per la disponibilità.

Io comunque rimango alle calcagna 😉

Women in Digital: Bologna

[Come hanno gestito, le donne, le potenzialità offerte dal mondo digitale? ]

E’ questa la domanda da cui prende l’avvio il convegno che si terrà venerdì 20 gennaio 2012 al MamBOdi Bologna per una giornata dedicata alla scoperta del rapporto tra donne e tecnologia digitale. Io ci sarò e credo che si tratti di un appuntamento interessante, un punto di vista diverso e fondamentale per capire l’ecologia dell’innovazione italiana e le potenzialità dei nuovi paradigmi offerti dal digitale.

Se il web non è solo per uomini, O-one vuole, con ‘Women in Digital’, approfondire il tema di come le donne, in ambito lavorativo ma non solo, si avvicinano e utilizzino le tecnologie digitali, oggi sempre più diffuse e presenti nella vita quotidiana.

Mattina

Nel corso della mattinata, attraverso la presentazione di alcune case history, si darà la parola a donne che, grazie alla comunicazione digitale, hanno saputo produrre innovazione e connessione.

Pomeriggio

Nel pomeriggio l’evento si tramuterà in tavola rotonda per dare spazio a considerazioni, commenti ed esperienze sulla possibilità, con le tecnologie digitali, di investire in un futuro differente.

Interventi

All’evento patrocinato dal Comune e dalla Provincia di Bologna, saranno presenti quali relatrici nel corso della mattinata, Laura Pezzotta Brand Connection Nike Italy, Vittoria Michielotto Senior Product Manager GSK Consumer Healthcare, Sara Pupin Web Communication Manager Bricocenter, Roberta Barba FGA Web Marketing Manager, Francesca Musolino Global Digital Marketing Manager at New Holland. Interverranno invece nella tavola rotonda pomeridiana, moderata da Cecilia Pedroni Direttore e Client Manager di Dr.O-one e Linda Serra Digital Strategist di Dr.O-one: Micaela Calabresi Web Editor & Sales at Pde S.p.A. | Effe 2005, Leda Guidi Responsabile dei “Servizi di Comunicazione con i cittadini” del Comune di Bologna e Project Manager della rete civica Iperbole Anna Piacentini Presidente & Business Developer at People 3.0 e Manager Emilia IN, Lidia Marongiu, Consulente Studio Giaccardi &Associati e amministratore G&M Network Srl, Organizzatrice di Ravenna Future Lessons, Roberta Chinni Project Manager per Bologna Children’s Book Fair.

 Per iscriversi

L’evento è aperto al pubblico e per partecipare è necessario iscriversi a questo indirizzo http://womenindigital.eventbrite.com/ ; sarà comunque possibile partecipare registrandosi il giorno stesso al desk di accoglienza.

La parte dedicata alle case history avrà inizio alle ore 11, dopo una breve introduzione di Gianfranco Fornaciari (ore 10.30) CEO di O-one; sarà poi offerto un piccolo rinfresco ai partecipanti per proseguire con la tavola rotonda pomeridiana alle 14.30.

Sponsor dell’evento Bper (Banca Popolare dell’Emilia Romagna) e Smemoranda.

 

 

Pratiche di ascolto della Rete

Il passaparola in Rete certe volte funziona e quando in tanti rilanciamo idee e le rafforziamo aggiungendo del nostro, l’onda d’urto può diventare davvero efficace. Oggi per fare cittadinanza attiva occorre saperlo, se no si rimane relegati in piccoli orticelli la cui efficacia lascia il tempo che trova.

Ultimamente i segnali di ascolto stanno aumentando in maniera direttamente proporzionale alla percezione che ascoltando le voci della rete si possa migliorare, invertire il passo, evolvere.

Il convegno su Twitter

Dopo l’acceso dibattito su Twitter relativo all’opportunità di organizzare un convegno dedicato a twitter stesso in cui tra i relatori non compare nemmeno una donna, è Riccardo Luna ad annunciare che le critiche in rete hanno “salvato” il convegno: la locandina viene modificata e vengono invitate Claudia Vago e Alessandra Giraldo.

Il Bar su Frecciarossa

Trenitalia, che ha già subito un intenso attacco on line per un’immagine in una pagina web considerata razzista, dopo aver ritirato quella, si è trovata di nuovo al centro dell’attenzione perché i bar del Frecciarossa – diviso in 4 livelli di servizio – erano vietati ai titolari di biglietto standard (la tariffa più bassa). Sui Social Network è iniziata la rivolta e Trenitalia ha dovuto fare un passo indietro, giustificato con questo comunicato:

“A poco più di un mese dalla partenza del nuovo Frecciarossa 4 livelli, il servizio della carrozza bar-ristorante sarà disponibile a tutti i clienti. Si tratta di una scelta commerciale adottata dopo questo primo periodo di sperimentazione e dopo aver raccolto i commenti e i suggerimenti dei viaggiatori, anche attraverso il web. Questo conferma la volontà di Trenitalia di offrire un servizio sempre più a misura di tutti e rispondente alle esigenze di un mercato in continua evoluzione”. (fonte Repubblica)

Il boicottaggio di Omsa

Il tam tam della rete ha fatto girare la notizia,  tanto che il boicottaggio del marchio Omsa – che ha licenziato in tronco 239 lavoratrici di Faenza – sta diventando una cosa davvero seria. Pare che la stessa Coop Adriatica non escluda di partecipare attivamente, rifiutandosi di vendere i prodotti serbi.

Queste notizie confermano come si possa usare la Rete in maniera efficace e come l’ascolto sia FONDAMENTALE.

Tutti possiamo sbagliare, ma non bisogna dimenticare il nostro potenziale attivo, ovvero la capacità di agire come consumatori responsabili (anche quando siamo un marchio come Coop) e come cittadini che sanno trovare l’umiltà di ammettere i propri errori (Convegno, Trenitalia) e sanno fare buon uso delle critiche.

Continuiamo così!

Rappresentanza femminile

Stando ai dati del Censimento 2001 (quello del 2011 deve essere ancora completato) in Italia ci sono 100 donne ogni 93,8 uomini (fonte Censimento2011.blogspot).

Eppure

Eppure la rappresentanza femminile in azienda, sui Media (giornali, tv) e nella società è sempre nettamente inferiore a quella maschile.

Siamo proprio sicuri che l’emancipazione non si realizzi reclamando spazi, come ha scritto qualcuno in un commento al mio post Wired e le donne? Siamo sicuri che in questo paese non ci sia invece bisogno di fare emergere questa ANOMALIA che configura e racconta un mondo fatto dagli uomini per tutte le persone?

Nessuno crede nelle quote rosa a tutti i costi, lo si ripete di continuo, lo sento dire da uomini e anche da donne. Anche io ero perplessa fino a qualche mese fa. Ma siamo sicuri che non stiamo scambiando ipotetiche quote rosa con qualcosa di più complesso, ovvero una rappresentanza femminile che rappresenti la totalità del mondo? Siamo sicuri che – visto che in Italia – non riusciamo a ottenerla naturalmente, non possa essere utile “imporla” per legge, almeno a certi livelli (consigli di amministrazione, quote in azienda)?

Le due notizie di oggi, che hanno fatto scaturire questa riflessione sono:

Una recente ricerca mette in relazione i compensi più bassi delle donne con una minore POSSIBILITA’ di FARE RETE con persone influenti, possibilità nettamente superiore per gli uomini. Io sono sempre più convinta che sottovalutiamo (per comodo o per pigrizia) la fondamentale importanza della RAPPRESENTAZIONE che si traduce in RAPPRESENTANZA di tutti gli attori coinvolti.

Wired e le donne

[Si può davvero parlare di innovazione e di come cambiare il mondo cadendo in questi triti stereotipi?]


In famiglia siamo abbonati a Wired Italia dal primo numero, di febbraio 2009. Entrambi ci occupiamo di web e Media, gli argomenti trattati ci interessano molto. Io seguo progetti editoriali dedicati all’innovazione: naturalmente Wired è una fonte preziosissima.

Mi dispiace però constatare (e ormai accade, puntualmente, mese dopo mese) che lo spazio dedicato all’innovazione al femminile è molto esiguo. Mi è piaciuto molto, ad esempio, l’articolo sulle Dieci tecno-donne da tenere d’occhio  del mese di agosto 2011, in cui si rilevano nomi importanti nel panorama innovativo mondiale, questi contributi sono però una rarità: sfogliando e leggendo la rivista si ha la sensazione che il panorama della cultura “geek” in Italia, ma non solo, sia dominato dai maschietti.

E non è solo una questione di temi.

Le firme della rivista sono per la maggior parte di uomini e basta guardare alla pagina che ogni mese viene dedicata ai collaboratori, per rendersi conto che i volti femminili sono sempre molto pochi, se non assenti.

Se è vero che le Start Up sono prevalentemente fondate da uomini (nel 2011 87% uomini contro 13% donne – fonte Mind the Bridge) è pur vero che esistono molti casi di eccellenza e che i progetti per favorire l’uso delle tecnologie e la messa in pratica della propria creatività innovativa che si rivolgono alle donne sono moltissimi  e sarebbe interessante dare conto anche di quelli.  Mi viene in mente, per restare in Italia, Daniela Ducato, vincitrice del Premio “Miglior innovatrice 2011” di Itwiin Italia 2011.

Questo mese, però, durante il consueto censimento mentale che faccio – mentre scarto la rivista dal cellophane – degli articoli che riguardano le donne o parlano di progetti di donne, ho dovuto ricredermi.

Un’intera pagina – anche se in battuta finale – è dedicata a noi.

Inutile dire che ho immediatamente segnalato allo IAP: non credo che un “culo” usato per appoggiare una bella carta da gioco sia davvero sostanziale per vendere l’amaro. Inutile dire che se volete farlo, potete anche voi.

Inutile ricordarvi che siamo tutti CONSUMATORI ATTIVI e possiamo decidere di non acquistare prodotti che ci offendono o promuovono un immaginario stereotipato e che come LETTORI possiamo scrivere a Wired e chiedere conto delle sue scelte inserzionistiche per decidere attivamente.

Non so perché, ma unendo i puntini, come donna comincio a sentirmi davvero a disagio nei confronti di questa rivista.

Si può davvero parlare di innovazione e di come cambiare il mondo cadendo in questi triti stereotipi?

Per segnalare allo Iap

  • precisare che si tratta della pubblicità “ToiletPaper” di Di Saronno, pubblicata in III di copertina di “Wired” , gennaio 2012
  • se volete potete inserire il link alla foto che ho fatto della pubblicità in rivista

Women in digital

Approfitto del tema per segnalare un interessante convegno, a cui io mi sono già iscritta che si terrà a Bologna il 20 gennaio 2012, al MaMBO:

Women in digital: donne e ICT hanno molto in comune

Piccoli stereotipi crescono

Ieri io e il mio compagno siamo andati in un negozio di giocattoli. Domenica la nostra bambina compie 5 anni e volevamo dare un’occhiata, pur avendo già le idee molto chiare su cosa regalarle.

Sono arrivata all’appuntamento con il non marito in anticipo e così mi sono messa a girovagare.

C’erano un sacco di persone che stavano comprando i regali di Natale. Quando chiedevano a una commessa un oggetto specifico, la sua prima domanda era sempre “Per un maschio o per una femmina?”. In molti negozi i giocattoli sono declinati al femminile e maschile grazie all’associazione con personaggi amati dai bambini e personaggi amati dalle bambine. Succede così per tutto, ad esempio anche per una chitarra giocattolo.

Ho fotografato i giochi dei due “reparti”.

Ho fotografato solo i giochi che nell’imballaggio rappresentavano chiaramente immagini di bambini.  I prodotti raccolti erano quelli più in evidenza.  Il packaging – lo sappiamo – è FONDAMENTALE per vendere un prodotto.

Giochi per bambine

  1. Bambolotto con kit per la piccola dottoressa – foto di bambina con grembiulino, in atteggiamento di cura
  2. Cucina con attrezzatura per cucinare – foto di bambina che mostra uno degli attrezzi inseriti nel kit (sembra un po’ un programma televisivo di promozione, lei sorride e ha i piedi incrociati, in posa)
  3. Lavatrice giocattolo – foto di bambina che tira fuori i panni appena lavati del proprio bambolotto
  4. Bambolotto con palestrina – foto di bambina che si prende cura del proprio bambolotto, facendo suonare i sonaglini in dotazione nella palestrina

Giochi per bambini

  1. Camion e lavori stradali – foto di bambino con faccia furba e capelli scompigliati, che gioca felice con il suo camion
  2. Macchine di cartone – foto di bambini che costruiscono le macchine e le dipingono usando la loro creatività
  3. fucile mitragliatore – foto di bambino con lo sguardo concentrato “da duro” che usa il suo fucile
  4. Set per portiere – foto di bambino che gioca a calcio in porta e para la palla
Premetto che non ho nulla contro le marche rappresentate e che la mia vuole solo essere una riflessione sui ruoli che – fin da piccoli – ci imponiamo, imponiamo ai nostri figli e ci vengono imposti.
Nella necessità di rispecchiamento con il mondo degli adulti che hanno i bambini e che passa attraverso il desiderio dei giochi di ruolo, mi sembra di capire che (di ruoli) ce ne siano di GRANITICI e che sovvertirli, quando arrivano a trasformarsi in giocattolo, sia veramente difficile.
Le bambine sono rappresentate come coloro che si occupano dei figli e che fanno i lavori domesticicucinano e usano lavatrici.
I bambini creano, fanno sport e costruiscono grazie a mezzi meccanici. I volti delle bambine sono sorridenti e esprimono dolcezza, quelli dei bambini sono furbi e esprimono la voglia di lanciarsi nell’avventura.
I bambini fanno giochi “aggressivi”, le bambine invece imparano ad accudire altri bambini e a tenere in ordine la casa.
E’ evidente che questi sono i giochi che “tirano”: sotto Natale sarebbe un suicidio non esporre in prima fila ciò che è più desiderabile per i nostri figli. E’ evidente che nella maggioranza delle famiglie è normale che le bambine giochino con alcune cose (tra cui la cucina e la lavatrice), mentre i maschi con altre (tra cui un fucile molto grosso).
E’ evidente che non vediamo correlazione tra questi giochi e distinzione di ruoli sociali che può diventare baratro nella costruzione di una relazione tra due persone, quando si cresce.
Il marketing che oggi si rivolge alle bambine così, poi si rivolgerà alle donne attraverso le pubblicità della Plasmon o quelle di 4salti in padella e agli uomini proporrà Amari davanti al camino, dopo la partita di caccia con gli amici o pubblicità telefoniche con il plus di tante tette.
E’ difficile sapere se è nato prima l’uovo o la gallina.
La pubblicità e i prodotti raccontano la società o contribuiscono anche a performarli, continuando a riproporre gli stessi stereotipi?
Noi genitori possiamo iniziare a parlare con i nostri bambini, proporre loro giochi che non siano fortemente connotati in questo modo e non spaventarci se un maschietto gioca con i pentolini o fare battute se la primogenita ama i camion.
Per quanto mi riguarda, anche da queste cose passa la mia responsabilità di genitore.
A proposito: alla cinquenne regaleremo un set per disegnare, visto che le piace tanto. E speriamo disegni tante facce colorate e diverse!

Praxis: dal dire al fare

Buone prassi: se ne parla spesso ma siamo sicuri di applicarle?

Non è facile: chiunque ci abbia provato in nome di un ideale ma anche solo di un obiettivo professionale o sociale, lo sa. Le buone prassi si scontrano con la diversa definizione che ciascuno di noi dà alle cose, con le differenti modalità che ciascuno di noi mette dentro alle idee.

Ma partiamo dall’inizio con un’operazione linguistica.

Prassi deriva dal greco Praxìs. Il Dizionario del Corriere ne offre questa definizione:

  • 1 Attività pratica, contrapposta, sia in filosofia che nel l. com., alla teoria
  • 2 estens. Modo di procedere adottato, per consuetudine, in un’attività:seguire la p. consueta
  • • a. 1829

Dunque la prassi si contrappone alla teoria  e riguarda AZIONI concrete volte alla realizzazione di qualcosa di pratico e durevole (consuetudinario).

Forse da questo dovremmo partire, dal fatto che ogni teorizzazione a monte di una prassi rischia di mangiarsi la prassi stessa, perché proprio in quanto teorica non può tenere conto della realtà e di quello che possiamo incontrare sulla nostra strada.

Se penso a buone prassi, credo che quelle realmente durevoli e buone (e realmente concrete) sono SUCCESSE prima ancora che essere TEORIZZATE. Forse proprio il loro accadere senza essere imbrigliate dentro a una teorizzazione troppo rigida le ha rese concrete e virtuose.

Non è un discorso vizioso quello che voglio fare, ma è pur vero che nel momento stesso in cui in tanti ne scriviamo, il rischio può essere quello di lasciarci andare a elucubrazioni teoriche che poco hanno a che fare con la prassi. E’ pur vero che in un paese al palo, proprio perché le uniche prassi valorizzate dall’immaginario collettivo sono quelle che portano vantaggio al singolo rispetto alla comunità, è giusto parlarne e raccontare – in uno storytelling collettivo che permetta di definire anche un immaginario differente.

Le buone prassi che mi vengono in mente e che oggi voglio testimoniare sono fondamentalmente 2 e riguardano gruppi umani molto limitati, ma certamente che possono essere di exemplum per modi.

I genitori della scuola materna di mia figlia

Senza un accordo preventivo ma in maniera molto naturale e spontanea, tra genitori della classe di mia figlia ci diamo una mano a vicenda. Quando uno di noi ha problemi di lavoro, ritardi o impegni improrogabili, invece di affidarsi al buon cuore di una baby sitter, sa naturalmente che può affidarsi alla rete degli altri genitori. I bambini trascorrono il pomeriggio insieme, dopo la scuola e la gestione interna diventa molto più fluida.

Questo sistema – assai semplice – di af-fidarsi ad altre persone con cui condividi la scuola e che abitano il tuo stesso quartiere si è dimostrato vincente per molti motivi

  1. I bambini si sono legati molto
  2. I genitori stanno tranquilli
  3. Non si spendono soldi extra per la cura spot del proprio bambino (e in tempi di crisi direi che non è un motivo secondario, anche se molto prosaico)
  4. I genitori si sono a loro volta uniti
L’unione dei genitori ha permesso in questi 2 anni e mezzo di sviluppare rapporti di amicizia e – in alcuni casi – collaborazioni professionali. Il geometra ha bisogno di un sito? Si rivolge al mio compagno che li fa. Il musicista deve ristrutturare casa propria? Parla con il geometra. E così via. Non mi sembra poco in un momento storico come questo.
Senza parlare delle bene cene e serate che passiamo tutti insieme.
La rete bolognese #Bologna
In questi ultimi mesi mi sono resa conto che a Bologna FACCIAMO rete. Ho volutamente messo l’accento sulla concretezza del fare. Tra associazioni, persone che si occupano di cittadinanza attiva a vario titolo, professionisti della comunicazione e della cultura stanno succedendo delle cose. Creiamo momenti di incontro e confronto sui temi caldi della città, organizziamo eventi molto pratici e concreti, come per esempio NPDonne, cerchiamo di mettere in circolo buone idee e prassi, usando quel potente mezzo che è Twitter, che funziona come aggregatore di temi e di persone senza indebolire le differenze.
Non ci siamo messi d’accordo nemmeno in questo caso, semplicemente è successo. L’obiettivo comune (fare qualcosa di concreto per la nostra città) raduna persone e associazioni le quali mettono ciascuna le proprie competenze e il proprio valore differenziale aggiunto. La potenza di questa rete è che non è esclusiva e tende a crescere ogni giorno in maniera liquida e non strutturata.
Ecco, a pensarci bene credo che le prassi diventino buone quando sono davvero tarate sulle esigenze concrete. Si attivano per risolvere dei problemi in maniera innovativa e non strutturata teoricamente. A voi sembrerà una banalità ma io ci ho messo molto tempo per capirlo e farlo mio. Strano, perché la Rete, gli ecosistemi digitali e sociali del web funzionano allo stesso modo: laddove c’è un’efficacia condivisa nell’uso vanno avanti e si trasformano secondo quello che gli utenti ci riconoscono dentro. Lo stesso Twitter e il modo in cui, nel tempo, si è modificata la sua sintassi, ne sono un ottimo esempio.
Secondo me dobbiamo parlarne di buone prassi, ma anche non troppo. A seconda del contesto, bisogna individuare la carenza, il vuoto, ciò di cui si sente una necessità e cominciare a operare per trovare una soluzione. Ci accorgeremo presto di non essere soli e che la nostra soluzione non è l’unica ma che tra tante soluzioni diverse può nascere una condivisione che porta a perfezionare l’idea e a risolvere il problema.
Non tutti individuiamo le stesse criticità: l’ascolto reciproco, il rispetto dell’idea di ognuno e la volontà di fare, sono già per se stesse ottime prassi.
A cui tristemente, tanto poco, siamo abituati.
Concludo dicendo che la Rete è un mezzo potente per il passaparola ma che non possiamo concludere la buona prassi nella discussione. Mi auguro (prima di tutto per me stessa) che questa occasione sia importante per una riflessione che non venga scambiata per operatività. Qui si scrive, le prassi si attivano tra e con le persone.
[Ho scritto questo post per contribuire a una buona idea di Mammamsterdam e del gruppo DonnexDonne. Per una volta ho voluto interpretare l’invito a parlare di “pluralità dei generi” considerando per “generi” quelli che si riferiscono alle prassi. Esistono molti generi di prassi!]

Ha senso avviare una start up in tempi di crisi economica?

[La percezione della crisi non può e non deve essere bloccante, perché se no la situazione stagna e uscirne sarà sempre più difficile. ]

Gli amici lo sanno e lo sanno anche le persone che mi seguono sul mio blog narrativo Panzallaria: da qualche mese ho deciso di investire tutto il mio tempo nella scelta di fare la free lance: mi occupo di contenuti sul web (blogging, articoli) e di posizionamento e comunicazione sui Social Media (Facebook, Twitter, Linkedin, ecc).

Non è che prima io fosse dipendente, ben inteso, ma ho sempre tentato di tenere i piedi in più scarpe, per il timore dell’errore. Ad un certo punto mi sono resa conto che dovevo fare una scelta e che la straripante quantità di idee che avevo voglia di provare a realizzare mi portava in un’unica direzione. Nello stesso periodo il mio compagno ha fondato, insieme ad un ex collega, Studio Lost , web agency indipendente con cui, ovviamente, collaboro anche io.

Siamo due start up con figlia.

Perché una scelta del genere in questo momento?

Non abbiamo mai pensato al lavoro da dipendenti come l’unica opzione “sicura” e vogliamo spendere il nostro patrimonio di competenze, evolvendo con i Mercati, le tendenze e in un’ottica di formazione continua.

E’ ovviamente una scelta personale e tarata sul settore in cui lavoriamo, sulle dinamiche sociali e sul nostro personale approccio alla vita. Ci sembra giusto provare a fare quello che ci piace, a costruirci una dimensione professionale che ci appartiene e in cui possiamo mettere la nostra  visione etica.

La percezione della crisi non può e non deve essere bloccante, perché se no la situazione stagna e uscirne sarà sempre più difficile. La crisi può diventare un’opportunità per trovare nuove forme imprenditoriali che tengano conto delle incognite e si basino su un approccio consapevole del quadro generale e del problema, cercando di coniugare molti fattori: guadagno, decrescita, sostenibilità sociale, rispetto del lavoro degli altri.

Se vediamo la crisi come un’opportunità, possiamo davvero fare uno scatto culturale. Ho apprezzato molto l’iniziativa nata su Twitter (che sta diventando una delle più grandi fucìne sociali del Paese) #nofreejobs che è un segno importante ed è significativo che proprio ora abbia trovato spazio e consenso.

Se siamo al punto in cui siamo è anche perché il lavoro – specie delle generazioni “meno vecchie” – ha perso il suo valore essenziale, ovvero il riscontro pecuniario alla prestazione d’opera. La proposta (ma anche l’accettazione) di stipendi nulli o vergognosi è uno dei primi fattori della crisi. Non ci siamo mai resi conto che se qualcuno accetta di lavorare gratis, costringe anche il suo vicino a farlo e negli ultimi 15 anni questa pratica è diventata un’epidemia, un’emorragia di dignità professionale costante.

Star Up legate a Internet

E’ chiaro che il momento è grave e che non tutti i settori hanno la stessa capacità di assorbire Start Up. Sono però convinta che – per quanto riguarda Internet  – questi anni ne vedranno un rafforzamento significativo e che si attesterà sempre di più come canale prezioso di posizionamento per tutte quelle aziende che devono innovare per resistere, sia in contenuti che in immagine pubblica.

I report sull’uso di Internet nel Paese (vedi Fattore Internet via Riccardo Perini) parlano chiaro:

Secondo i dati Istat, in Italia le Piccole e Medie Imprese (PMI) rappresentano circa il 99% delle aziende e realizzano il 70% del fatturato totale.

Per quanto riguarda l’utilizzo del canale internet, secondo i dati Eurisko, l’87% delle aziende con più di 50 dipendenti ha un sito web. Tra le aziende con meno di 10 dipendenti, invece, meno del 50% ha un sito internet. Tra le PMI con solo uno o due addetti, solo il 15% ha un sito.

Secondo uno studio condotto su 1.000 aziende italiane, le PMI “online-attive”, cioè che hanno un sito web, vendono online o fanno web marketing, migliorano la propria produttività grazie a internet, crescono più rapidamente, raggiungono più facilmente la clientela internazionale, assumono più personale (esperti web, social media manager, gestori e-commerce, …).

Attualmente le incognite da risolvere (ma sulle quali anche noi professionisti possiamo dare il nostro contributo) sono:

  • digital divide di infrastrutture e generazionale
  • “marketing divide” ovvero il gap che c’è tra un approccio tradizionale alla promozione di un progetto e prodotto e nuovi modelli di presenza sul Mercato grazie alla rete sociale.
Io sono fiduciosa e credo che proprio adesso, “muoversi” – come mi ha scritto un’amica, startupper pure lei –  sia  quanto mai necessario e che non sia il momento di avere paura ma di osare. Ovviamente bisogna farlo con i giusti strumenti, ovvero senza improvvisarsi professionisti laddove non c’è una solida preparazione o una buona consapevolezza del Mercato di riferimento, ne’ con false aspettative di guadagno immediato o elevato. Nessuno di noi diventerà ricco probabilmente, ma forse farà quello che ama fare.
Concludo segnalando un interessante articolo dal titolo Le start up creano occupazione o no? su un Meeting che si è recentemente tenuto in USA in cui ci si domandava se i casi Facebook e Google sono replicabili oggi come modelli di sviluppo e crescita di una star up innovativa.
Tu cosa ne pensi? Ha senso oggi mettersi in proprio con un’idea? Puoi rispondere sia nei commenti a questo post, sia al sondaggio pubblico su Facebook che sta riscuotendo grande successo.

Freerumble: la piattaforma di condivisione audio

[Siamo noi che dobbiamo fare rete ogni giorno per fare in modo che sia utile e libera per tutti ]

Freerumble è un progetto che mi piace molto: l’accessibilità delle risorse è uno temi che mi sta più a cuore e che – nel 2001 – mi avvicinò alla Rete con l’idea di farne una professione. Allora di accessibilità e risorse per categorie svantaggiate (vista, udito) se ne parlava molto. Il Governo nel 2004 promosse anche una Legge (Stanca) sull’accessibilità dei siti web istituzionali per promuovere la costruzione di prodotti web inclusivi e dunque costruiti con caratteristiche tecniche e di ergonomia generale tali da non impedire l’uso a chi non può vedere o sentire.

Oggi nasce questa piattaforma. Ho chiesto a Francesco Russo, tra i sostenitori del progetto, di raccontarmi di cosa si tratta.

Chi sei e cosa fai?

Mi chiamo Francesco Russo e sono blogger ormai da tre anni, curo un blog “InTime, condivido per comunicare” su franzrusso.it in cui parlo di come sta cambiando la comunicazione nell’era del web 2.0.

Sono da sempre appassionato di web e da un paio d’anni è diventata la mia professione, come consulente web e social media per le aziende, non senza difficoltà visto il periodo. Però attraverso questa attività sono venuto a conoscenza anche di progetti interessanti come Freerumble, nel quale sono stato coinvolto con piacere.

A cosa serve e a chi si rivolge?

Freerumble nasce in un contesto scientifico: l’ideatrice del progetto è Responsabile dell’Ufficio stampa dell’INGV – Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia . L’idea è nata dalla necessità, durante l’eruzione del vulcano Eyjafjallajökull in Islanda, di comunicare con uno scienziato sul posto attraverso una comunicazione audio registrata. L’ideatrice di Freerumble ha così scoperto che in Rete non esistevano strumenti immediati per farlo, nemmeno nell’era della condivisione e dei Social Media. Non esisteva un luogo dove caricare il file e condividerlo con altre persone lontane. Si è immedesimata in un non vedente e ha pensato di sviluppare una piattaforma  – una sorta di facebook – che potesse permettere lo scambio di files audio.

Freerumble è un social network per tutti: chiunque può postare file audio e condividerli, ma è sicuramente uno strumento fondamentale per quelle persone che non possono navigare le immagini in maniera immediata.

Qual’è la visione etica che sta dietro a un lavoro del genere? 

Freerumble nasce per dare la possibilità anche ai non vedenti di poter usufruire della rete e delle opportunità che essa offre, attraverso la voce. So che può sembrare retorico, ma sulla rete uno strumento come questo non esisteva ancora. E questo da un certo punto di vista sorprende non poco. Siamo concentrati ogni giorno su argomenti e su notizie che nascono e si sviluppano sulla rete in un manciata di secondi, senza pensare che altre persone non hanno la possibilità per farlo. Esistono altri strumenti che danno ausilio ai non vedenti per poter navigare la rete, Freerumble non è l’unico, ma di sicuro offre una libertà che prima non c’era. E questo aspetto è stato sottolineato anche dalle associazioni che sono state coinvolte per individuare i precisi ambiti sui cui intervenire. Il tema dell’accessibilità è fondamentale. Proprio in questi giorni si stanno ottimizzando tutte le operazioni per garantire un accesso sempre più completo e agevole, rispettando tutti i parametri che esistono sulla rete. In altre parole, la rete è un luogo per tutti e deve essere aperta e fruibile per tutti. Se questo non accade e ci sono ancora degli impedimenti, allora significa che da qualche parte abbiamo sbagliato qualcosa. Perché, e vorrei sottolinearlo, la rete siamo noi, non gli altri.

Siamo noi che dobbiamo fare rete ogni giorno per fare in modo che sia utile e libera per tutti.