Le mie competenze: scrittura autobiografica, comunicazione, copywriting, social media, competenze digitali.

Donne, lavoro, discriminazione

Domani sera alle 22.30 circa sarò ospite, a Bologna, di Salotto Precario, alla Festa Provinciale dell’Unità del Parco Nord per affrontare il tema delle discriminazioni sul lavoro lette in chiave femminile:

VENERDÌ 10 SETTEMBRE, ore 23.00

DISCRIMINAZIONE: NEL LAVORO E NON SOLO

Salotto Precario sulle discriminazioni, con particolare riguardo al punto di vista precario e femminile

Con contributi di Daniela Bortolotti, Francesca Rossi, Francesca Sanzo (network Donne Pensanti) e tante altre.

E’ un’occasione di confronto e per riflettere su un tema complesso e stratificato. Io ho scelto di partire dalle testimonianze raccolte in community per cercare di individuare elementi comuni alle molte donne che hanno partecipato all’inchiesta. Con le socie fondatrici di Donne Pensanti e dialogando con Stefania Boleso abbiamo anche pensato a qualche proposta per le Istituzioni e per agire attivamente, come donne, sul problema.

Ma il contributo vero lo daranno tutti coloro che vorranno partecipare alla serata, con racconti, riflessioni, punti di vista.

Vi aspettiamo domani e ringrazio Daniela Bortolotti per avermi voluta invitare.

Colgo l’occasione per ringraziare anche Eloisa Morra che ha ritenuto interessante intervistarmi per Cronache Laiche. Ne è uscito un articolo che riassume obiettivi, presupposti e storia di Donne Pensanti. Grazie!

Donne e lavoro: discriminazioni e altro

Donna al lavoro

Il 10 settembre 2010 sarò ospite di Salotto Precario, nell’ambito della Festa provinciale dell’Unità di Bologna.

Il tema è quello del lavoro e delle discriminazioni nei confronti delle donne. Mi piacerebbe riflettere su casi concreti, le vostre storie quotidiane, quello che pensate come donne e uomini sull’argomento.

Sul SOCIAL NET di Donne Pensanti ho attivato un forum dedicato all’argomento e mi piacerebbe che in molti rispondessero ad alcune domande sul tema per avviare un confronto che sarà utile a noi e da cui vorrei trarre considerazioni da mettere sul piatto anche nell’ambito della serata a Salotto Precario.

Il forum è: http://donnepensanti.ning.com/forum/topics/donne-e-lavoro-stipendi

Troppo spesso le donne tacciono situazioni discriminanti perché temono per la propria indipendenza e stabilità professionale e perché SOPRATTUTTO non sanno di NON ESSERE SOLE.

Discutendone e facendo uscire il tema dal tabu, forse ci accorgeremo che in tanti possiamo provare a cambiare le cose. Ci proviamo?

Ho disattivato i commenti qui perché vorrei che si attivasse la discussione  sul social net dove ho segnato anche alcune domande generali che possono essere uno spunto per raccontare la vostra esperienza


L’importanza delle parole dei Media

Immagine presa da http://www.etnografia.it/

In questi mesi estivi, durante i quali si sono consumati numerosi omicidi di donne da parte di familiari, conviventi, ex mariti, ex amanti o corteggiatori, oltre al giusto sdegno e alla riflessione sull’importanza di promuovere un’etica diffusa del rispetto reciproco per contrastare il fenomeno cercando di comprenderne le cause sociali oltre a quelle personali, mi è capitato di interrogarmi spesso sul ruolo del linguaggio.

Ho letto sempre con grande attenzione gli articoli dei giornali, le cronache di questi eventi e via via che scorrevo pagine, storie, resoconti più o meno dettagliati, mi rendevo conto che in molti casi a questi fenomeni di violenza venivano associati termini che stonavano, che giustificavano, che in qualche modo straniavano dalla realtà quotidiana l’evento o l’assassino e che isolavano il fatto, come se si trattasse di un unicum di grande eccezionalità.

In molti, durante il mese di luglio hanno sottolineato come sia importante non chiamare questi omicidi delitti passionali, perché di passionale e amoroso non hanno nulla, ma secondo me c’è anche dell’altro.

Il 29 luglio sono nelle Marche dove il giorno precedente Claudio Alberto Sopranzi, guardiano del campeggio dove ho trascorso numerose estati della mia adolescenza, ha ucciso la madre e la sorella della donna che l’ha lasciato –  davanti ai figli di questa – e lo ha fatto con una Berretta in suo possesso, andando a casa delle donne.

Dopo averle uccise è scappato, si è liberato del cellulare e della pistola e ha girato per lungo tempo per i campi.

Il Corriere Adriatico nell’edizione cartacea del 29 luglio, in una serie di articoli dedicati al fatto scrive:

Strage per amore, uccise due donne

titolando a prima pagina.

Lite e minacce prima dell’esplosione di follia

è il titolo di un secondo articolo

Si parla anche di “Trance” e “Raptus omicida”.

E’ l’assassino, una volta arrestato, a dire che non sa cosa ha fatto, che pensava di essere al poligono di tiro.

In questo caso, per fortuna, gli inquirenti non credono al raptus (l’uomo si è liberato del cellulare subito dopo l’omicidio, procurandosene uno nuovo e tentando di fuggire) ma il lessico, il lessico giornalistico inganna.

Ora. Definiamo Trance. Wikipedia scrive:

Tra i comportamenti caratteristici si osserva l’aquiescenza acritica al comando con agiti consapevolmente o inconsapevolmente indipendenti dalla volontà con o senza perdita della memoria di circostanza.

Il raptus è invece:

un improvviso impulso di forte intensità che può portare ad uno stato ansioso e/o alla momentanea perdita della capacità di intendere e di volere.

Siamo proprio sicuri che un uomo che utilizza schede telefoniche “pulite” e tenta la fuga in macchina sia in trance o sotto l’effetto di un raptus? E’ davvero follia, intesa come incapacità di intendere e volere?

Ovviamente il caso di cui sto parlando è solo un esempio, uno dei tanti esempi di come questo genere di eventi vengono narrati.

La narrazione è importante perché delinea l’immaginario del lettore. Parlare di follia, raptus, trance è già un punto di vista.

I giornali, le televisioni, i media contribuiscono – e non solo sulla questione di genere – a promuovere immaginari e nelle scelte dei Palinsesti e delle prime pagine c’è già un messaggio.

Il mezzo è anche un messaggio e in questo caso il mezzo linguistico è portatore di significato.

In questo periodo estivo, così tragicamente costellato di delitti contro le donne, ho davvero riflettuto sull’importanza della comunicazione per innescare un cambiamento.

Quando i giornali, le televisioni, i Media cominceranno a parlare e riflettere sulla questione e a farlo in un modo interrogativo e non scontato, senza usare formule obsolete o tranquillizzanti, allora il problema verrà percepito come tale a livello generale.

La rivoluzione culturale – su tutti i fronti – in Italia deve partire da giornalisti coraggiosi. Deve passare dalle redazioni e dall’Informazione.

La rivoluzione culturale, la resistenza al livellamento verso il basso  deve attraversare il linguaggio, portare parole che abbiano peso specifico.

E’ fondamentale.

Forse per questo applaudo al fatto che – seppur in seconda serata e non sulla rete ammiraglia – domani sera andrà in onda sulla Rai il documentario Il corpo delle donne. Non è molto, se non seguiranno atti altrettanto significativi, ma è già qualcosa.

Per questo ho accolto con entusiasmo l’approfondimento de l’Unità di una decina di giorni fa sulla questione femminile e sono fermamente convinta che ci sia un gran bisogno di parole nuove che parlino di questi problemi.

Parole che trovino nuova forza e sappiano mettere in discussione più che definire.

Perchè le de-finizioni, lo dice la parola stessa, concludono, mentre noi siamo solo all’inizio di quella che deve essere una nuova via verso il rispetto.

Pubblicità svilenti e offensive: come si segnalano?

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Non dobbiamo subire in silenzio (uomini e donne) gli stereotipi imposti da un certo genere di pubblicità che ha abdicato alla creatività a favore delle facili metafore sessuali.

Possiamo confrontarci e affrontare con determinazione chi produce contenuti che sviliscono l’immagine femminile, la cultura e l’immaginario collettivo contattando direttamente tutti coloro che sono coinvolti: pubblicitari, politici, televisioni.

Possiamo far emergere i casi emblematici affinché si allarghi la discussione e lo spirito critico, gli occhi nuovi con cui vedere a queste cose siano sempre di più: se la maggioranza delle pubblicità usa lo stesso messaggio che mercifica il corpo, dopo un po’ ci abituiamo, lo consideriamo normale. Ogni giorno un pezzettino di noi si assuefà e ci svegliamo una mattina che non riteniamo più di poter agire attivamente ma solo subire.

Se SMONTIAMO queste pubblicità, le guardiamo con occhi obiettivi ma critici e cerchiamo di cogliere TUTTI I SENSI contenuti in un determinato messaggio, ci accorgeremo che per fare pubblicità al caffè non serve ventilare ipotetici favori sessuali dell’immagine femminile mostrata sul manifesto. Non occorre, per vendere un telefono a Natale, trasformare Babbo Natale e le renne in pettorute ragazzine in posizioni invitanti.

Se SMONTIAMO i messaggi, ci accorgeremo che spesso le frasi associate alle immagini dicono molto più delle immagini stesse e che in maniera pervasiva, sottile ma costante, il messaggio va in una direzione ben precisa che è svilire la donna, il suo ruolo nella società e nelle relazioni con l’altro sesso, per ridurla a oggetto di desiderio o bramosa pantera che ha un unico obiettivo: accapparrarsi i favori dell’uomo.

Quando, dopo aver smontato una pubblicità o una trasmissione di questo genere, ci rendiamo conto che il caso è proprio questo:

POSSIAMO FARE QUALCOSA!

In una società matura è necessario che possano convivere le contraddizioni e le dicotomie e che si sviluppi la possibilità del confronto e della riflessione, anche in base ai punti di vista di coloro che non la pensano come noi.

Dato che l’obiettivo di questo progetto è soprattutto AMBIRE a questa società matura, in cui la questione culturale sia fortemente rivalutata e di cui l’immagine della donna (ormai monotematica) è la cartina di tornasole, quello che ci interessa è DIMOSTRARE che insieme possiamo fare molto, che LA RETE può dare voce anche alle persone come me (Francesca Sanzo che scrivo), a chi posta fotografie scattate al volo nella propria città e a tutti coloro che hanno voglia di fare qualcosa.

Se non vogliamo diventare censori possiamo diventare SEGNALATORI.

Istituto di autodisciplina publicitaria

Le pubblicità che offendono un gruppo di persone, un genere, una categoria in particolare possono essere segnalate, facilmente, all’Istituto di Autodisciplina pubblicitaria che prenderà in carico la nostra segnalazione e deciderà se quella campagna è davvero offensiva, obbligando, nel caso a rimuoverla dalle nostre città, da giornali e televisioni.  Riguardo alle donne, lo IAP ha stipulato un protocollo d’Intesa molto interessante.

E questo è il MODULO da compilare per le segnalazioni.

Dialogo

Esiste poi la possibilità di scrivere mail alle aziende coinvolte affinché sappiano che la cosa è emersa, che non abbiamo intenzione di stare in silenzio. Mail che devono richiamare al dialogo e far capire che oggi il potere del PASSAPAROLA è fondamentale per la buona riuscita o meno di qualsiasi prodotto, sia di comunicazione che commerciale.