La mia prima vacanza da sola: ecco cosa ho imparato

Per la prima volta nella mia vita ho fatto un viaggio da sola: io e me. Lo so, sa un po’ da sfigata, fare il primo viaggio da sola a 44 anni, ma tant’è. Che poi viaggio moltissimo da sola per lavoro, ma arrivo in posti dove incontro persone, tengo lezioni, consulenze, ho fretta, prendo treni, ho fretta, tutto scorre molto velocemente, ho fretta. 

Questa volta qui ho deciso di partire di fare 300 chilometri in auto e di passare 4 giorni senza nessun appuntamento se non con me stessa e molti libri. È passata una settimana dal mio ritorno e posso raccontarti come è andatale conseguenze di questo viaggio, perché ogni viaggio ha sempre delle conseguenze e noi torniamo un po’ diversi da ogni posto che incontriamo. 

L’organizzazione

Ho deciso di partire perché avevo molto bisogno di passare tempo con me stessa, di ascoltarmi, rilassarmi e di provare a Francesca che potevo stare bene.

L’inverno è stato pesante, ho attraversato un periodo di grande crisi e avevo bisogno di recuperare una dimensione mia.

Mi sono chiesta a lungo dove volessi andare e quale potesse essere la meta del mio viaggio. Mi interessa vedere posti nuovi? Voglio scoprire qualcosa di straordinario? Ci deve essere il mare?

Mi sono fatta tante domande e poi ho capito che sostanzialmente volevo stare in mezzo alla natura,  del mare mi interessava poco  e volevo un’area relax con piscina senza ritrovarmi sperduta in mezzo al nulla o con nessuno con cui parlare, perché non ero mica tanto sicura che mi sarei stata abbastanza simpatica per trascorrere 4 giorni da eremita. 😉

Ho fatto l’unica cosa sensata e ho contattato la Silvia di Destinazione umana. 

Lei è stata FANTASTICA, perché sulla base dei miei desiderata (e anche dei miei vincoli di paranoica) ha trovato la meta giusta per me!  È stato così che sono arrivata all’agriturismo La campana, nelle Marche: un borgo restaurato e gestito da un gruppo di famiglie che hanno deciso di mollare l’operoso Nord e cambiare vita. 

Il viaggio

Non ho quasi dormito la notte precedente la partenza, pensando ai camion, a tutte le possibili tragedie, al maltempo, agli incidenti, alla macchina che non funziona, io che mi perdo, mi sento male e sbando e altre amenità del genere. Guidare in autostrada mi genera sempre ansia, forse anche perché non ho la vista di un falco, ma proprio per questo mi sfido di continuo. Per esempio, negli ultimi 3 mesi sono stata spessissimo a Reggio Emilia in auto per lavoro. Ma un conto è fare 60 km, un conto è doverne percorrere 300.  Quando sono partita poi era venerdì e verso sud si era già formata una gran fila, il navigatore scuoteva la testa tanto che per un attimo ho pensato di aver avuto una pessima idea, forse era un segno, forse non dovevo partire. Succede sempre così quando abbiamo paura: c’è quella vocina bastarda che si intromette, urlandoci nelle orecchie di stare fermi, che a stare fermi facciamo meglio. Ho fatto il primo pezzo di strada lungo la statale e poi mi sono infilata in autostrada e – come per magia – malgrado il traffico intenso, il mio cuore ha battuto regolarmente tutto il viaggio. Anzi.

Anzi me la sono goduta proprio. Ero da sola. Potevo scegliere la musica da ascoltare. Potevo cantare a squarciagola, volendo. Potevo anche decidere quando fermarmi all’autogrill e metterci mille ore per arrivare. In autostrada, mentre – coraggiosissima – superavo tutti i camion d’Italia, ho cominciato a fare conoscenza con me stessa, a chiacchierarmi. 

Il giorno in cui non ho parlato con (quasi) nessuno per 7 ore

Hai presente una che di solito tiene 8 ore di lezione o consulenza quasi tutti i giorni della propria vita??? Hai presente una che scrive libri e – male che vada – quando va a una presentazione, per farla smettere di parlare, devono abbatterla? Ecco, per darti un’idea più precisa: durante il mese di maggio, non c’è stata sera in cui non sono tornata a casa AFONA, per il troppo bla, bla, bla.  Ebbene, il primo giorno di vacanza, quando sono arrivata in questo piccolo angolo di terra, cielo, erba e mattoni, io mi sono rifugiata in piscina a leggere e – a parte i classici saluti e benvenuti – non ho parlato con nessuno per 7 ore. Mi sono messa a bordo piscina a leggere Lolita di Nabokov e ho spento il cellulare. Mi sono alienata e sono rimasta lì, a nuotare e leggere, fino all’ora di cena. La cosa che mi ha colpito di più è stato il fatto che non ho avuto alcun attacco di panico da solitudine e invece mi sono sentita come una principessa che si sta facendo un grande regalo. 

Lolita

Lolita è un libro straordinario, l’ideale compagno di viaggio: la lettura ti turba, senti una punta di disagio ma hai l’impressione di entrare nell’animo umano di una persona, quasi di comprenderla, anche se il comprenderla ti inquieta. Lo stile è semplicemente perfetto: pulito, elegante, in grado di dire qualunque cosa con una capacità evocativa di pochi libri. Per me che ho appena iniziato un romanzo, il primo romanzo della mia vita e ho deciso di scrivere anche di sesso, si tratta di una lettura davvero formativa. Perché si può scrivere di qualunque cosa senza scadere negli stereotipi. 

 

 

 

 

La loquace Lo taceva. Freddi ragni di panico mi corsero giù per la schiena. Era un’orfanella, quella bimba sola, quella bimba derelitta, e con lei un’adulto nerboruto e maleodorante aveva avuto, per tre volte nella stessa mattina, vigorosi rapporti sessuali. 

Cenare da sola

Sono abituata a mangiare da sola quando sono in trasferta per lavoro: sono sempre pasti veloci, intervalli tra la giornata di lavoro e il momento in cui toccherò il letto. Cenare da sola in un agriturismo popolato di coppie e famiglie è diverso. Le persone ti guardano, si interrogano  sui motivi per cui non c’è nessuno al tuo tavolo e quando gli racconti che è per scelta, lampi di curiosità si accendono nei loro occhi, perché siamo in tanti, credo, a non mettere nemmeno in conto il fatto che si possa viaggiare in solitaria, per il puro piacere di stare con se stessi.

Mi sono regalata cene lente, continuando a leggere i miei libri (terminata Lolita, è stata la volta di Blackout di Gianluca Morozzi), qualche chiacchiera con i vicini di tavolo, tramonti e ogni sera ho preso un bicchiere di vino bianco ghiacciato con cui brindare alla mia giornata. E l’ho fatto davvero: ho innalzato il calice verso il sole calante per dirmi quanto mi voglio bene. 

 

 

Io e il mio corpo: amarlo

Dopo cena facevo due passi, poi andavo in camera mia, una camera spaziosa, accogliente e mi spogliavo completamente nuda. Così, nuda e accaldata dal sole, mi stendevo sul letto e continuavo a leggere fin quando non mi veniva sonno. Facevo tanti sogni, alcuni erano incubi che fuoriuscivano dal mio cervello in libertà, ogni tanto mi svegliavo nella notte (ultimamente mi accade spesso) e allora accendevo la luce e mi rimettevo a leggere. Cercavo di guardare il telefono il meno possibile, consapevole di essere diventata un po’ dipendente dalle relazioni virtuali e delle volte passavo lunghi minuti davanti allo specchio a guardarmi, a farmi piccole carezze d’affetto, come se scoprissi angoli della mia pelle per la prima volta. Non sono mai uscita senza truccarmi, se era l’ora di cena, né senza vestirmi con cura. Volevo essere bella, precisa e accurata per me stessa, come se fossi al primo appuntamento con una nuova storia d’amore.

Questo inverno la mia autostima ha toccato punte bassissime, ho avuto quella che qualche rivista patinata potrebbe chiamare “crisi di mezza età”, mi sono sentita vecchia, brutta, ormai invisibile per età e per molte altre cose, ho attraversato giorni bui durante i quali mi bastava che qualcuno mi guardasse con un po’ di insistenza per pensare che probabilmente la faccia mi si era storta all’improvviso o una gigantesca caccola stava appesa al mio naso. Piano, piano mi sono resa conto che era tutto nella mia testa, che dovevo invertire la rotta e durante questa piccola vacanza l’ho fatto: mi sono amata in tutti i modi possibili, compresa l’esplorazione curiosa del mio corpo, per riconoscerlo, di nuovo. Così com’è il corpo di una donna di 44 anni che ha perso 40 chili, che ha fatto una figlia, che ha iniziato a lottare con la cellulite a 16 anni e ha affascinanti autostrade di smagliature sulla pancia. 

Camminare nei boschi, viaggiare con l’auto

Il secondo giorno ho intervistato il fondatore della comunità in cui ero ospite, abbiamo chiacchierato tantissimo e mi sono fatta dare preziose indicazioni sui sentieri intorno al borgo. Mi ha indicato una strada in mezzo ai campi e al bosco per arrivare al paese più vicino e ho camminato nel caldo, tra le spighe gialle del grano, annusando odori familiari e altri no, la lavanda, i girasoli, il vento caldo e salmastro che viene dal mare. Sono arrivata al paese accaldatissima, sudata, ma contenta. Non c’era nessuno per strada, tutti a Cupra marittima. Un uomo, in un giardino, stava innaffiando le piante e gli ho chiesto di farmi una doccia. Mi sono tolta lo zaino dalle spalle e ho cominciato a ballare sotto la pioggia di acqua ghiacciata, felice, bambina e felice. Vorrei sempre parlare con le persone, fare cose così, tanto naturali, come chiedere acqua, salutare, fare domande ma di solito – quando sono con altre persone – mi astengo per non sembrare matta, per non mettere in imbarazzo e invece lì da sola non ho dovuto render conto a nessuno di me, di quello che sono, di quello che spontaneamente mi vien da fare e dire. Ho intervistato la signora di 92 anni, a Offida, ho ascoltato i discorsi dei miei vicini di tavolo, costruendo storie credibili sulla base di scampoli di frasi. Sono entrata in ogni palazzo possibile, ho preso la guida, ho ascoltato persone di altri tempi parlare con parole inusuali, ho riso, mi sono innamorata delle onde di giallo e verde e azzurro dei paesaggi che tagliavo con l’auto, ho fermato la macchina in mezzo a stradine sterrate, per il gusto di guardare, sedermi a terra a gambe accavallate. E quando gli occhi erano pieni, sono tornata alla base, mi sono distesa su un lettino davanti alla piscina e ho letto, nuotato, preso il sole, dormicchiato. 

Non mi sono mai sentita sola, da sola. Mi sono innamorata di me. Ho messo in fila priorità. Ho pensato a mia figlia, a questo lungo anno, a tutto quello che è accaduto da novembre, da quel 5 novembre che è stato un punto. Ho pensato al non marito, alle nuove relazioni, a quelle vecchie, ho pensato alle emozioni, che in fondo, in fondo servivano tutti questi giri per ritrovarle e serviva anche un viaggio da sola. 

Prima di tornare a Bologna ho fatto anche una sosta nei ricordi: ho parcheggiato davanti al grande campeggio dove andavo da ragazzina, a Numana, ho chiesto al guardiano di farmi entrare, mi sono fatta il mio pianto nostalgico constatando che nulla è uguale, tutto cambia, anche se noi non lo vediamo cambiare quando ci passa davanti tutti i giorni, ma è come un campeggio dopo 30 anni: trovi a tentoni i ricordi perché li vuoi trovare, ma sono infilati sotto strati di futuro remoto. 

A casa 

Sono tornata a casa, ho disfatto le valige, ho ripreso contatto con la mia vita. Mi sono messa a scrivere il mio romanzo. Ho cominciato ad ascoltare di più mia figlia. Ho ripreso a sorridere. Ho continuato a frequentare poche persone, a scegliere quelle che non giudicano, che non hanno etichette inamovibili per definire gli altri e che mi accettano così, in questa fase piena di contraddizioni. Ho scelto l’ascolto, il silenzio, la cura. 

Ho imparato

Ho imparato che posso. Posso viaggiare da sola e fare anche molte altre cose. Ho imparato che non voglio svilirmi, compatirmi, compiangermi, ma che le mie fragilità fanno parte di me. Ho imparato che risiedo nella confusione, ma che non sono persona che ha bisogno di certezze, lascio le certezze a chi non può vivere senza, io mi prendo le emozioni. Non sono la stessa di quando sono partita. È stato un atto d’amore, un profondo atto d’amore. E – da non sottovalutare – mi sono pure divertita un sacco! 

 

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8 commenti
  1. polepole dice:

    Sai?
    Quando ho letto che stavi facendo un viaggio da sola ne ho parlato a mio marito, perché per me è uno di quei desideri accantonati da chissà quando, perché sembrano impossibili: troppe cose, troppe preoccupazioni, troppe ansie e sensi di colpa per la famiglia che avrei abbandonato a se stessa, per il fatto che troppo spesso ci sentiamo poco meritevoli di amarci nel modo più importante che esista, dandoci spazio.
    Ne ho parlato solo perché era una scoperta che mi aveva illuminato la giornata, che mi aveva fatto fermare e chiedere per la prima volta a me stessa quanto fosse forte per me quel desiderio. E lui? Mi ha risposto, semplicemente: “perché non lo fai anche tu?” dandomi carta bianca, dicendomi che era assurdo che non glie ne avessi mai parlato prima, che per lui non c’era alcun problema. E da quel giorno ho cominciato a pensarci sul serio. Dove, come, quando. Perché. Ho mille idee e credo che quest’estate succederà, che mi prenderò due giorni solo per me e partirò sola, con tanta paura ma un gran sorriso che parte direttamente dal cuore.
    E ti devo dire grazie, perché ancora una volta mi hai aperto un orizzonte che avevo dimenticato.

    • Francesca Sanzo dice:

      Anche io, come te, per anni non l’ho preso nemmeno in considerazione. “Madre snaturata!” mi sentivo dire dalla mia vocina auto sabotante. Per anni, devo dire, non mi sono nemmeno chiesta cosa mi faceva stare bene, cosa volevo, come mi divertivo e quali sono DAVVERO le cose che mi interessa fare (lavoro e scrittura a parte). Questo inverno ho iniziato e non è stato facile, sono stati scossoni, crisi, pianti e a tratti molta paura. Ma sto ritrovando le emozioni, quello che mi piace, le persone con cui desidero passare il mio tempo e sembrava assurdo, in tutto questo percorso, non ritrovare prima di tutto tempo CON me stessa (e non PER me stessa). Fallo e poi raccontami, sono sicura che ti stupirai di quante cose hai dimenticato di volere 😉

      • polepole dice:

        Il problema fondamentale è che io mi ricordo tutto, non ho rimosso i miei desideri (madre snaturata, sì! la vocina è la stessa), li ho solo chiusi lì nel cassetto a far la muffa 😀

        Ci vuole un po’ di sole, sì, di pulizia e di star CON se stessi.
        Ecco, ora mi scappa di scrivere qualcosa in merito. Ti avviso, stai per essere nominata 😉

  2. Alba Rotundo dice:

    Adoro leggerti. Non smetterei mai.
    Però la mia attenzione, oggi, era rivolta alle coincidenze, alle cose che ci accomunano da qualche mese: prima il piriforme che fa male e ci impedisce di correre con conseguente dramma interiore, le ansie sulla guida in autostrada e l’ autostima ai minimi storici.
    Eppure io sono bloccata. Attorcigliata su me stessa e arrabbiata con me stessa. Tanto da non volere stare da sola, ma insistere nel cercare distrazioni inefficaci.
    Chissà…forse dovrei sforzarmi e seguire il tuo esempio.
    Grazie, Francesca.

  3. Lorenza dice:

    Capita al momento giusto questo post sul mio cell… le comunicazioni di DU capitano sempre al momento giusto per me! ? parto tra dieci gg per la mia prima vacanza da sola, dopo un periodo faticoso, mi sono riconosciuta nel tuo racconto! Quando ho prenotato, mesi fa, ero tranquilla: sapevo che è la cosa giusta. Ora che si avvicina, il mio timore non è l’aereo, la lingua, il viaggio, girare la città senza perdermi, ma le cene…. Con chi parlerò? Saprò assaporare? Il cibo, la solitudine, il silenzio?
    Quindi grazie, Francesca, per aver condiviso la tua esperienza, mi hai dato spunti da ricordare se l’ansia avrà il sopravvento, e soprattutto mi hai confermato che SI PUÒ FARE!!! ?

    • Francesca Sanzo dice:

      CERTO che si può fare! Io cenavo spesso con un buon libro o con il mio taccuino per prendere appunti (anche sulle altrui conversazioni) 😉 buon viaggio, goditela alla grande Lorenza.

  4. Passavodiqui dice:

    Apprezzabile dal punto di vista umano, tuttavia a mio parere quasi incompatibile con l’immagine di consulente aziendale con cui lei si propone a livello professionale. Va bene per i clienti “alternativi”, che pagano poco e tardi (o peggio, in “scambio merce”, che purtroppo non si mangia). Ma è sicura che mettere in piazza le proprie insicurezze sia opportuno per i clienti che cercano una motivatrice per la dirigenza o per i venditori, che i 300 km in autostrada se li fanno tutti i giorni da quando avevano 22 anni, non 44? se fossi un decisore, mi chiederei quante altre insicurezze “banali” ha e che non ha scritto. Purtroppo bisogna fare attenzione anche al marketing di se stessi. Voglio sperare che sia voluto, soprattutto da una che vende storytelling personale, tuttavia attenzione alle ricadute. Auguri!

    • Francesca Sanzo dice:

      Caro “Passavodiqui”, apprezzo che lei abbia voluto portare il suo parere, tuttavia se ha letto altre cose di me (i miei libri, post passati)o ha avuto occasione di parlare con i miei clienti (chi ha partecipato a miei corsi o aziende per cui sono consulente, come per esempio Adecco, Allianz Bank o l’Università di Bologna) avrà compreso che per me la fragilità, accettarla, confrontarsi con i propri limiti e imparare a conviverci, oltre che superarli, è una grande forza ed è – a tutt’oggi – la chiave della mia filosofia di vita, come persona e come professionista.

      Ho imparato che ciò che per alcuni è banale (come per esempio viaggiare in auto per lei, parlare davanti a 100 persone o in diretta tv per me), non lo è per altri. Imparare che non possiamo dare per scontato che per tutti siano facili le stesse cose è stata una scuola, un modo per avere una visione complessiva e dialettica della vita e del lavoro.

      Preciso anche che io non mi propongo come motivatrice ma come persona che aiuta le altre persone e aziende a raccontarsi efficacemente, anche nelle proprie fragilità, quindi, pur ringraziandola per la sua premura nel richiamarmi all’attenzione, la rassicuro: ci saranno ricadute che fanno parte, in maniera totalmente consapevole, del mio stile personale e professionale, di una precisa scelta di come sto nel mondo.

      La rassicuro anche sullo stato delle mie finanze, il lavoro va pagato e a me pagano molto bene (niente scambio merce, tranne in un caso, in cui la merce mi interessa davvero) e regolarmente: grazie per avermi pensato anche in questi termini, è bello sapere che c’è chi, ancora, ci tiene che il lavoro di un professionista sia rispettato! 😉
      Non si preoccupi, ultimamente le proposte non solo non mi mancano, ma sono costretta a rifiutarne alcune perché non riesco a fare tutto quello che vorrei.

      La ringrazio per avermi rinnovato l’occasione di ribadire quanto sia preziosa la nostra fragilità, considerarla non un fallimento ma parte della vita e imparare ad accettarla per crescere come persone e professionisti.

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