Suggerimenti e tecniche per narrarsi online.

Blogger VS Giornalista: ha senso contrapporre?

Quando racconto che scrivo anche su un blog de Il fatto quotidiano o che per lavoro mi occupo di contenuti per alcune testate e blog aziendali, subito mi chiedono: “Ma allora sei giornalista?” come se l’assioma fosse immediato.

No, sono blogger.

Non ho tesserini, non ho frequentato la scuola di giornalismo e quello che mi interessa è soprattutto il web.

Ovviamente non mi farebbe schifo scrivere anche per la carta, ovviamente il lavoro di giornalista lo trovo affascinante fin da quando avevo 8 anni e scrivevo finti reportage di finti viaggi in Africa, usando l’enciclopedia come fonte.

Ma io faccio la blogger e sono due professioni diverse, con regole proprie, anche se questo non vuole dire contrapposte.

Da tempo, in molti si interrogano su questa dicotomia “blogger o giornalista?” e su cosa abbia più o meno autorevolezza. Per l’opinione pubblica il giornalista è certamente più autorevole del blogger: c’è di mezzo un esame, un tesserino, un Albo e una professionalità definita da qualche secolo di pratica consolidata. Il blogger comincia oggi ad acquisire dignità professionale: non si sa da dove arrivi e a volte nemmeno dove voglia andare, come se lo status di blogger sia un intermezzo per raggiungere qualche altro obiettivo (diventare giornalista, scrittore, opinionista televisivo).

Eppure forse, alla base di questa dicotomia c’è una percezione di immutabilità professionale poco realistica in un mondo del lavoro fluido e non lineare come quello della comunicazione.

Alla base del lavoro del  blogger, così come di quello del giornalista c’è la stessa cosa, ovvero una storia, una notizia, qualcosa da raccontare.

Differenze di processo

  1. Il giornalista documenta una notizia in maniera [presumibilmente] oggettiva, il blogger approfondisce (e/o) commenta in maniera esplicitamente soggettiva;
  2. L’identità virtuale del giornalista è veicolata dall’identità della Testata per cui scrive [nella maggioranza dei casi], il blogger scrive per una Testata perché si è costruito una forte identità virtuale, diventando un personaggio riconoscibile e accreditato su alcuni temi o ambiti;
  3. Un giornalista deve sempre accertarsi della veridicità delle fonti e [quasi mai] pubblica prima un pezzo, il blogger può prendersi il lusso di narrare anche la costruzione della notizia, in post successivi.

Differenze di stile

  1. Il giornalista ha una fede indissolubile per la carta stampata e cerca di declinare le medesime regole on line, pur provando un sentimento di amore/odio (quasi perverso) per tutto ciò che è Social e 2.0. Il blogger predilige la paratassi, i paragrafi che fanno respirare il testo, i grassetti e i link/fonte e scrive pensando anche a come il proprio post verrà indicizzato: titoli Calembour che sulla prima pagina del quotidiano che compri in edicola accattivano e incuriosiscono, sul web rischiano di “far sparire” il tuo articolo.

La relazione con il marketing

Su questo punto, potremmo dire che sia giornalisti che blogger, seppur in modo diverso, hanno una relazione conflittuale con il marketing. Arriva sempre, nella vita di entrambi, il momento di chiedersi come e se si vuole scendere a patti. Per mangiare bisogna un po’ farlo, ma il come segna la differenza.

Si può essere giornalisti e blogger rompimaroni e questo potrebbe cozzare con alcuni aspetti della professione che si è scelta. D’altronde – e lo dice una grandissima rompimaroni – il blogger ha forse una maggiore libertà d’azione nel far confluire nel suo ruolo pubblico anche questa caratteristica, trasformandola in un valore aggiunto e in una bella sfida professionale (sia per lui che per chi lo assume).

Se volete approfondire l’argomento ho estratto qualche articolo spunto interessante:

Blogger nel 2005, blogger nel 2012: cos’è cambiato?

Le amiche di GGD Bologna hanno organizzato un bellissimo percorso formativo per il contrasto del Digital Divide proprio nel mio quartiere che è culminato in una giornata di Bar Camp, oggi, in Sala Cenerini (via Pietralata 60) a Bologna.

Mentre scrivo si sta tenendo la seconda parte del Camp dedicata a Networking e Territorio. Siete ancora in tempo per unirvi e ascoltare i relatori o per seguire l’evento su twitter grazie all’hashtag #nodigitaldivide.

Io non sono lì perché oggi pomeriggio starò con la mia bimba e il non marito, visto che ultimamente – causa lavoro di entrambi – facciamo un po’ fatica a passare tempo insieme.

Stamattina però ho partecipato ai lavori, raccontando la mia esperienza di blogger e l’evoluzione del ruolo del blogger dal 2005 (quando ho aperto Panzallaria) ad oggi.
I blogger allora – di solito – non dicevano di esserlo e di sicuro si era ancora all’alba (tranne forse per i blog tecnologici) di una possibile declinazione professionale dell’esperienza on line.

Durante il mio percorso personale ho avuto la fortuna di assistere e vivere in prima persona, a volte anche sperimentando, questo cambiamento e se allora andavo ai colloqui di lavoro senza mai tirare fuori la mia identità on line (rigorosamente anonima), oggi è proprio grazie a quella che lavoro di più.

E se allora molte persone aprivano blog “inconsapevolmente”, per raccontare e fare rete con altri blogger, in una sorta di elite digitale, oggi c’è chi fa riflessioni profonde su come vuole stare in rete e con quali obiettivi (anche professionali) prima di aprirsi un blog.
Molto più di ieri, persone con cultura e età simile alla mia scelgono di aprire un blog per trasformarlo in un progetto imprenditoriale o per farne il proprio curriculum, cosa che nel 2005 accadeva solo per pochi (non certo per la sottoscritta).

Da una parte si è definita una professionalità, dall’altra si è creato un assioma “mitico” e non realistico, ovvero che  qualsiasi blog può diventare un lavoro.

Per quanto mi riguarda, mi sembra sempre fondamentale dire che per fare questo lavoro un blog è indispensabile, ma certo non basta e che la formazione ha un ruolo fondamentale.

Una formazione specialistica ma anche continua. Io non lavoro perché ho aperto Panzallaria ma perché ho alle spalle scelte precise, anni di studio e di gavetta che mi hanno portato a gestire Panzallaria in modo tale che potesse emergere e – di conseguenza – diventare uno spazio per farmi conoscere anche professionalmente e mettere in gioco la mia creatività.
Non è una differenza da poco e invito sempre, chi mi chiede consigli per fare questo lavoro, a non sottovalutarla.
Studiare, avere un progetto personale e professionale, valorizzare le proprie conoscenze e esperienza pregresse sono gli unici modi per poter fare questo lavoro.
Si può essere dei bravissimi blogger per talento personale, ma come in tutte le cose, il talento va affinato sempre.

La base “creativa” di questo lavoro va sempre accompagnata a uno spirito un po’ “ragioniere” e a una vision sulla propria formazione che non bisogna mai abbandonare.

Ecco le slides che ho usato oggi: mi hanno dato l’occasione di riflettere sul mio percorso in modo meno caotico di quanto non abbia mai fatto (che mentre vivi, è più difficile guardare le cose con obiettività).

Su storify il report dell’evento

Agenda digitale per Bologna, focus su formazione e digital divide. Considerazioni a margine

E’ un fatto che il Digital Divide – non solo d’accesso ma anche culturale –  è diventata una delle priorità da affrontare a Bologna,  per l’inclusione digitale dei cittadini.

Se qualcuno poteva nutrire dubbi a riguardo, bastava essere presenti al secondo giovedì dell’agenda digitale.

Non mi soffermerò sulle proposte perché per quelle ho fatto il report della serata su storify – attraverso i tweet dei partecipanti (almeno personalmente, mi sono impegnata molto per tracciare gli interventi più significativi in 140 caratteri ;-)) ma su alcune considerazioni a margine dell’evento:

  • se tutti noi che ci occupiamo, a vario titolo, di formazione e alfabetizzazione al web e ai social media sul territorio ci coordinassimo, con incontri e un censimento preciso, la spinta all’inclusione sarebbe davvero massiccia e aperta a varie fasce di persone, Istituzioni, realtà;
  • i giovedì dell’agenda digitale sono un’opportunità importante, ma data la sete di dialogo con il Comune, occorre limitare il tempo dei singoli interventi. Ieri c’è stato un divario pazzesco tra chi ha “sforato” alla grande gli 8 minuti e chi, come me, ha tentato di rassodare il proprio intervento programmato in 3 minuti e con la chiara percezione che in pochi stavano ascoltando;
  • le slides, queste sconosciute! Capita troppo spesso di assistere a interventi potenzialmente interessantissimi che si legano a slides indecifrabili o semplicemente riciclate da altri eventi (più accademici) e assolutamente off topic rispetto alla platea. Purtroppo quando capita, le slides diventano un virus mefitico che si mangia l’intervento: non so voi, ma io non riesco a non pensare al fatto che non sto capendo niente, perversamente attratta dai geroglifici che compaiono sullo schermo. Luisa Carrada, nel 2000, aveva scritto un tutorial efficace sulle presentazioni in power point, trovo che sia ancora molto valido. Nel 2005 ha ripreso in mano l’argomento con un post ancora più chiaro e esplicativo di come fare delle slides per una presentazione. Un articolo interessante su cosa fare (e cosa non) lo si legge anche su BusinessWriter. Personalmente credo che sia importante portare slides che siano solo un supporto alla discussione, con una presenza di schemi visuali e che – soprattutto – le slides NON vadano mai lette. Sono una zeppa del pensiero e un appunto da consegnare al pubblico, per quando si torna a casa.
  • usabilità dei contenuti: spesso chi ha parlato lo ha fatto usando linguaggi tecnici: ricordiamoci che la platea siamo tutti noi cittadini e non solo gli operatori del settore. Il linguaggio uomo, in certi casi, è preferibile a quello “macchina”. Al di là delle provocazioni scherzose, forse dovremmo ricordarci che di fronte a noi ci sono persone che potrebbero anche non saperne nulla ma che hanno tutto il diritto di capire. Anche un linguaggio troppo tecnico, alla lunga, può diventare escludente e quindi trasformare un’occasione aperta in una proposta che si rivolge solo a un’elite di persone che certe cose già le sanno;
  • location: l’Urban Center è un posto che amo, credo sia importante essere in un luogo così simbolicamente centrale come Biblioteca Sala Borsa, ma le dimensioni e la struttura della sala non sono efficaci per il tipo di coinvolgimento richiesto dall’evento “Agenda digitale”. Le persone coinvolte sono tante e fa subito caldo, le sedie sono scomode (e non solo per gli over-size come me) e lo sviluppo in lunghezza della sala non permette di avere una visione circolare. Diciamo che per un evento che si occupa di rete servirebbe una sala meno “sequenziale”.

Detto questo, per me è stata un’occasione importante: come ha detto bene Linda Serra di GGD Bologna (proposta che io stessa supporto e ho voluto fare emergere proprio durante il bar camp GGD di sabato scorso) servono luoghi di aggregazione dove incontrarci, confrontarci e fare rete locale sui progetti digitali a Bologna. Non solo associazioni ma anche libero professionisti come me. Luoghi ad accesso (quasi) gratuito, con wi-fi e possibilità di incontrare partner o potenziali clienti e sviluppare idee innovative per la città.

Le slides che (non) ho usato ieri:

Flavia Marzano: live blogging del suo intervento a GGDBO11

Flavia Marzano, Presidente degli Stati generali dell’innovazione, ha partecipato, sabato 18 febbraio 2012, a GGDBo11 dedicato all’agenda digitale e al ruolo delle donne.
Ha rilasciato una bella intervista a GGD Bologna. Ho raccolto i tweet più significativi del suo intervento, in attesa di poter accedere anche alle slides, che come lei stessa dice, sono in CCommons.

Bravi a Wired Italia!

Ricevo il numero di febbraio di Wired Italia e mi fa molto piacere leggere l’INBOX di questo mese a pagina 17.

Dopo questo post: Wired e le donne  e dopo le diverse segnalazioni di tante persone, sia in merito alla carenza di contributi femminili, sia riguardo alla pubblicità  la rivista ha fatto OUTING.

Sono stati bravi perché non si sono malamente giustificati ma hanno risposto con rispetto alle persone che chiedevano conto di alcune scelte editoriali.

Confermo che tra i contributi di questo mese spiccano 5 donne.

Chapeau! 

Queste sono le piccole, buone notizie che fanno sperare che un’altro genere di comunicazione è possibile! 

Wired - febbraio 2012, pg 17 rubrica "Inbox"

 

Un blog per la scuola: obiettivi e slides introduttive

Una parte del mio lavoro è dedicata alla formazione con l’obiettivo di ridurre il digital divide generazionale e contribuire a un’alfabetizzazione consapevole all’uso dei Social Media e alla pratica del digital storytelling.

Oltre al corso Gioco di Squadra – che si rivolge a genitori e insegnanti – ho iniziato un progetto sperimentale alle scuole medie Dozza di Bologna: costruire un blog insieme a studenti e insegnanti.

Gli obiettivi di questo percorso sono molti:

  • realizzare uno spazio virtuale a disposizione della scuola per raccontarsi e raccontare il quartiere attraverso uno storytelling partecipativo;
  • creare consapevolezza su cos’è un blog, come possono essere usati i social media e quali sono le prerogative di ciascuna piattaforma e del mezzo;
  • orientare alle professioni del web: ogni lavoro è fatto di fatica, studio e formazione continua, anche questo. Esistono differenti professionalità in gioco e attualmente si tratta di lavori che “ancora reggono” alla crisi. Non ci si può però inventare blogger o social media manager.
Il percorso formativo prevede una prima lezione introduttiva ai blog e all’uso della Rete per creare un progetto di narrazione scolastica e poi una serie di incontri con un gruppo ristretto di studenti e insegnanti che  – coordinati da me – creeranno una vera e propria redazione web per la creazione e gestione del blog scolastico.
Gli insegnanti delle scuole medie Dozza di Bologna sono persone avvedute e molto attente;  devo davvero ringraziarli per l’occasione che stanno offrendo a me, ma credo anche alla loro scuola.
Il fatto che l’Istituto sia dotato di lavagne interattive multimediali (LIM) è un vantaggio notevole: nell’avanzamento del percorso ci sarà bisogno anche di internet ma, trattandosi di un gruppo ristretto, potremo usare l’aula informatica della scuola.
Il progetto sta suscitando l’interesse degli studenti (in particolare gli stranieri sono entusiasti all’idea di poter raccontare anche la storia della loro famiglia e delle loro, differenti, culture) e anche degli insegnanti. Durante i diversi scambi avuti con professori, maestre e genitori, in questi mesi in cui sto promuovendo i miei corsi per la scuola, ho avuto l’impressione di aver “colto nel segno”: è maturata una sana consapevolezza che, per usare bene la rete, sia necessario evitare stereotipi demonizzanti o facili entusiasmi e invece si debba imparare a conoscerla.
Non è un caso che mi abbiano invitato anche in un’altra scuola media per un approfondimento sulla netiquette rispetto ai social media (Facebook in primis), privacy, uso consapevole del profilo e della propria identità reale e dei “giochi a pagamento”.
Queste esperienze sono fondamentali per me e davvero entusiasmanti: è molto bello anche il dialogo che si sta creando con alcune strutture scolastiche e associazioni, presso le quali, prossimamente, terrò alcuni dei miei corsi.
Io ho pianificato un’offerta ma le singole declinazioni si sono tarate sulle esigenze della scuola o gruppo di lavoro.
Impariamo tutti: io per prima che, nell’ascolto delle esigenze degli adulti e interessi dei ragazzi, posso davvero fornire un servizio completo e personalizzato.
Di seguito le slides della mia prima lezione alle Dozza, a disposizione dei ragazzi e degli insegnanti, ma anche dei lettori.
Chi fosse interessato ai miei corsi (Bologna e limitrofi) può contattarmi in privato.

Gioco di squadra: orientamento ai genitori per l’uso consapevole della rete insieme agli adolescenti a Bologna

[I nostri figli per fare RETE hanno bisogno di un buon GIOCO DI SQUADRA!]

Ecco il progetto di formazione che propongo alle scuole medie di Bologna e provincia.

OBIETTIVI

Gioco di squadra è un progetto di formazione che si rivolge alle scuole medie e ai genitori di ragazzi (11-13 anni) per la riduzione del DIGITAL DIVIDE generazionale e l’accompagnamento a un buon uso del web e dei Social Media (Facebook, Twitter) da parte dei ragazzi.

I giovani devono entrare in Rete sapendo che hanno alle spalle una squadra affiatata e in grado di supportarli: quando un adolescente comincia a usare il web e i Social Media (Facebook, Twitter) in autonomia, i suoi genitori devono conoscere gli strumenti, i pericoli ma anche i VANTAGGI di un uso consapevole della Rete.

 DOCENTE

Gioco di squadra è un progetto di Francesca Sanzo, mamma e blogger molto attiva. Da free lance si occupa di comunicazione, Social Media marketing e contenuti per il web.

Con Studio Lost ha fondato il gruppo Sana e robusta comunicazione per promuovere una comunicazione che rispetti e valorizzi le persone. Insieme a Giorgia Vezzoli si occupa anche di comunicazione etica con il progetto Zerostereotipi.

IL PROGETTO

Gioco di Squadra si rivolge ai genitori e insegnanti di adolescenti di scuola media per la riduzione del divario generazionale nell’uso degli strumenti offerti dal web.

I temi del corso sono:

  •   La rete: pericoli e vantaggi;
  • Fare i compiti usando il web: differenze tra “copiare” e usare con consapevolezza le fonti;
  • Parental Control: cos’è? come funziona?;
  •  Facebook: che cos’è, come funziona, chi si incontra e come si gestisce in maniera sicura il proprio profilo;
  • Facebook: “diventare amici” dei propri figli senza essere scambiati per controllori;
  • La chat e telefonia on line (Facebook, Skype);
  •  Il blog come strumento di comunicazione (anche per la classe);
  • Una panoramica sui principali Social Network: Youtube, Twitter, My Space;
  • Dal virtuale al reale: come gestire la richiesta di incontrare amici virtuali.

 IL CORSO: gestione

Il progetto può essere gestito a moduli a seconda delle esigenze della scuola. Le opzioni praticabili sono due:

  •  MODULO BASE – 2 lezioni di 2,5 ore ciascuna (informazioni generali)
  • MODULO ESTESO – 4 lezioni di 2,5 ore ciascuna

ESIGENZE TECNICHE PER LA REALIZZAZIONE DEL CORSO

  •  Video proiettore
  • Collegamento a Internet (meglio in opzione Wi Fi)
  • Aula PC (con pc disponibili per i discenti) o aula con videoproiettore

Durante il corso verranno forniti materiali di approfondimento e segnalazioni bibliografiche.

 Per informazioni e contatti:

Mail: francesca.sanzo@gmail.com – Skype: francesca.sanzo

Spam or not Spam?

[Si diventa spammer in un attimo, mentre per farsi una reputazione ci vuole tempo, lavoro, passione e rispetto per gli altri.]

La maggior parte delle persone crede che lo spam sia solo quello che arriva via mail e che lo spammer sia una brutta persona che passa la notte a bere caffè e a studiare modi malefici per spillarti soldi, con messaggi di posta scritti in brutto italiano che ti invitano a cambiare il codice della tua carta di credito o ad accrescere la lunghezza del tuo pene, per rubare tutti i tuoi risparmi. Continua a leggere

Perché usare twitter?

[Quello dei Social Media deve essere un uso consapevole e di ognuno occorre distillare le caratteristiche perché dialoghino con i nostri obiettivi interni]

 

Premetto che questo articolo si basa solo sulla mia esperienza e sulla sperimentazione diretta.

A me Twitter piace moltissimo: ha qualità intrinseche che lo rendono molto apprezzabile sia per il personal branding che per la gestione della comunicazione dei clienti.

Twitter  permette di seguire un flusso di post informativi (max 140 caratteri) dei propri followers e di coloro che vengono rilanciati da chi hai deciso di seguire (non necessariamente le persone che segui coincidono con quelli che ti seguono). Per saperne di più sul funzionamento meccanico e le specifiche tecniche, rimando alla ottima pagina di Wikipedia.

Secondo gli ideatori di Twitter, non si tratta di un Social Network ma di un Information Network. 

“Twitter is for news. Twitter is for content. Twitter is for information”. (fonte Tagliablog)

Differenze d’uso con Facebook

Facebook è biunivoco e si basa sul concetto di reciprocità:  c’è una bacheca chiusa, in cui puoi seguire ed essere seguito solo da utenti “amici”  e le due pratiche coincidono, mentre Twitter no. Non necessariamente chi segui coincide con chi ti segue, o viceversa. Proprio per questo motivo Twitter permette una maggiore serendipity, ovvero offre l’opportunità di venire a contatto anche con informazioni e notizie che non stavamo cercando ma che ci accorgiamo essere di nostro interesse. L’interfaccia di Twitter è semplice e il flusso di post non è interrotto da applicazioni, giochi e pubblicità.

Tag e hashtag

I TAG (@) e HASHTAG (#) permettono di condividere con altri e aggregare tematicamente informazioni in maniera molto rapida ed efficace. L’hashtag, in particolare, offre numerose possibilità di tematizzazione che si sono rivelate utili in molte occasioni.

I Tag (@) servono a coinvolgere altri nella conversazioni, chiamandoli in causa per citarne un articolo o per chiedere un parere. Ad es.: @ciccio ha scritto un bellissimo post qui: ….. Quando menzioni qualcuno attraverso un tag, a lui arriva una segnalazione e ti può ringraziare per averlo fatto.

Gli Hashtag (#) diventano dei veri e propri aggregatori istantanei di contenuti e informazioni e vengono molto apprezzati durante il live blogging di eventi o per manifestazioni di cittadinanza attiva on line. Quando un hashtag è usato contemporaneamente da molte persone, diventa un tema di tendenza condiviso nella sidebar di destra e che può essere seguito e scoperto da chiunque. Funzionano come potente motore di ricerca che crea parole chiave dal basso.

Come lo uso io

Attraverso gli hashtag locali mi informo su quanto viene scritto sulla mia città: eventi, news, riflessioni politiche. Mi basta inserire nel form per la ricerca #Bologna o collegarmi alla lista delle mie ricerche salvate per poter accedere direttamente al flusso di post tematizzati.

Seguo i temi di tendenza in Italia e nel mondo in modo da farmi un’idea generale di quelli “caldi” per potermi informare in diretta.

Twitter è stato recentemente fondamentale durante l’alluvione in Liguria e in particolare a Genova. Attraverso una serie di hashtag che si erano imposti nel momento, tutti abbiamo potuto seguire in diretta il drammatico evolversi degli eventi e – cosa più importante – i genovesi si sono scambiati informazioni fondamentali su quello che stava succedendo in città e su dove occorreva aiuto o era meglio non transitare.

In maniera molto significativa, è stato  proprio il Comune a invitare la popolazione ad aprire la propria rete wi-fi casalinga per permettere a tutti di  twittare rapidamente attraverso il proprio dispositivo mobile. Esistono infatti varie App (sia per I phone che per Android) che permettono di installare direttamente sul proprio smart phone twitter. E’ di qualche giorno fa la notizia che in questi giorni si sia imposto l’hashtag #veniteagenova per favorire la ripresa della città e che i cittadini stessi presenti su twitter stiano promuovendo eventi per richiamare turismo e farla rinascere, in una sorta di Proloco autoorganizzata dal basso.

Un hashtag molto interessante è #opencamera con cui alcuni deputati di vari schieramenti politici fanno la cronaca di tutte le sedute parlamentari e dialogano con quanti la seguono.

Individuare un hashtag efficace che scala la classifica ha alcuni vantaggi di comunicazione che non sottovaluterei:

  1. permette di aggregare contenuti in maniera tematica in una rete allargata di persone che – altrimenti – non saprebbero dell’esistenza gli uni degli altri, ne’ comunicherebbero tra loro.
  2. fa emergere temi altrimenti sommersi all’ordine del giorno non solo di chi li ha già tra i propri interessi e scopi, ma anche tra chi non ne sa nulla. Per alcune questioni, come per esempio quelle legate agli stereotipi di genere che vengono sempre derubricate a notizie di serie B, potrebbe essere uno strumento di grande efficacia per aumentare la consapevolezza intorno all’urgenza di discuterne e risolverle. Io sto patrocinando il progetto Un hashtag per i femminismi.

I contenuti dei propri followers possono essere retwittati, ovvero condivisi e rilanciati sulla propria bacheca, a disposizione di altri che possono rilanciarli a loro volta e contemporaneamente venire a conoscenza della fonte.

Twitter si basa sulla credibilità di chi posta: come spesso accade in rete, la nostra fiducia nella persona (o Ente) si trasforma in una specie di garanzia ed è più facile che un contenuto rilanciato da qualcuno che stimiamo o che ha interessi simili ai nostri, diventi rilevante anche per noi, nel rumore di fondo prodotto costantemente sul web.

Le liste

Puoi aggiungere le persone che segui a liste e seguire a tua volta le loro liste. Si tratta di un’ ulteriore ripartizione tematica che rende più efficace la tua ricerca (per saperne di più leggi l’articolo su Twitterando)

Strategie di posizionamento sui Social Media: perché usare anche Twitter e con quali specificità

Facebook si è imposto come Social Network per eccellenza, ma anche questo è uno stereotipo di comunicazione che banalizza la potenzialità dei Social Media.

Un’azienda o chiunque voglia posizionarsi al meglio in rete, rafforzando la propria identità e comunicando la propria etica può farlo anche usando Twitter.

Io consiglio di procedere in questo modo:

  1. Contenuti: l’identità si comunica attraverso contenuti efficaci, interessanti e che migliorino la qualità della vita (o almeno della conoscenza) delle persone, contribuendo con un plus informativo. E’ quello che io chiamo il digital storytelling, ovvero il racconto condiviso dell’identità che passa attraverso la rete e genera empatia e identificazione. I contenuti devono avere un supporto specifico (blog, sito aziendale).
  2. Rete: ogni entità (persona, azienda) è inserita in un’area tematica, un orizzonte di interessi e obiettivi ed è in quella che si deve posizionare, aumentando la propria conoscenza attraverso i contributi degli altri e rendendo disponibili i propri agli altri. Condividere link interessanti, risorse e creare una narrazione fatta anche dei propri interessi e del dialogo proficuo che nasce con chi si occupa di temi analoghi è sinonimo di volontà di miglioramento continuo fatto di ascolto e relazione. Tessere la rete è quindi uno dei valori fondamentali per una sana e robusta comunicazione in rete.
  3. Presenza sui Social Media: essere su Facebook e Twitter non DEVE ESSERE un must. Prima di aprire una pagina su Facebook o un account su Twitter,  dovremmo riflettere su molti fattori. Non è questo il tema del post, per cui non mi dilungherò sulle strategie generali. Puntando allo specifico, penso che Twitter non debba duplicare la pagina di Facebook rilanciando propri post (quindi con una logica promozionale da Old Media) ma valorizzare la nostra presenza on line individuando e valorizzando le specificità del mezzo. Segnalare eventi tematici (non necessariamente solo di nostra produzione) in giro per il mondo, rilanciare post interessanti (taggando le fonti in modo che sappiano che li apprezziamo) e fare liveblogging durante i convegni a cui andiamo, perché i punti-chiave dei contenuti possano essere condivisi anche da chi non c’è, sono pratiche che vedono in Twitter lo strumento più efficace. Quello dei Social Media deve essere un uso consapevole e di ognuno occorre distillare le caratteristiche perché dialoghino con i nostri obiettivi interni. Rilanciare news e informazioni su twitter con la consapevolezza dei vantaggi di tag, hashtag e liste è un valore aggiunto e peculiare che non deve essere sprecato.

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Di narrazioni e verosimiglianza

Sono laureata in Lettere. Non ho un Master in economia ma in informatica. Mi occupo di comunicazione, in qualche modo di marketing, perché mi è richiesto di promuovere e fare conoscere oggetti, valori, persone, progetti. Potrebbe sembrare un percorso strano il mio. Eppure il legame inscindibile tra bit e parole mi ha portata qui, a raccontare quello che faccio, sperando che incuriosisca qualcuno, scegliendo le parole come fossero pietre preziose.

Di fatto non è altro che questo: narrazione.

Social Media Marketing, Personal Branding, Digital P.R altro non sono che modi diversi di raccontare storie verosimili, efficaci, che rappresentino al meglio l’identità di qualcuno o qualcosa.

Il verosimile, secondo Todorov, si ottiene da un racconto ben strutturato che non è più solo un riflesso di realtà ma discorso che acquisisce autonomia e dignità propria.

Per quanto mi riguarda l’obiettivo delle strategie che si applicano sul web per fare emergere un contenuto, posizionare un’azienda o un professionista,  deve essere la verosimiglianza palese.

Il racconto è solido, ben strutturato e radicato nell’etica e nei valori del progetto, ma proprio perché racconto e narrazione, non può e non deve essere vero ma apertamente verosimile, identità virtuale con responsabilità e conseguenze sul reale.

Di fatto altro non è che narrazione.

Lo dice meglio di me una delle maggiori creative del nostro Paese, Annamaria Testa.

Su Nuovo e Utile, il suo sito, proprio questa settimana parla della potenza delle narrazioni in rete e in una frase chiude un mondo, il mondo delle persone che si sono cesellate una professionalità grazie al loro personal storytelling. E proprio nel momento in cui mi sto rifacendo il look al sito, mentre sto ridefinendo la mia identità e nella ricerca ossessiva di un’etichetta professionale, tra le tante cose che faccio, ho capito che in fondo, in tutti questi anni, non ho fatto null’altro che Digital Storytelling, mi arriva come una bevanda energetica:

Le narrazioni spiegano il mondo che viviamo e trasmettono visioni che vibrano come la vita. Sono qualcosa che la rete capisce, valorizza e diffonde. (fonte Nuovo e Utile)