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Quel camorrista in fuga di mio suocero

Mio suocero guida come un camorrista in fuga: percorrere 40 chilometri in auto con lui ti da il tempo di guardare scorrere tutta la tua vita e ti fa rivalutare molte cose che non avevi considerato.

L’amato nonnetto fa parte della categoria dei “sempre verdi”: coloro che esercitano la propria giovinezza interiore scattando veloci al verde semaforico per posizionarsi stabilmente e costantemente alla sinistra estrema della propria carreggiata.

Non perde la calma lui. E se tu gli fai presente che potrebbe stare a destra, ti risponde candidamente che tanto le vede arrivare le macchine, di non preoccuparti.

Tu abbozzi un mezzo sorriso nervoso (che assomiglia tanto a una paresi), guardi tua figlia sul sedile posteriore con occhio dolce per non comunicarle ansia (intanto pensi alla sua tenera e giovane vita, messa a repentaglio così, dallo spirito d’avventura del grande vecchio) ti attacchi alla portiera come se fossi al Camel Trophy e spingi con i piedi a comandare invisibili pedali (specialmente frenanti!)

Forse questo bisogno di cambiamento che ti attanaglia da qualche mese è giunto a un punto di non ritorno.

Se sopravvivi devi dimagrire. Se sopravvivi devi pianificare meglio e con maggiore concretezza la tua “carriera” professionale. Se sopravvivi devi cominciare a viaggiare, uscendo dall’incantesimo “Vecchiume” che ti ha bloccato per qualche anno, schiava delle tue inutili preoccupazioni e catene.

Se sopravvivi sarai una persona migliore, una madre migliore, smetterai di prendertela per i nonnulla, comincerai a dimostrare il giusto sdegno di fronte alle cose importanti.

Se sopravvivi taglierai le catene, i cordoni ombelicali inutili, le formalità senza senso. Se sopravvivi non ti metterai mai più in situazioni che non ti rappresentano e che poi ti ingabbiano, con la rabbia di sapere che la gabbia l’hai arredata tu.

Giungi sotto casa. Tua figlia dorme placida, incosciente del pericolo appena sventato. Lui fa inversione per permetterti di scaricare le ennemila cose che ti tenevano attaccate all’incantesimo Vecchiume e proprio mentre ti rendi conto che si, sei sopravvissuta, un rumore secco come di ramo spezzato fa breccia nella tua testa. Ti volti di scatto a sinistra, da dove quel rumore proviene e ti accorgi che in un colpo solo è riuscito a salire sul marciapiede e a staccare di netto lo specchietto retrovisore di un’auto. Sei già lì che valuti tutta la trafila della confessione, il tuo ruolo attivo nell’incentivare il pentimento parentale, quando ti accorgi che lo specchietto che ha staccato è proprio quella della tua auto, la mitica ‘Unto da rottamare, parcheggiata sotto casa ormai in coma vigile.

Mentre prendi in braccio tua figlia per portarla nel suo letto, al sicuro nel tuo appartamento, tra i miagolii dei tuoi gatti grati del vostro rientro, sono due le certezze che hai:
1) tagliare tutte le catene che ti sei (vi siete, come famiglia, come coppia) imposte
2) sperare che al prossimo rinnovo della patente, in qualche modo, qualcuno fermi il camorrista in fuga.

L’uomo Denim sulla strada

Alzi le mani chi non è mai stato fregato da un qualche navigatore satellittare [barra] online quando da un punto A si deve dirigere a un punto B.

Non ci credo, se qualcuno sta alzando la mano secondo me  mente.

Prima di tutto con se stesso. Ed è sicuramente maschio. Perché i navigatori piacciono un casino ai maschi, è evidente.

Gli uomini vanno in brodo di giuggiole quando possono farsi amico un macchinino che sputacchia fuori una voce rassicurante o sensuale e gli sciorina l’atlante stradale con tanto di segnalazione di autovelox. Noi donne invece no, stringiamo forte la cartina, quella spiegazzata che transita in auto dal 1920 e preferiamo di gran lunga VEDERE e TOCCARE con mano strade e autostrade del mondo, seguendole con il polpastrello, mentre ci concentriamo per non perdere il segno.

Da quando fu inventata la ruota la dicotomia stradale tra i generi ci ha segnato più delle mestruazioni.

Loro, i maschi, amano sentirsi autonomi, indipendenti e ipertecnologici alla guida, noi invece coltiviamo un romantico spirito di viaggiatrici e preferiamo la narrazione, quella su carta o anche quella orale.

L’uomo Denim non deve chiedere mai, la donna che viaggia invece apprezza molto “il dialogo costruttivo”. Le piace avvistare da lontano un vecchietto, una mamma con bambino, un ragazzo che fa footing e tirare giù il finestrino (e il rumore della manovella meccanica alle volte è proprio la ciliegina sulla torta) per domandare.

C’è tutto un mondo per le strade del mondo e vuoi mettere la gioia di poter guardare le facce pensose di chi si interroga su dove cavolo sia la tal strada e come farà a spiegartelo, lui che magari la percorre tutti i giorni e mica ci ha mai pensato al percorso che fa e al doverlo raccontare e ora invece è costretto a fare i conti con la propria geografia sentimentale per trasformarla in un segno sulla cartina?

C’è la volta che trovi l’indicatore simpatico e ciarliero, che alla fine ti fa un mezzo interrogatorio su dove vieni, dove vai e perché e quello serio, serio, molto compreso nel suo ruolo che coltiverà tutto il giorno un malcelato senso di colpa nei tuoi confronti (e se ho dato un’indicazione sbagliata?). C’è quello di poche parole, quello incasinato che se gli chiedi dov’è via Pincopallo ti risponde “molto, molto dritto a destra” e intanto si profonde in gesticolazioni  alla Totò.

Vuoi mettere rispetto alla vocetta sterile del macchinino o a una mappa su internet che spesso non sai da che parte la devi guardare?

Poi diciamolo, 1 volta su 2 il navigatore si sbaglia. Probabilmente è un alcolista anonimo messo su strada da un pazzo, io non lo so. Entra in crisi poverino, gira e rigira su se stesso. Succede così che l’uomo alla guida (per lo meno Tino) ha dei tentennamenti ma non vuole ammettere che la sua fede nella tecnologia sta per crollare e allora – pedissequo – segue le indicazioni di quel pazzo idiota che a un certo punto si rompe i coglioni e il più delle volte prova a farti tornare al punto di partenza. Da lì sarà più facile ricominciare tutto da capo!

Succede che io mi metta a borbottare in quei casi, sono prima dei timidi “Ma sei sicuro che stiamo andando nella direzione giusta?” per poi trasformarsi in “Io odio il navigatore, ti prego fermati che trovo un passante!” e per un po’ – nel caldo dell’abitacolo – si consuma l’eterna lotta tra techné e fantasia.

Perché, diciamolo, anche quella dell’adescamento del passante è una nobile arte: non tutti sono adeguati e con un po’ di allenamento dell’intuito si può imparare ad evitare sordomuti, stranieri, turisti più persi di noi e bambini al di sotto dei 10 anni.

Ma il maschio italico, uomo Denim per eccellenza, di rado cede. Di rado vuole ammettere che c’è proprio bisogno di un passante, che il navigatore può essere spento (se fosse per me buttato fuori dalla finestra!) e che la cosa migliore è spogliarsi del proprio ruolo geek per entrare nella vita di uno sconosciuto e invadergliela con una domanda molesta su come affrontare la sua città.

Quando l’uomo Denim è allo stremo (e tu hai un muso lungo che tocca il pavimento e gli hai già recriminato tutti i percorsi mendaci della vostra relazione), cede e ti permette di abbassare quel maledetto finestrino. Non è mai priva di sofferenze questa azione, lui fa l’indifferente ma dentro di se soffre moltissimo, mentre tu spalanchi un sorriso al passante e ti appigli a lui come fosse un ombrello sotto la tormenta.

A questo punto, tu che gli hai sfrancicato i maroni per mezz’ora affinché la smettesse di cedere alle malie tecnologiche, dovresti quanto meno ascoltare quel che insegna suddetto passante. Prendere appunti, visualizzare incroci e semafori. E invece no. Sei talmente beata dall’aver potuto domandare, dal guardare le rughe o il sorriso di chi hai davanti, dallo scoprire un accento o un dialetto, dal guardare la strada che percorre uno che ha un’altra storia dalla tua, in un posto che non conosci, che

una volta tirato su il finestrino

per fortuna che l’uomo Denim ha usato le sue antenne lunghissime per appuntarsi il percorso

se no

siete punto a capo. E tu ti incazzi pure perché è lui che guida porcaputtana, mica tu!

[Foto in licenza CC – flicrk.com – di  poplechuguita]