Durante la nostra minivacanza con i Cicci, siamo stati al Mart di Rovereto: uno dei maggiori musei d’arte moderna e contemporanea in Italia.
Bellissimo. Non ci sono davvero parole per descrivere l’incanto di fronte alla struttura di Botta e Andreoli. La foto che vedete quassù rappresenta la struttura (credo una specie di meridiana architettonica) della grande piazza coperta antistante l’entrata: la chiave della serratura attraverso cui guardare il cielo.
Siamo entrati in 9: 6 adulti e 3 bambini. Oltre a Frollina e al suo amico Ciccio (5 anni) c’era anche la piccola Bù (2 anni).
Alla biglietteria siamo stati accolti dalla consapevolezza che in quel posto i nostri figli erano ben accetti. Ce lo diceva a chiare lettere questa brochure informativa, ben in vista sul banco.
Io sono sempre molto contenta quando insieme a Frollina andiamo in un museo, specie se ci sono dei quadri. Lei è in una fase “pittorica” davvero spumeggiante e – se potesse – decorerebbe tutta casa nostra. Ha una fantasia iconografica straripante e ci piace molto ascoltare la lettura che fa delle grandi opere. Come dice Art Attack, i bambini non hanno le nostre sovrastrutture e di fronte ai quadri riescono a tornare all’essenziale, vedono cose che a noi sfuggono ma che spesso ci servono per guardare in maniera più piena.
Nei musei spieghiamo sempre ai bambini che
non si urla;
non si corre;
non si toccano i quadri o le opere;
non si da fastidio alle persone intorno.
Piccole regole, essenziali per la convivenza pacifica e per il rispetto della cultura.
Ma nei Musei cerchiamo sempre di:
- raccontare in maniera interessante e non intellettualistica i quadri perché anche i più piccoli possano guardarli senza annoiarsi ma anzi con curiosità;
- ascoltare quello che hanno da dire i bambini su quello che vedono.
Questa opera di
Lucio Fontana che si chiama “
Concetto Spaziale. La fine di Dio” è stata raccontata in 4 modi diversi a seconda di come la guardavamo secondo distanza prospettica e sentimento. Per Frollina era prima un prato rosso da cui spuntavano, rompendolo, fiori bianchi e poi – in distanza – un uovo di dinosauro da cui stava uscendo il piccolino.
Possiamo darle torto?
Non è anche questo un modo per guardare all’arte dall’alto dei propri 5 anni?
Il Mart, proprio perché Museo di arte contemporanea, si presta tantissimo a una visione non convenzionale, di cui i bambini sono maestri. Può diventare un esercizio per noi e per loro. Per noi perché – come dicevamo – ci libera per un pomeriggio dalle sovrastrutture, per loro perché li avvicina all’arte senza il peso dell’intellettuale, facendo spazio alla creatività, unica forma di fruizione in un momento in cui la vita è soprattutto gioco.
Eppure ieri è successo qualcosa che ci ha dato molto fastidio. Ha toccato tutti gli adulti presenti.
Eravamo appena entrati nella prima sala dedicata alla mostra temporanea di
Gino Severini. Eravamo in pochi (era quasi l’ora di pranzo) e abbiamo cominciato subito a cercare il primo quadro da guardare. I bambini erano tranquilli, nessuno di loro urlava o tentava di portarsi a casa qualcosa.
Ci si è immediatamente fatta vicina una delle guardie della Sala per dirci di dire ai bambini di parlare piano e che se volevamo, uno di noi poteva andare con i piccoli al
Baby Mart, mentre gli altri guardavano la mostra. Il Baby Mart è uno spazio allestito per giocare, non ci sono quadri ma libri per bambini, come quelli presenti nella nostra biblioteca.
Ci siamo sentiti un po’ aggrediti. Abbiamo risposto gentilmente che ci faceva piacere che i nostri figli guardassero la mostra e che al Baby Mart ci saremmo andati, eventualmente, dopo. Per farli riposare un po’.
Da quel momento non abbiamo potuto muovere più di cinque passi senza che un solerte guardiano non ci seguisse, incalzasse per il rispetto di un rigoroso (ma davvero sostanziale?) silenzio e non ci ripetesse che non ci si avvicina ai quadri ogni volta che i bambini si muovevano (e non nella direzione dei quadri!). Ci siamo sentiti dei terroristi con la bomba pronta ad esplodere.
Ad un certo punto Art Attack ha preso in braccio Ciccio per mostrargli più da vicino un quadro (Art Attack ci lavora con i dipinti antichi per cui sa quello che fa e non perde mai di vista l’eventuale distanza di sicurezza) ed è stata subito redarguita.
Si respirava un clima “ansiogeno” e senza alcun motivo.
Io – onde evitare qualsiasi complicazione – ho fatto una ramanzina preventiva a Frollina (mi sentivo molto Bush!) dicendole che non doveva assolutamente toccare i quadri e che se fosse successo qualcosa a uno di quei dipinti sarebbe stato un danno incalcolabile perché nessuno avrebbe più potuto guardarlo, ma anche che – probabilmente – avremmo dovuto vendere la casa per ripagarlo.
Lei si è talmente convinta che andava in giro e ripeteva agli altri due di non avvicinarsi “se no il Museo ci ruba la casa” ;-(
La mostra ci è piaciuta molto e tutto il Museo è davvero bello, però.
Però credo che il clima fosse davvero esageratamente restrittivo per i bambini. L’arte è di tutti, anche loro. I bambini di oggi sono gli adulti di domani e l’Italia dovrebbe essere un grande parco culturale a disposizione delle persone, non un accrocchio di rovine in vetrina che prendono polvere nascoste dietro a cataloghi dal linguaggio involuto.
L’arte dovrebbe essere popolare. Almeno quella che sta dentro ai grandi musei costruiti dalle città.
Nella maggior parte dei Musei europei – e non solo quelli dedicati alla scienza e alla tecnica, luoghi facilmente declinabili alle esigenze dei più piccoli – i bambini si siedono in cerchio di fronte ai quadri e insieme ai loro genitori li guardano, ne parlano, costruiscono il loro piccolo zainetto di ricordi artistici, mettendo in moto proprio quei meccanismi senza i quali nessuna cosa può chiamarsi opera artistica.
La proposta di relegare i bambini in spazi circoscritti “con tappeti morbidi” e libri è sicuramente vantaggiosa per spezzare le giornate delle famiglie in gita, ma non può diventare l’alternativa. Esclude loro dal mondo (e il mondo non è declinabile in maniera artificiale ma solo per l’approccio diverso che ha un bambino rispetto ad un adulto ad esso) e esclude il dialogo tra noi e loro di fronte all’arte stessa.
Non mi va di pensare all’Italia come a una summa di ghetti, quello per gli anziani, quello per le famiglie, quello per i single e quello per i bambini. Non è un po’ triste? Non è un po’ limitativo?
Certo, non tutti i musei sono così e anche la mia visione del Mart è limitata alla nostra singola esperienza, ma quello che ho sentito ieri non mi è piaciuto per niente, era in netto contrasto con il senso e la natura stessa di quel Museo.
Certo, probabilmente con le scolaresche è diverso, perché è tutto istituzionalizzato, c’è una guida esperta con i bambini. Ma è davvero sostanziale che faccia la differenza? E inoltre, non è importante che la cultura sia qualcosa di liquido e osmotico che passa dalla scuola alla famiglia, ma anche viceversa? Perché anche relegare i musei a qualcosa di “scolastico” li rende qualcosa di esterno, di altro, qualcosa da cui fuggire non appena la scuola finisce, esattamente come si fa dalla Divina Commedia e dai Promessi Sposi.
Voi cosa ne pensate?
Mi piacerebbe sapere da chi non ha figli se è infastidito dai bambini, durante la visita in un museo, oppure no e da chi ne ha, che esperienza ha avuto e se preferisce visitarli da solo o apprezza anche la gita “familiare”.
Le mie sono riflessioni, personali, opinabili e legate alla mia singola esperienza, per ciò se invece altri hanno avuto esperienze diverse e a misura di famiglia al Mart, se hanno voglia di raccontarle, ne sarei davvero contenta!