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Non ci posso credere: sono anche su Anobii!!!!

Oh, mica ci credo ancora eh?

Da oggi una mia favola è disponibile in Ebook, in vendita per chi vorrà darle fiducia ed è anche su Anobii (se vi piace la potete poi recensire lì!).

Per saperne di più leggete su Fabularia, il mio posticino delle favole che sono una mia grande passione!

Mart di Rovereto: davvero a misura di famiglia?

Durante la nostra minivacanza con i Cicci, siamo stati al Mart di Rovereto: uno dei maggiori musei d’arte moderna e contemporanea in Italia.

Bellissimo. Non ci sono davvero parole per descrivere l’incanto di fronte alla  struttura di Botta e Andreoli. La foto che vedete quassù rappresenta la struttura (credo una specie di meridiana architettonica) della grande piazza coperta antistante l’entrata: la chiave della serratura attraverso cui guardare il cielo.

Siamo entrati in 9: 6 adulti e 3 bambini. Oltre a Frollina e al suo amico Ciccio (5 anni) c’era anche la piccola Bù (2 anni).

Alla biglietteria siamo stati accolti dalla consapevolezza che in quel posto i nostri figli erano ben accetti. Ce lo diceva a chiare lettere questa brochure informativa, ben in vista sul banco.

Io sono sempre molto contenta quando insieme a Frollina andiamo in un museo, specie se ci sono dei quadri. Lei è in una fase “pittorica” davvero spumeggiante e – se potesse – decorerebbe tutta casa nostra. Ha una fantasia iconografica straripante e ci piace molto ascoltare la lettura che fa delle grandi opere. Come dice Art Attack, i bambini non hanno le nostre sovrastrutture e di fronte ai quadri riescono a tornare all’essenziale, vedono cose che a noi sfuggono ma che spesso ci servono per guardare in maniera più piena.

Nei musei spieghiamo sempre ai bambini che

non si urla;

non si corre;

non si toccano i quadri o le opere;

non si da fastidio alle persone intorno.

Piccole regole, essenziali per la convivenza pacifica e per il rispetto della cultura.

Ma nei Musei cerchiamo sempre di:

  • raccontare in maniera interessante e non intellettualistica i quadri perché anche i più piccoli possano guardarli senza annoiarsi ma anzi con curiosità;
  • ascoltare quello che hanno da dire i bambini su quello che vedono.
Questa opera di Lucio Fontana che si chiama “Concetto Spaziale. La fine di Dio”  è stata raccontata in 4 modi diversi a seconda di come la guardavamo secondo distanza prospettica e sentimento. Per Frollina era prima un prato rosso da cui spuntavano, rompendolo, fiori bianchi e poi – in distanza – un uovo di dinosauro da cui stava uscendo il piccolino.
Possiamo darle torto?
Non è anche questo un modo per guardare all’arte dall’alto dei propri 5 anni?
Il Mart, proprio perché Museo di arte contemporanea, si presta tantissimo a una visione non convenzionale, di cui i bambini sono maestri. Può diventare un esercizio per noi e per loro. Per noi perché – come dicevamo – ci libera per un pomeriggio dalle sovrastrutture, per loro perché li avvicina all’arte senza il peso dell’intellettuale, facendo spazio alla creatività, unica forma di fruizione in un momento in cui la vita è soprattutto gioco.
Eppure ieri è successo qualcosa che ci ha dato molto fastidio. Ha toccato tutti gli adulti presenti.
Eravamo appena entrati nella prima sala dedicata alla mostra temporanea di  Gino Severini. Eravamo in pochi (era quasi l’ora di pranzo) e abbiamo cominciato subito a cercare il primo quadro da guardare. I bambini erano tranquilli, nessuno di loro urlava o tentava di portarsi a casa qualcosa.
Ci si è immediatamente fatta vicina una delle guardie della Sala per dirci di dire ai bambini di parlare piano e che se volevamo, uno di noi poteva andare con i piccoli al Baby Mart, mentre gli altri guardavano la mostra. Il Baby Mart è uno spazio allestito per giocare, non ci sono quadri ma libri per bambini, come quelli presenti nella nostra biblioteca.
Ci siamo sentiti un po’ aggrediti. Abbiamo risposto gentilmente che ci faceva piacere che i nostri figli guardassero la mostra e che al Baby Mart ci saremmo andati, eventualmente, dopo. Per farli riposare un po’.
Da quel momento non abbiamo potuto muovere più di cinque passi senza che un solerte guardiano non ci seguisse, incalzasse per il rispetto di un rigoroso (ma davvero sostanziale?) silenzio e non ci ripetesse che non ci si avvicina ai quadri ogni volta che i bambini si muovevano (e non nella direzione dei quadri!). Ci siamo sentiti dei terroristi con la bomba pronta ad esplodere.
Ad un certo punto Art Attack ha preso in braccio Ciccio per mostrargli più da vicino un quadro (Art Attack ci lavora con i dipinti antichi per cui sa quello che fa e non perde mai di vista l’eventuale distanza di sicurezza) ed è stata subito redarguita.
Si respirava un clima “ansiogeno” e senza alcun motivo.
Io – onde evitare qualsiasi complicazione – ho fatto una ramanzina preventiva a Frollina (mi sentivo molto Bush!) dicendole che non doveva assolutamente toccare i quadri e che se fosse successo qualcosa a uno di quei dipinti sarebbe stato un danno incalcolabile perché nessuno avrebbe più potuto guardarlo, ma anche che – probabilmente – avremmo dovuto vendere la casa per ripagarlo.
Lei si è talmente convinta che andava in giro e ripeteva agli altri due di non avvicinarsi “se no il Museo ci ruba la casa” ;-(
La mostra ci è piaciuta molto e tutto il Museo è davvero bello, però.
Però credo che il clima  fosse davvero esageratamente restrittivo per i bambini. L’arte è di tutti, anche loro. I bambini di oggi sono gli adulti di domani e l’Italia dovrebbe essere un grande parco culturale a disposizione delle persone, non un accrocchio di rovine in vetrina che prendono polvere nascoste dietro a cataloghi dal linguaggio involuto.
L’arte dovrebbe essere popolare. Almeno quella che sta dentro ai grandi musei costruiti dalle città.
Nella maggior parte dei Musei europei – e non solo quelli dedicati alla scienza e alla tecnica, luoghi facilmente declinabili alle esigenze dei più piccoli – i bambini si siedono in cerchio di fronte ai quadri e insieme ai loro genitori li guardano, ne parlano, costruiscono il loro piccolo zainetto di ricordi artistici, mettendo in moto proprio quei meccanismi senza i quali nessuna cosa può chiamarsi opera artistica.
La proposta di relegare i bambini in spazi circoscritti “con tappeti morbidi” e libri è sicuramente vantaggiosa per spezzare le giornate delle famiglie in gita, ma non può diventare l’alternativa. Esclude loro dal mondo (e il mondo non è declinabile in maniera artificiale ma solo per l’approccio diverso che ha un bambino rispetto ad un adulto ad esso) e esclude il dialogo tra noi e loro di fronte all’arte stessa.
Non mi va di pensare all’Italia come a una summa di ghetti, quello per gli anziani, quello per le famiglie, quello per i single e quello per i bambini. Non è un po’ triste? Non è un po’ limitativo?
Certo, non tutti i musei sono così e anche la mia visione del Mart è limitata alla nostra singola esperienza, ma quello che ho sentito ieri non mi è piaciuto per niente, era in netto contrasto con il senso e la natura stessa di quel Museo.
Certo, probabilmente con le scolaresche è diverso, perché è tutto istituzionalizzato, c’è una guida esperta con i bambini. Ma è davvero sostanziale che faccia la differenza? E inoltre, non è importante che la cultura sia qualcosa di liquido e osmotico che passa dalla scuola alla famiglia, ma anche viceversa? Perché anche relegare i musei a qualcosa di “scolastico” li rende qualcosa di esterno, di altro, qualcosa da cui fuggire non appena la scuola finisce, esattamente come si fa dalla Divina Commedia e dai Promessi Sposi.

Voi cosa ne pensate?

Mi piacerebbe sapere da chi non ha figli se è infastidito dai bambini, durante la visita in un museo, oppure no e da chi ne ha, che esperienza ha avuto e se preferisce visitarli da solo o apprezza anche la gita “familiare”.
Le mie sono riflessioni, personali, opinabili e legate alla mia singola esperienza, per ciò se invece altri hanno avuto esperienze diverse e a misura di famiglia al Mart, se hanno voglia di raccontarle, ne sarei davvero contenta!

 

La teoria anatomica di Frollina

Quella salama della Frollina sta imparando l’arte della retorica così bene che anche la fantasia viene piegata alla Bisogna.

Se, per esempio, la sottoscritta o Tino cercano di spiegarle qualcosa e lei non ne ha voglia – e in alcuni casi di effluvio logorroico di ambo i genitori, come darle torto? – se ne viene subito fuori con la sua risposta preferita:

Ma si mamma, lo so! Me lo ha detto Pegasa!

Vi ho già raccontato di Pegasa, l’amica immaginaria di frollina (amica blasonata, visto che ora tutte le sue compagne di scuola vogliono una “Pegasa”), la cavalla alata che sconfigge il male e porta Frollina in giro per il mondo e che si nutre (spero non leggiate questo post in pausa pranzo) di barbe e di teste di cattivi?

Pegasa è enorme e vive sulle nuvole. Quando la frollina fa un fischio scende e la prende in groppa e insieme sconfiggono ogni avversità. Se Pegasa si arrabbia o capisce che ha a che fare con un cattivone, se ha fame se lo mangia, se no gli tira un calcio nel sedere con il quale il poveretto vola fino alla luna e rimane incastrato in uno dei crateri lunari con la testa. Dalla terra – specie in questi giorni in cui la luna è enorme – si possono notare le gambette del malcapitato che si muovono affannosamente nella speranza di liberarsi.

Comunque. Non era di questo che volevo scrivere.

Frollina – dicevamo – c’ha questa meravigliosa capacità di usare la fantasia con grande opportunità. Per esempio se ci chiede di bere del succo di frutta prima di pranzo e le diciamo che è meglio di no, che poi finisce che non mangia, allora lei ci guarda seria, viene posseduta dal figlio di Piero Angela e tiene una mini conferenza anatomica:

Ma no, non è vero che poi non mangio e sapete perché??? Perché nella mia pancia c’è un tubicino per la pappa e un tubicino per il succo e anche se il tubicino del succo si riempie fino a qua (dice indicandosi la gola), quello della pappa rimane libero!

A nulla servono le prove empiriche – ripetute – che confermano la nostra tesi: come possiamo noi non credere a una teoria scientifica tanto convincente?

Questa dei tubicini le è piaciuta talmente tanto che quando, l’altra sera,  lei e l’amico Ciccio facevano la gara per chi parlava per primo ad un certo punto la principessina è sbottata:

Ma insomma Ciccio, fai scappare la mia parola! Era qua (indicando la sua lingua) e ora visto che non ti sei fermato di parlare è tornata giù, giù, giù per il tubicino delle parole, ha fatto lo scivolo ed è di nuovo nella mia pancia!

Nel corso della serata la teoria dei tubicini si è quindi perfezionata e abbiamo scoperto che ognuno di noi ha nella pancia 3 tubi: uno per il succo di frutta (non ve ne eravate mai accorti eh? ;-)), uno per il cibo e uno per le parole. Attenti a non trascurare nessuno dei tre e a usare bene viacal e altri prodotti sgorganti…

Se la sua mamma le dice di mettersi il cappuccio della felpa che sta per piovere e bisogna lasciare il parco giochi, frollina mi guarda e convinta mi fa:

Ma no mamma, non sta per piovere! Il rumore che senti è quello dei pop corn! Pegasa ha preso la padella e ha fatto i pop corn e visto che poi ha lavato il piatto, le goccioline che senti sono quelle dell’acqua del rubinetto. Vedrai che adesso lo chiude!

Certe volte le risposte che mi da sono talmente belle e fantasiose che non riesco davvero a far altro che sorridere e abbracciarla e darle corda.

Poi ecco, ci sono i momenti che è difficilissimo – ma si deve – stare seri, come per esempio ieri mattina che mi si è avvicinata e mi ha detto:

Mamma scusami, mi sono scappate due parolacce!

Io l’ho guardata interrogativa perché mi sembrava non avesse detto proprio niente

Mamma ho appena pensato CASSO, DIOBONO…

Ha detto proprio casso. Alla bolognese.

E io avrei voluto ridere a crepapelle ma sono stata posseduta dal fantasma della bravamamma e le ho fatto una ramanzina di mezz’ora, arrotolandomi su me stessa e sulle scuse migliori degli ultimi 15 anni per giustificare il fatto che ogni tanto scappano anche a me,

cazzo.

😉

Un antidoto alle cose brutte: fare burattini

Sono completamente annichilita da quanto succede in Giappone.  Questi fatti schiacciano e rendono infinitesimali i miei problemi quotidiani e anche il momento di difficoltà che sto attraversando.

Proprio per cercare – in un sano isolamento che si potrebbe chiamare PAUSA – un po’ di serenità e recuperare un equilibrio che sento mancare su alcuni aspetti della mia vita di cui non posso parlare, per recuperare il centro e rimettermi in pista con più grinta che mai, sto cercando di coltivare il più possibile l’aspetto creativo della mia vita.

Come?

Leggendo tantissimo innanzitutto. Cercando di vedere posti e conoscere persone interessanti. Scrivendo favole e con il racconto sul mobbing, che mi preme moltissimo.

Passando tempo di qualità con Frollina, a fare cose manuali.

Come la maggior parte delle persone che lavorano con le parole sa, i progetti “di testa” spesso hanno consistenze labili, si rischia sempre di perdere il filo e di non vederne la fine. Certe volte c’è bisogno di vedere il risultato concreto del proprio lavoro. Un risultato tangibile.

Domenica Frollina ed io siamo state al laboratorio di costruzione di burattini del Teatrino di Mangiafoco ed è stato un pomeriggio magico.

Abbiamo portato con noi scotch di carta e un rotolino di carta igienica (senza carta igienica) e grazie a giornali vecchi e abilità manuale, la nostra cara burattinaia e favolosa affabulatrice Margherita ci ha aiutato a far nascere un personaggio.

Frollina ha scelto Rantolina che ha lentamente preso vita.

E’ stato meraviglioso vedere come i bambini volevano darsi da fare e mano a mano che la testa del burattino prendeva forma, anche il personaggio cominciava a muoversi e a parlare.

Purtroppo con noi c’era una mamma un po’ ansiosa e in ansia da prestazione che ha caricato il figlio di inutile stress e questo non ha giovato all’armonia collettiva, ma mi ha fatto riflettere molto sul labile confine che passa tra controllo genitoriale e necessità di lasciare che i pensieri del proprio figlio fluiscano per i sentieri improbabili e laterali che sceglie.

La creatività forse è contenuta proprio in questo spazio di divagazione dalla via consueta e aiutarla a manifestarsi significa ogni tanto spegnere quella vocina adulta che spinge la mamma a spiegare “come si fa” al proprio bambino.

“Come si fa” non dovrebbe mai avere una soluzione sola.

Sia Frollina che io eravamo talmente entusiaste del lavoro fatto al laboratorio che – appena rientrate – abbiamo voluto subito passare alla seconda fase, ovvero “rinforzare” la testa con un lavoro di fino di carta e vinavil.

Frollina è entrata nella fase “Taglia e incolla” e se c’è da usare le forbici per fare qualcosa in mille pezzi, è la bambina più felice del mondo.

Io – devo ammetterlo – essendo assolutamente una frana in quanto a manualità, ero molto felice della nostra creazione: vedere nascere le streghe Rantolina e Genoveffa sotto le nostre mani, mi ha dato una grande soddisfazione. Poi devo ammettere che tutte le volte che vado al Teatrino è come se entrassi in un luogo magico e incantato, un’enorme scatola della fantasia che mi arriva alla pancia e mi tira fuori un sacco di storie e idee.

Di teste ne abbiamo preparate due (volevo impratichirmi subito anche sulla parte che ci ha insegnato Margherita) e poi le abbiamo lasciate asciugare tutta la notte.

Tino ci ha comprato i colori acrilici e abbiamo finito il lavoro, colorando la faccia e facendo uscire occhi e bocca. Con la lana che uso per le mie sciarpe (l’unica cosa che so fare con i ferri) abbiamo fatto i capelli e in quel momento Genoveffa (la bionda della foto) si è trasformata in Raperonzolo.

Ecco qua il risultato:

Sembrano due prostitute sfatte dopo una notte di lavoro intenso, lo so, ma a noi ci piacciono molto lo stesso. 😉

Frollina ha passato tutta la sera a giocare con le due teste e quando le ho detto: “Dai che domani chiediamo alla nonna se ci aiuta a fare un vestitino così possono nascere per davvero i burattini!” mi ha risposto che a lei il “paese delle teste” piace moltissimo e che non è affatto sicura di volere anche il corpo per Raperonzolo e Rantolina!

Mi ha chiesto se facciamo altre teste, principi, maialini, bambini…

Credo che prepareremo anche una SCATOLA della FANTASIA tutta per le teste (ma io voglio arrivare in fondo e fare anche dei burattini) dove possano dormire alla notte. Per il momento sono state adagiate su un cuscino dalla Prole e al di là dell’inquietudine salomenica della cosa, devo dire che sono molto felice di questi momenti nostri, in cui abbiamo “fatto nascere” i nostri primi burattini!

Se siete a Bologna e volete provare, andate al laboratorio, è un’esperienza bellissima da fare con i vostri bimbi (per maggiori di anni 4).

Per informazioni: http://www.facebook.com/teatrinomangiafoco

Scrivere favole, leggerle e fare burattini è per me in questo momento un antidoto FONDAMENTALE alle brutture del mondo.

Consigli di lettura:

Gelsomino nel paese dei bugiardi, Gianni Rodari

Quella p.r. di mia figlia

I bambini, a 4 anni, si invitano molto.

Durante la giornata a scuola frollina e i suoi compagni decidono che passeranno il pomeriggio insieme e quando arrivano a prenderli i genitori è tutto un “oggi la Tizia viene a casa mia”, “Sai che adesso andiamo da Caio a giocare ai dinosauri?”. E’ una cosa molto bella questa apertura alla vita e al mondo, solo che è un po’ impegnativa.

Da qualche tempo – tra mamme – abbiamo deciso di mischiare le carte: maschi e femmine devono cominciare a frequentarsi anche fuori dalla classe, per non creare gruppi granitici di genere e così ogni tanto si organizzano gruppi pomeridiani di gioco.

Il punto è che vorresti sempre invitare tutti, ma come si fa? Casa Panzallaria, per esempio, è grande 70 metri quadri: o entrano molti bambini e i genitori si vanno a prendere un the al Bar, oppure bisogna rinunciare alla presenza di qualcuno.

Io e la mia coda di paglia fumante stiamo sempre MALISSIMO, quando all’uscita da scuola, magari tenendo per mano due bambini e quindi esplicitando chiaramente l’avvio di un pomeriggio ludico, incrocio lo sguardo con uno di quelli che non sono stati invitati (ma solo per problemi di spazio, lo inviteremo la prossima volta) e mi guarda con occhio bovino e supplichevole chiedendomi se può venire anche lui.

Mi sento una cafona di merda, diciamoci la verità, in quei momenti.

Mi faccio le mille pare degli adulti ma anche della ex bambina pippa incredibile che ero.

Perché queste situazioni mi fanno venire in mente quando da piccola la Claudia invitava l’altra Claudia a casa sua e non me e allora pensavo che non mi volesse più bene, tornavo a casa, leggevo da sola Anna dai capelli rossi che c’è una scena in cui la protagonista fa involontariamente ubriacare la sua amica e finiva (giuro è successo, per farvi capire quanto sono una pipparona emotiva) che poi andavo in cucina mentre mamma preparava la cena, trovavo sul tavolo un  cartone di tavernello e mi trincavo un bicchiere pieno di vino, pensando al triste destino solitario della mia inutile esistenza e piangendo sulla mia migliore amica che aveva scelto un’altra.

Insomma, io la prima bresca trista della vita me la sono presa a 8 anni e non vorrei mai essere la causa di qualche analogo destino di un quattrenne disperato perché la sottoscritta lo ha escluso dalla sala giochi.

Che poi io – a seguito di tutte ste pippone mentali – avevo anche pensato di farmi suora, quando ero bambina e non ci crederete ma pregavo molto Dio e dicevo che se mi aveva fatta brutta e sola c’era un perché e quel perché era che dovevo pregare.

Poi per fortuna si cambia 😉

Comunque, ero partita da questa cosa di loro che si invitano tra loro e mi chiedevo, ma succede anche a voi altri? Come gestite le pubbliche relazioni dei vostri pargoli?

Religione for dummies

Frollina gioca: Maria e Giuseppe vanno in macchina da Gesù

Tutto ha avuto inizio quando siamo partiti per Perugia.

In autostrada, mentre ci avvicinavamo a una delle regioni con il più alto tasso di santi in Italia, c’era questo cartellone promozionale dei beni artistici del luogo e in primo piano campeggiava un Cristo in croce con tanto di sangue che cola sulla fronte.

Frollina è rimasta un po’ sconvolta. Mi ha chiesto con la voce tremante: “Ma chi è quel signore con delle frecce piantate nelle mani?”

Temevo questo momento. Mi sono guardata intorno per cercare conforto nella logorrea pedagogica di Tino ma lui in quel momento stava già facendo la fila per aggiudicarsi il suo amato Rustichello in Autogrill.

Ho tentato di spiegarle che si trattava di Gesù, che gli avevano fatto una statua perché è un uomo molto amato vissuto tanto tempo fa e che ha fatto delle cose buone tanto che poi hanno pensato di ricordarlo sempre facendo delle case dove si può entrare e parlare con lui.

Lei ha registrato solo una frase e per qualche ora, ha continuato a ripeterla ciclicamente:

“Gesù è morto!”.

Abbiamo ricominciato il nostro viaggio e giocando con i suoi personaggi, ogni tanto faceva dire a uno dei due: “Sai con le frecce Gesù è morto?”.

Abbastanza inquietante.

La cosa che l’ha colpita e che mi sono trovata davvero in difficoltà a spiegare è il fatto che in questo periodo si parla tanto di Gesù che è nato e adesso lei scopre che è anche morto. E come, per giunta!

Ieri era un cinno con il pannolozzo dentro alla caverna, mentre due animali enormi gli fiatavano addosso e un sacco di gente gli portava pecore e galline e mirra e incenso, con la sua mamma e il papà accanto, e adesso è morto in croce.

Pazzesco! Le sue rotelline hanno cominciato a girare vorticosamente e il generatore casuale di dubbi si è messo a macinare domande.

Un fuoco di fila.

“Ma era piccolo quando è morto?” “Ma è morta anche la sua mamma?” “Ma perché nella caverna non c’era il riscaldamento?” “Ma perché gli hanno tirato le frecce?” “Posso comprare un palloncino?”.

Noi siamo entrati un po’ in palla. Da una parte sono felice di poterle raccontare delle religioni e di ciò in cui credono molti uomini, dall’altra non ne ho la minima capacità.

Per un attimo il panico ha preso il sopravvento tanto che ho anche pensato a una conversione sulla via di Damasco  a seguito della quale potrei iscriverla a quella specie di ora di religione che fanno a scuola e che assomiglia molto a un catechismo cattolico.

Questo per farvi capire quanto mi ha mandato in crisi!

Durante questo famoso fine settimana a Perugia siamo stati ovviamente a visitare il Duomo e proprio in quel momento si stava svolgendo la messa domenicale.

La frollina ha cominciato a fare un’altra batteria di domandone filosofico esistenziali delle sue. Dopo aver resistito alla tentazione di andare a chiedere l’ostia per avere la scusa della bocca piena, ho tentato di risponderle in modo obiettivo su tutta questa gente che cantava e sull'”uomo con la gonna” che leggeva.

Era affascinatissima, tanto che quando abbiamo fatto per uscire ci ha guardati delusa:

Uffa! Volevo vedere come va a finire!

A casa abbiamo un piccolo presepe di sapone che ogni anno sistemo perché è un oggetto bello, che mi ricorda la nascita di frollina, dato che ce l’hanno regalato in quell’occasione.

Lo so, se fossi un’agnostica pura d’animo non lo tirerei nemmeno fuori, ma a qualche compromesso posso scendere e diciamo che questo non mi sembra grave.

La Frollina ovviamente lo guarda, ci gioca, fa domande.

E sempre torna su questo punto:

Perché un bambino è morto?

Difficile spiegare il corso della vita a lei che “ieri” andava all’asilo nido e “domani” sarà una mamma.

Sono andata in libreria. Perché da qualche parte ci deve essere un libro, qualcosa, per noi dummies della religione!

Qualcosa che spieghi senza infarcirsi di dottrina. Qualcosa che racconti, pensando al punto di vista di chi – come noi – considera tutte le religioni alla stessa stregua e non vuole che nulla sembri più o meno vero di altro.

Ci sono tantissimi libretti interessanti e NON catechistici su TUTTE le altre religioni ma NON su quella cattolica. Come se in Italia il punto di vista fosse scontato. E’ irritante.

Ho chiesto l’aiuto di un libraio.

Lui mi ha passato un libro sulla vita di Gesù, convincendomi che era quello che faceva per me, che lui capiva bene, perché aveva lo stesso problema e che quel libro era proprio quello giusto.

Belle illustrazioni in effetti. Inizio appassionante.

L’ho comprato.

Quando a casa mi sono messa a leggere meglio e sono arrivata alla riga: “Perché siamo tutti figli di Dio” mi è scesa una catenona che volevo mettermi a piangere…

Per ciò ecco, se conoscete qualche libro interessante che racconti la storia della religione cristiana e della vita di Gesù, adatto ai bambini, senza avere un approccio religioso

consigliatemelo.

Altrimenti intravedo la deriva fantascientifica, con il serio rischio che mia figlia da grande diventi adepta di Scientology e pasteggi a placenta.

Un libro laico per bambini.

Sulla/sulle religione/i.

Esistono?

Il grande libro dei (nostri) perché: ovvero rispondere a una bambina di 4 anni

Quella furba - foto di guitto

[In grassetto Frollina]

Mamma perché le nuvole hanno smesso di piovere? Dove vanno adesso?

Le nuvole si erano stancate di stare qui.  Dopo aver piovuto tantissimo hanno fatto pace e ora si stanno spostando.

Vanno a piovere su Milano?

Si, probabilmente

Non erano stanche… è che il sole è tornato dalle vacanze!.

(…)

Mamma perché non sei più una bambina?

Perché ho mangiato tanta pappa e sono diventata grande e sono diventata una mamma.

Ma allora perché giochi con me?

Perché anche le mamme dentro al cuoricino sono ancora bambine.

Posso vedere?

(…)

Mamma perché devi andare a lavorare?

Perché se io lavoro faccio delle cose per gli altri e in cambio gli altri fanno delle cose per noi, tipo la fornaia che ci dà il pane buono con i soldini che la mamma prende a lavorare.

Ma se io ti do dei soldini e non devi più farli a lavorare, puoi smettere di andarci?

(…)

Mamma perché ci sono le persone cattive?

Perché uno può decidere di essere buono o cattivo e a volte ci sono persone che non lo sanno e sono buone e persone che non lo sanno e sono cattive. Però se ci si abbraccia molto e si è gentili con gli altri e si prova sempre a pensare come sarebbe se fossero cattivi con noi, allora è più facile essere buoni.

Mamma perché è morta la signora nella foto (eroina della resistenza ndr)?

Perché tantissimo tempo fa c’erano dei signori che volevano diventare i capi dell’Italia e allora lei ha pensato a tutte le persone che sarebbero arrivate, che dovevano ancora nascere, come me e te, e che le dispiaceva moltissimo che queste persone, se questi signori cattivi fossero diventati i capi dell’Italia, non avrebbero più potuto andare a mangiare un gelato quando volevano e nemmeno al parco sul din don e nemmeno alla scuola materna e neanche al mare d’estate e ha deciso di combattere. E’ morta ma noi tutte le volte che passiamo davanti alla sua foto, possiamo mandarle un bacio soffio e ricordarla, così lei dalla foto ci manda in cambio un bellissimo sorriso.

Mamma cos’è un capo?

Un capo è come la maestra. Se non ubbidisci ti mette nell’angolo dei birichini.

La mia benzina

Lei è la mia benzina. A volte ingrippa il motore, come stamattina che mi ha fatto venire un diavolo per capello.

Sveglia alle 6.45 con me, ha cominciato subito a salmodiare e fare capricci, mentre io mi trascinavo da un bagno a un caffe a un vestito, con l’ansia di arrivare puntuale in ufficio. Che poi, se ti svegli alle 6.45 e vai a letto all’1, ecco quei preziosi minuti di silenzio, al mattino, per uscire dalle ragnatele del sonno e renderti conto che no, non era il treno per le vacanze quello che ti era sembrato di sentire tutta la notte ma il tuo non-marito che russa, ecco ti ci vuole.

Ma diciamoci la verità. Lei è una benzina fortifera. Anche quando, dopo 8 ore di ufficio e un mare di cose extra da fare, decido che non c’è trippa per gatti e si va al parco a saltare, salire sugli alberi e tutte quelle belle cose che mi rendono la vita migliore.

Come ieri. Ieri che siamo andati al parchetto Calcutta (d’ora innanzi lo chiameremo così il parco con gli alberi grandi e belli ma troppi bambini da contenere, che sembra di stare a Calcutta nell’ora di punta) e si è voluta infilare ovunque e ha gestito una session di quasi un’ora sulla altalena. Roba che al posto delle braccia avevo due ricotte, alla fine. Scadute. Che a pensarci bene e data la mia forma fisica, quando sono riposata sembrano solo due ricotte fresche.

Ecco ieri è stata fatica. Fuori di casa alle 7.30, rientro a casa alle 7.30. Mangia, lava, vesti, racconta favole e così. Che ne siamo usciti in relax vero alle 23, pronti per vedere le ultime due puntate di Lost (che ieri sera mi sono impuntata, niente lavoro extra, niente donne pensanti, niente barcamp, niente di niente, solo Lost e Lost è stato e ho pianto come una vite e mi è piaciuto un sacco il finale e prima o poi, tra qualche mese, racconto, che secondo me ne vale la pena).

Ma lei è la mia benzina.

Quando mi dice

“Mamma, ma chi è Berlusconi?”

e glielo spiego con le mie parole e lei continua a chiedere perché e quando, dopo averle spiegato con le mie private parole cosa penso nel privato di Berlusconi, mi chiede convinta e seria:

“Ma è cattivo come la strega Rantolina?”

E io sghignazzo in bicicletta, l’ennesima bicicletta che mi ruberanno in un amen, mortacci loro!, e proprio sul mio sghignazzo cade la catena

e mentre saracco e tiro giù tutti i santi del paradiso

penso che forse

il DDL n.733 si applica anche ai pensieri e discorsi privati in luoghi pubblici, come i giardinetti dei bambini.

Se m’arrestano almeno sono certa di una cosa

lei

è

la

mia

benzina

Dietro le quinte degli impegni: frollina e la vita

Sta per iniziare un fine settimana molto intenso, dopo un altro fine settimana molto intenso.

Sabato scorso ha debuttato il calzino spaiato, a Milano, domani ci sarà la presentazione del libro “Statale 17” di Mamma Amsterdam, presentazione alla quale avrò l’onore di partecipare. Da Leggere Strutture, dove si terrà il tutto, alle 21 mi fionderò alla cena delle Geek, per la quale ho preparato anche delle slides.

E per fortuna proprio in queste settimane la blogosfera che frequento si occupa dello spinosissimo tema delle presentazioni power point che – se fatte male – ne hanno addormentati più della mosca tze tze.

Domenica sarò a Palazzuolo sul Senio, per la festa dei fiori, nell’ambito della presentazione del documentario “Il corpo delle donne”, a parlare di Donne Pensanti e dei nostri progetti.

Dietro alle quinte di tutte queste cose c’è grande lavoro. Continua a leggere

La frollina che gioca all’allegra chirurga oculustica

Mia figlia gioca all’allegra oculista con le compagne di scuola: in un giorno solo ha tentato di esportare un occhio a due delle sue amichette. Con chirurgica curiosità. Accanimento terapeutico.

Incurante della punizione inferta dalla B1 dopo il primo tentativo mattutino, nel pomeriggio si è nuovamente lanciata nella nobile arte della medicina naturale (in cui la natura è resa partecipe dalla presenza di un appuntito stecchino di legno).

La B2 mi ha aspettata fuori dalla porta per raccontarmi i misfatti della frollina con la sua serafica calma (a momenti c’era bisogno del sacchetto di carta dentro al quale farla respirare), scuotendo la testa e invocando il Creatore con un movimento ritmico delle mani, prostrata dai tempi moderni. Continua a leggere