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Corpo e mente: come una dieta inizia dalla testa

L’ho scritto per Che futuro! e devo dire sono molto contenta del fatto che abbiano voluto ospitarlo. Qui pubblico solo una parte dell’incipit per chi ha voglia di approfondire, trovate il resto lì.

Per molti dieta è sinonimo di “privazione” e “sacrificio”: l’idea di mettersi a dieta per perdere peso significa privarsi di cibo e iniziare un percorso forzato verso un obiettivo preciso. Ci siamo passati tutti e non solo chi, come me, è stato obeso: per qualche tempo si esagera, non si entra più nei pantaloni e ci si costringe a periodi di astinenza da dolci, formaggi e carboidrati per dimagrire quei 5 chili che ci hanno fatto aumentare di un paio di taglie.

Una volta raggiunto il peso che ci siamo prefissati, si torna alla solita vita, soddisfatti di un traguardo e con la sensazione di essere arrivati a meritarsi un premio e ricominciare con le stesse identiche abitudini di prima. Una dieta di questo genere di solito non funziona e dopo un po’ ci si ritrova nella situazione di partenza, con addosso il doppio dei chili che abbiamo perso la volta prima: lo so perché con questo sistema sono arrivata a portare più di 40 chili in eccesso e a convincermi di essere un’obesa “cronica” senza nessuna speranza di farcela a mantenere un peso adeguato al mio corpo.

continua su 5 passi per rompere i cortocircuiti mentali che ti hanno fatto ingrassare

Cambiare fuori per cambiare dentro, cambiare dentro per cambiare fuori

Quello che state per leggere lo ha scritto Gloria Bevilacqua, persona che stimo molto e che in questo percorso di muta che sto facendo, ha saputo trovare parole giuste e riflessioni a cui io ancora non ero arrivata. Mi ha regalato, anzi – ci ha regalato – questo articolo, che penso sia una perla preziosa per tutte le persone che stanno cercando di cambiare, si tratti di una dieta o dell’idea di sé.

Cambiare fuori per cambiare dentro, cambiare dentro per cambiare fuori

La continuità ci dà le radici;

il cambiamento ci regala i rami,

lasciando a noi la volontà di estenderli e di farli crescere fino a raggiungere nuove altezze”

Pauline R. Keze

Di mestiere mi occupo di cambiamenti, organizzativi con le aziende e interiori con le persone che vengono da me quando faccio la psicoterapeuta. In entrambi i casi il mio contributo è la facilitazione, il superamento di ostacoli e molto spesso la possibilità di riflettere su quanto sta accadendo per dare significato all’esperienza.

Forse per questo quando leggo e ascolto Francesca raccontare del suo percorso di alleggerimento non posso che sentirmi felice per quello che sta facendo per se stessa e per la sua vita. E anche per quello che un cambiamento di questo tipo può innescare nella vita delle persone che la conoscono di persona o che la frequentano nel mondo virtuale.

Certo è che un percorso di cambiamento così profondo non è semplice da affrontare e non si può ridurre a delle mutazioni di cibo ingerito, peso perso, taglia cambiata o forma fisica. Quando il nostro corpo cambia -è inevitabile- cambiamo anche noi.

Magari non ce ne accorgiamo, forse perché questo avviene per micro modifiche o forse la nostra attenzione è indirizzata ad altro. Fatto sta che i mutamenti di forma portano spesso a vere e proprie metamorfosi e che forse occorre farci caso per indirizzarli verso quello che vogliamo diventare, verso quello che decidiamo di essere.

A volte è sufficiente fermarsi e aspettare che il cambiamento esteriore generi un movimento interno, un po’ come in quel racconto di Chatwin. Avete presente?

Un gruppo di viaggiatori deve raggiungere un certo punto nella foresta e lo fa con i portatori autoctoni, questi camminano e camminano ma a un certo punto si fermano e non c’è verso di farli proseguire. Alla richiesta di chiarimenti su questa impossibilità a procedere nonostante la luce rispondono: “Per dare tempo alle nostre anime di raggiungerci”.

Tempo per stare a maggese, per riposare, per lasciarci il tempo di “lievitare” prima di prendere la forma definitiva…come peraltro permettiamo di fare al pane, ma spesso non a noi stessi. Un tempo necessario soprattutto quando siamo i protagonisti di scatti di crescita in direzione di noi stessi, che mutano inevitabilmente anche i nostri scambi con gli altri, le nostre relazioni, la nostra professionalità.

A volte le aspettative -nostre e degli altri- ci confondono e fare chiarezza mentre costruiamo il nostro prototipo di donna non è facile, non c’è nessuno che ci può dire se la direzione è quella giusta.  Quando usciamo dalle tabelle peso/altezza e dai parametri medici non ci sono definizioni unitarie che possano magicamente risolvere la questione. Ci siamo solo noi a fare i conti con noi stessi e forse questi conti siamo poco abituati a farli nel quotidiano, preferiamo posticipare le valutazioni a non ben precisati momenti futuri.

Vedo persone che quando cominciano dei percorsi di rimessa in forma e in forza perdono il contatto con il reale e si trasformano in automi stonati che replicano modelli già visti: troppo magri, troppo grossi, troppo truccati, troppo rifatti, troppo. Maschere che allontanano dalla loro reale autenticità, che però si intravede sotto strati di comportamenti e strategie pensati apposta per nascondere e nascondersi.

E dire che a volte basterebbe farsi delle domande, senza trovare per forza le risposte. Domande per sentirsi da dentro, come queste:

  • come mi sento nel mio corpo?

  • il mio corpo riesce a farmi fare quello che mi serve? funziona?

  • cosa mi piace fare? come mi sento quando lo faccio?

  • cosa so fare? le conosco le reali capacità di questa “macchina” o faccio riferimento a quello che gli altri dicono di me o a quello che ho fatto nel passato?

  • cosa significa per me salute? bellezza? efficienza? benessere?

  • la mia immagine esterna corrisponde con quello che sento dentro di me? la mia faccia? i miei capelli? posso fare qualcosa per raggiungere una sintesi più soddisfacente?

  • quello che indosso mi facilita la vita? mi rappresenta? mi piace?

  • come sto quando mi sento bene? con chi sono? cosa faccio?

  • come sto oggi? adesso? qui?

  • cosa cambia il mio cambiare fisicamente? con chi? quanto?

  • che pensieri mi accompagnano?

  • dove (davvero) voglio arrivare? perchè?

Per una volta non problemi ma la costruzione di una nuova forma di efficienza personale, fisica, emozionale, mentale.

A me piace pensare a questo processo in termini di costruzione di una nuova armonia, una parola che viene dal greco e significa disposizione, proporzione, connessione. Ha la medesima radice [ar-] che indica unione e disposizione, comune anche ad “arte” e “aritmetica”. Lo collego all’armonia musicale, alla ricerca continua e costante di quello che funziona in modo mobile e sperimentale.

Non facile, ma bello.

Gloria Bevilacqua

https://www.facebook.com/Attivazione

https://twitter.com/gloriabevil

 [Foto in Licenza CC – flickr – Filippo Angeli]