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9 consigli per chi vuole occuparsi di contenuti online professionalmente

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Sempre più spesso ricevo mail da persone (per lo più giovani neolaureati) che mi dicono: “Vorrei fare il tuo lavoro? Ma da dove inizio?”. Ecco che allora ho pensato di mettere, nero su bianco, qualche consiglio per chi voglia occuparsi di contenuti e narrazioni online e diventare appetibile per un’azienda.  Continua a leggere

Fare il blogger è un lavoro?

Scrivo questo post soprattutto per rispondere alle mail che ciclicamente ricevo da persone che mi chiedono: “Voglio aprire un blog e guadagnarci” oppure “Voglio un blog come il tuo, come si fa?” in modo da mettere in fila un po’ di riflessioni maturate dal 2005 (anno in cui ho aperto il mio blog Panzallaria) ad oggi.

Per chiarire alcune cose sul “lavoro” ma soprattutto sull’etichetta di blogger.

Lavoro l’ho messo tra virgolette perché quello del blogger non è necessariamente un mestiere e secondo me è importante partire da qui.

I motivi per cui una persona apre un blog, oggi, possono essere tantissimi, per semplificare ecco i principali:

  • desiderio di condivisione di un’esperienza o una passione;
  • promozione professionale personale;
  • amore per la scrittura (e la narrazione) in cerca di riscontro dagli altri: scrivere per se’ o per un pubblico è profondamente diverso;
  • desiderio di guadagnare creando un network di sponsorizzazioni grazie ai contenuti pubblicati;

Chiunque può autodefinirsi blogger sia in Rete che su un curriculum, proprio per questo non basta avere un blog per essere un blogger che possa trasformare questa attività in un lavoro.

Un blog è seguito, accresce di contenuti qualitativi la Rete e può trasformarsi in un’opportunità se:

  • L’architettura dei contenuti è chiara, efficace e usabile (tutti possono accedere alle informazioni di inquadramento, ai contatti, ai contenuti rilevanti, aggregare attraverso tag e categorie intuibili).
  • Ogni post (articolo) è gestito con cura: il titolo deve fare immediatamente capire di cosa stiamo parlando, la scrittura è fluida e accurata, le citazioni sono provviste di link alla fonte primaria o indicazione dell’autore e del libro da cui sono tratte, i collegamenti ad altri siti funzionano, la condivisione di contenuti interessanti di altri è considerata un valore aggiunto, le immagini non sono “rubate”.
  • Si tratta con rispetto i lettori e i commentatori: rispondiamo a chi ci lascia un commento, approfondiamo i legami deboli della Rete, valorizziamo i contatti creati da ciò che leggiamo e scriviamo.
  • Si gestisce (anche solo una minima) pianificazione editoriale: prima di scrivere un articolo, fosse anche sull’ultima spesa fatta al supermercato, pensiamo sempre al fatto che non stiamo scrivendo solo per noi stessi, che in qualsiasi narrazione dobbiamo cercare (e comunicare) qualcosa che possa essere utile concretamente o emotivamente a chi ci legge. I blog personali che hanno successo raccontano storie in cui tutti ci possiamo identificare, ci fanno sorridere, ci fanno piangere o arrabbiare, ma comunque ci fanno dire: “Ecco è successo anche a me!” o “Potrei prendere spunto da questa esperienza!”. I blog più seguiti hanno inoltre una costanza di pubblicazione: è inutile scrivere 5 post in un giorno, preferiamo piuttosto programmare ognuno di quegli articoli a cadenza costante, in modo da coltivare la nostra “pianta digitale” e non dare a chi arriva un triste senso di abbandono. La maggior parte degli editor online per blog (penso ad esempio a wordpress) permettono la programmazione del post a giorni e orari prestabiliti, consentendoci di pubblicare anche quando siamo in vacanza o al lavoro.

Prima di aprire un blog pensiamo al perché lo vogliamo aprire. Prendiamo carta e penna, post it e matite, o apriamo un file digitale e mettiamo in fila tutti gli argomenti di cui vogliamo parlare. Se per esempio vogliamo farci conoscere professionalmente, individuiamo prima i nostri punti di forza (e anche quelli di debolezza) e cerchiamo il differenziale umano e professionale tra la nostra esperienza e quella di altri che fanno un lavoro simile al nostro.

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Ad esempio

Facciamo i barman. Stiamo cercando lavoro o vogliamo inventarci un’attività in proprio (magari abbiamo appena comprato un bar tutto nostro). Abbiamo scelto di essere presenti online per farci conoscere (costa poco ed è tutto sommato facile con gli strumenti a disposizione).  Il mondo è pieno di barman. La parola, da sola, significa molto poco. Esattamente come tutte le altre etichette professionali (tra cui l’abusato “blogger”).

Facciamo una lista di quello che abbiamo imparato negli anni di attività, di ciò che ci riesce meglio, di come abbiamo aggirato errori, di quali sono i nostri gusti e di quali sono i nostri obiettivi professionali da lì a un paio d’anni (Fare arrivare gente nel nostro bar? Essere assunti nel migliore pub della città? Trasferirci su una spiaggia in Brasile e realizzare un’idea che per il momento è solo un sogno? Diventare degli esperti Sommellier contattati dalle maggiori riviste del campo per scrivere articoli sul tema?) . Facciamoci tante domande e diamoci delle risposte. Mettiamo nero su bianco le nostre esperienze (anche quelle apparentemente inconciliabili) e cerchiamo il fil rouge che le lega. Troveremo così il differenziale tra noi e gli altri.  Quando abbiamo le idee un po’ più chiare su dove vogliamo muoverci, facciamo un’analisi di quello che c’è già online, se esistono prodotti editoriali simili o se possiamo creare un valore aggiunto che possa interessare qualcuno.

E non dimentichiamoci mai che quella del blog è un’esperienza sempre in progress.

Come si trasforma il blog (o l’essere blogger) in un lavoro?

Premetto che “uno su mille ce la fa”. E’ importante dirlo, perché ci sono troppi luoghi comuni e falsi miti intorno a questa cosa del blogger che diventa ricco.

Quante Chiara Ferragni conoscete?

Un blogger può scegliere di scrivere post sponsorizzati (molte aziende contattano i blog più seguiti per chiedere recensioni o in cambio di prodotti o in cambio di soldi) ma deve sempre valutare quello che sta facendo: i post sponsorizzati sono coerenti con il tema e il tono del nostro blog? Scrivere molti post pubblicitari può ledere la serietà del nostro blog? Qual è la cifra giusta che bisogna chiedere?.

Un blogger può decidere di inserire banner pubblicitari nel proprio spazio: vale lo stesso discorso di sopra, cercare sempre di mantenere coerenza con la propria etica professionale e non abusare dell’attenzione di chi ci segue. Troppi banner confondono la lettura e risultano abbastanza invasivi.

Un blogger può decidere di usare il proprio blog per narrarsi online, farsi conoscere e apprezzare ma solo come curriculum online continuamente aggiornato: un bell’articolo sull’ultimo cocktail realizzato (magari anche con ricetta e foto inclusa) può portarci a medio e lungo termine delle soddisfazioni. Noi condividiamo ciò che sappiamo e stiamo imparando, in cambio si potrebbero creare delle opportunità grazie all’autorevolezza conquistata. Magari tra sei mesi scriveremo su una rivista online dedicata agli aperitivi e verremo pagati per farlo proprio grazie a quello che abbiamo dimostrato di saper fare, raccontare (e condividere!) sul nostro blog.

Anche in questo caso, attenzione alle proposte “imbarazzanti”: forse non ci chiederanno di spogliarci, ma di lavorare sottopagati probabilmente si. Se decidiamo di accettare di scrivere per pochi euro, ricordiamoci sempre che aumentare il nostro valore monetario sarà molto faticoso!

In linea generale, come per tutte le attività che vogliamo trasformare in qualcosa di professionale, anche quella del blogger richiede studio, auto formazione (prima di chiedere ad altri consigli o consulenze con mail generiche magari consultiamo la Rete e appuriamo che non esista un tutorial online ad hoc), pratica e impegno costante.

E quando abbiamo finito di fare questo, rileggiamo 2 o 3 volte quello che abbiamo scritto per eliminare refusi, frasi che girano male o foto sfuocate: piccoli dettagli che parlano della cura che mettiamo in tutto, in primis nel nostro lavoro.

Alcuni articoli interessanti dedicati al blogging che ho letto online:

[Questo post è generico: sono tanti gli elementi da approfondire, ma sarebbe poco serio da parte mia mettere tutto in un unico articolo ;-)]

Blog: opportunità, luoghi morti o voci dal passato?

Da circa un anno e mezzo ho cominciato a occuparmi di formazione, sia per libero professionisti e aziende che nelle scuole e con i genitori degli adolescenti.

Posso dire di avere conosciuto un discreto numero di giovani tra i 12 e i 16 anni e di avere raccolto testimonianze molto interessanti circa il loro uso della Rete.

Ciò che porto nei laboratori in classe, dedicati a “opportunità e rischi di web e social media“, si è evoluto e modificato proprio in base a queste testimonianze.

Nei primi tempi davo per scontato che sapessero che cos’è un blog:  molti di loro invece non ne avevano idea e ho dovuto cambiare registro, spiegare, approfondire il tema.

Ciò che fino a 4 anni fa ERA il web sociale, oggi non è che un décalage un po’ arrugginito della bacheca di Facebook.

Ho cominciato a domandarlo a loro che cosa pensano sia un blog e le risposte che mi hanno dato sono state davvero illuminanti.

Il blog è come facebook solo fuori da facebook.

 

Il blog è il vecchio sito

Hanno 15 anni e vivono la Rete molto diversamente da me che – ogni giorno online – sono abituata a riflettere consapevolmente sul mio uso dei Media.

E’ diverso il loro approccio o è cambiato il web e i mezzi con cui lo fruiamo? 

Sono un po’ vere entrambe le affermazioni e si contaminano tra loro.

Quello che prima era il centro di una rivoluzione silenziosa di punti di vista sul mondo, spesso personali e personalistici, d’inchiesta o semplicemente auto narrazione, ha mutato il proprio ruolo, acquisito diversi significati.

Il blog – inteso come “diario”, come racconto del se’ o narrazione aneddotica con un pubblico affezionato di lettori – non esiste quasi più.

E non perché ora tutti sono su facebook, ma semplicemente perché è diverso il modo in cui percepiamo e veniamo a contatto con i contenuti.

I blog oggi sono luoghi specialistici anche quando nascono come narrazione: il blogger è consapevole di esserlo o volerlo essere ancora prima di aprirlo il blog, lo progetta, lo costruisce con obiettivi specifici e il suo essere blogger diventa, fin da subito, un’etichetta universalmente riconosciuta.

Abbiamo tutti un profilo digitale, una nostra identità sul web fatta di tutti i pezzi che disperdiamo su twitter, pinterest, facebook, flickr, youtube, ecc e quando decidiamo di aprire un blog, se lo facciamo è perché abbiamo un obiettivo.

Il darsi un obiettivo (sia anche solo “far divertire”) e costruire un’immagine coordinata consapevole, sono elementi di profondo cambiamento rispetto a quanto succedeva per la maggior parte fino a pochissimi anni fa.

Oggi non abbiamo più bisogno di una casa virtuale per parlare delle nostre emozioni: rapidamente lo possiamo fare su twitter; se vogliamo una piazza raccolta di “amici” virtuali  abbiamo facebook.

Il tag ad un’immagine diventa nodo di contenuto, un video condiviso su youtube ci identifica più di un lungo post e quando leggiamo, lo facciamo perché un rilancio sul social ci ha incuriosito, perché un autore di cui abbiamo fiducia ha condiviso un post o semplicemente perché seguiamo un argomento attraverso un hashtag.

Il pubblico dei blog è cambiato, la comunità si è spostata di casa e anche il blogger ha evoluto il suo ruolo, ha spostato i luoghi della riflessione o – semplicemente – ha vocato la sua passione a fini professionali.

C’è chi ha nostalgia di una presunta “età dell’oro” dei blog, quando eravamo tutti più giovani, più ingenui, più belli e i link della nostra blogroll, il numero di “lettori fissi” e le relazioni con altri blogger erano il patrimonio più prezioso di cui disponevamo.

C’è chi punta il dito contro facebook o twitter, imputando a loro l’avvento della brevitas e della frammentazione.

Io credo che la direzione presa fosse quasi inevitabile: i blogger della prima ora hanno colonizzato la Rete dimostrando di essere i primi “sperimentatori”, lo hanno fatto con l’innocenza tipica della curiosità, senza sapere in che direzione li avrebbe portati aprire il proprio spazio, hanno cominciato a scrivere con il brivido di sapere che la loro scrittura – spesso privata prima – aveva ora un uditorio e che poterla condividere era tutto sommato molto semplice, si sono inventati nickname di fantasia, location tra il reale e il narrativo e soprannomi per coprotagonisti delle loro avventure, dando per implicito che quello del blogger doveva rimanere, per lo più, un vizio privato in un mondo altro rispetto a tutte le sfere della vita pubblica.

Ad un certo punto il web “fatto dal basso” ha allargato le proprie maglie, è diventato cosa di tutti (tutti quelli che possono disporre di un accesso alla Rete) GRAZIE a strumenti come Facebook e le paure legate alla propria privacy sono state lasciate alle spalle dalla voglia di costruire un proprio profilo digitale: era passato abbastanza tempo dalla prima connessione globale per avere introiettato il concetto di realtà moltiplicata, abbandonando l’idea che esista un “mondo reale” dicotomico rispetto a un “mondo virtuale”.

Il blog è diventato così un plus, qualcosa di cui si può fare a meno senza per questo rinunciare a contribuire con uno status o un tweet alla produzione di contenuti online e piano piano il blogger ha perso la sua specificità come persona/blogger acquisendone contemporaneamente come professionista/blogger.

Il blog non è più il luogo dove tessere relazioni, se mai è quello dove approfondire, coltivare il proprio profilo digitale o una passione, dove fissare la nostra opinione. Era nato come luogo fluido, oggi è il luogo del personal branding, della scrittura come esercizio e dell’opinione “depositata”.

Siamo cambiati noi che ci scrivevamo e sono cambiati coloro che ci leggono.

L’urgenza della scrittura fine a se stessa, quando la nostra esperienza è stata continuativa e fonte di professionalizzazione (come nel mio caso con Panzallaria) si è fatta scrittura che ha obiettivi e si evolve, declinandosi in altri luoghi dove possiamo esercitare (magari pagati) il nostro privilegio di venire considerati “opinionisti” autorevoli per qualcuno, su qualcosa.

Eppure il blog è –  e per il momento resta – la vera palestra in cui rafforzare il proprio profilo digitale, farlo crescere e aiutarlo a prosperare bene: per i più giovani un’occasione per mettere in gioco creatività, per noi il luogo dove sentirci liberi ma allo stesso tempo fare sedimentare quello che impariamo e vogliamo condividere con altri.

Il blog non è morto, è semplicemente cambiato.

Tra i tanti contributi che circolano sull’argomento, invito a leggere Leonardo di cui cito un estratto che mi ha colpito forse perché in qualche modo riguarda un po’ anche me:

Non è neanche una questione di soldi, che sono sempre veramente pochi, così pochi che discuterne, oltre che ineducato, è persino ridicolo. Il 2012 è stato l’anno dell’arrivo in Italia dell’Huffington Post, che peraltro io leggo poco e anche voi; ma non importa: importa la filosofia che l’HuffPo sottende, e che si può sintetizzare in “scrivi gratis e ringrazia”. Io non ce l’ho con chi scrive gratis, ci mancherebbe altro. Non credo che la produzione di opinioni gratis su internet possa abbattere il giornalismo, quello vero, fatto di inchieste sul campo. Sono ancora il primo a meravigliarmi che alcune mie opinioni, in determinati contesti, possano avere un prezzo. Non è una questione di soldi, è un tentativo di sembrare, dopo tanti anni, un po’ professionale in quello che faccio. Mi pare che ancora non ci siamo. Però la strada è questa.

Concludo citando invece un post in cui la nostalgia per i tempi in cui la Rete era prevalentemente dei blogger di AxelWeb non perché lo condivido in toto ma perché lo trovo molto indicativo di un sentimento che si percepisce forte:

Quindi? Quindi l’anno che si è appena concluso è stato indubbiamente l’anno di Twitter, di Pinterest, di Instagram e ovviamente di Facebook, tanto odiato e tanto amato.
La gente è tutta lì e a differenza degli esordi della blog mania (circa 10 anni fa) è gente normale, è un popolo che dialoga e non è una micro élite che parla di cose tecnicose e difficili. Infondo è quello che volevamo tutti, tutti meno l’élite forse (anche se a parole ci prodigavamo in frasi tipo “manca la massa critica” oppure “dobbiamo rendere il blog un fenomeno di massa”, ma non ci credeva nessuno).
Ora siam qui, in un limbo un po’ strano, con i nostro blog sopravvissuti (quello che state leggendo è nato su Splinder (defunto a inizio 2012) a maggio del 2003 per poi migrare nella forma attuale nel 2005). Siamo una specie di tribù di sopravvissuti che si legge nel loop degli status di Facebook o nei link di Twitter. Una cosa un po’ buffa, un po’ paradossale.
Ci chiuderanno in una riserva, saremo in pochi e continueremo.
E la frase sarà: “una volta c’erano i blogger, tanti anni fa e bloggavano liberi nelle praterie del web, senza sapere cosa fosse un like o un +1.

 Foto in copertina: Copertina di Internet News (maggio 2003). Nel numero un approfondimento sui blog molto interessante di Giuseppe Granieri 

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