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La ragazza con l’orecchino di perla – anteprima a #Bologna

In un pomeriggio di pioggia battente sono stata baciata dalla fortuna dei blogger e mi hanno invitata ad un’occasione davvero speciale: l’anteprima della grande mostra che partirà a Bologna l’8 febbraio 2014 dedicata al famosissimo dipinto di Vermeer che tutti conosciamo come “La ragazza con l’orecchino di perla“.

Uno degli sponsor di questa mostra è infatti Segafredo Zanetti, azienda che produce caffè (e tè) e che è orgogliosamente “made in Bologna”.

Segafredo ha deciso di fare un bellissimo regalo ad alcuni blogger: ci ha offerto il pranzo da Zanarini per poi accompagnarci in una visita a porte chiuse a Palazzo Fava, per ammirare questa ed altre opere della Golden Age olandese.

Ero emozionata per molte ragioni:

  • non avevo ancora visto Palazzo Fava riaperto dopo il recente restauro, scrigno di alcuni affreschi dei Carracci; 
  • il tour della “ragazza con l’orecchino di perla” ha toccato alcune grandi città in Giappone e Usa e qui in Europa il quadro sarà esposto SOLO a Bologna, dimostrando l’eccezionalità di questo progetto, in coincidenza con i lavori di restauro del museo Mauritshuis;
  • amo Bologna e sono sempre molto orgogliosa quando viene valorizzata da operazioni di marketing culturale che contribuiscano a farla conoscere a livello nazionale e internazionale.

Poi era anche la prima volta che accettavo di partecipare a un evento del genere: in questi anni di blogging mi hanno invitata spesso a presentazioni, per lo più commerciali, e per mia policy avevo sempre detto di no, perché non mi piace fare post sponsorizzati.

Sto giro ho deciso di accettare perché questa iniziativa, voluta da un’azienda, mi sembra un modo virtuoso di promuovere il proprio lavoro. Come ci ha detto il direttore marketing di Segafredo durante il nostro pranzo a Zanarini, l’azienda attraverso la sponsorizzazione di questa mostra ha voluto “resistituire” alla città qualcosa, dal momento che qui è riuscita a prosperare.

E io in queste cose ci credo: la commistione di pubblico e privato, il networking tra tante realtà diverse non può che fare bene a tutti, alla cittadinanza, al commercio e al turismo di un luogo.

Oltretutto, diciamolo: chi – amando l’arte – rinuncerebbe a un’offerta del genere? 😉

La mostra è davvero bella anche per una profana come me (c’erano molti blogger di settore turismo e arte che sicuramente sapranno raccontare in maniera più professionale e specialistica quello che abbiamo visto).

Io sono stata decisamente colpita dall’illuminazione delle opere che sembrano irradiare luce e che vengono valorizzate al massimo e dal percorso espositivo, di cui “la ragazza con l’orecchino di perla” è solo l’apice. Noi che partecipavamo al blogger day abbiamo avuto poi una guida d’eccezione, Marco Goldin di Linea d’ombra, curatore della mostra.

E’ stato lui a raccontarci le scelte espositive delle 6 sale e i motivi che hanno condotto a questa mostra. Mi sono così immersa tra le vedute paesaggistiche del 600 olandese (lo sapevate che a quel tempo erano talmente in voga, in Olanda, le vedute che la maggior parte degli artisti era specializzata? C’erano i pittori di ponti, i pittori di animali, di mare, di campagna…).

Una delle sale è dedicata ai ritratti, non sempre di persone realmente vissute (e qui, qualcuno potrebbe avere una delusione nello scoprire che la ragazza dell’orecchino di perla, al contrario di quanto dicano libri o film, non è mai esistita) ma che hanno un potere carnale di rappresentazione talmente forte da risultare più veri del vero, emozionanti quasi come incontrare una persona che non vedi da tempo e che ti comunica molte emozioni.

Ho scoperto che nel ‘600 l’Olanda era il paese con il maggior numero di donne alfabetizzate e che questa era una nota di orgoglio e merito che anche i pittori celebravano attraverso i tanti ritratti di donne che scrivono lettere. Alla mostra se ne trova uno, bellissimo, di Gerard ter Borch   (foto mia)

Mi sono commossa di fronte ai Rembrant e alle vedute assolate dei campi pianeggianti, colpiti dai raggi del sole e dalle fughe d’ombra delle nubi in cieli enormi che riempiono lo sguardo.

E così, d’un tratto, ci siamo trovati nell’ultima stanza dell’esposizione. Entri e lei ti guarda da lontana. Dall’alto occhieggiano le scene bucoliche e mitologiche dei Carracci. In fondo, nella sua vetrina, c’è una donna con il capo voltato verso chi la guarda. Un attimo, solo un piccolo movimento per guardare te che la stai guardando. Ora si volterà, ora se ne andrà, ora tornerà alla sua vita. Ma prima ti sorride, bellissima di una bellezza morbida e invitante, con quello sguardo dolce di giovane che sta sbocciando alla vita.

Ti ricorda che anche tu, un tempo, hai avuto quella stessa incertezza, quella stessa voluttà e desiderio di vita, di cose che ancora non sai, di cose che ancora non conosci.

Ti ricorda che in fondo è tutto molto effimero. Che passa. Che fugge. Ma che rimane immutato nei ricordi.

E ti fermi a guardarla come presa da una magia. Con la consapevolezza che tra pochi giorni il suo sguardo sarà preso d’assalto e tu, lì, in quel pomeriggio di pioggia, hai il grande privilegio di poter tessere una specie di discorso privato, qualcosa per cui ti senti quasi in colpa.

Ma nulla può bloccare il flusso di emozioni. Ricordarti che l’arte può tutto, se solo ti lasci il tempo per farla entrare nei tuoi occhi.

Se non sei di Bologna ma verrai per la mostra

Se tu che leggi questo post non sei di Bologna ma verrai per ammirare questa mostra, ti ricordo di alzare gli occhi, tra una sala e l’altra, per guardare gli affreschi delle stanze di Palazzo Fava. Se vuoi saperne di più sull’opera dei Carracci leggi qua il ruolo fondamentale che hanno avuto per la diffusione della cultura barocca. Se stai programmando il tuo tour in città, ti consiglio un giro alla Pinacoteca di via delle Belle Arti dove potrai ammirare altre loro opere ma anche – per esempio – quella meraviglia tragica che è la strage degli innocenti di Guido Reni o le opere del Guercino. Fatti un giro per il centro città e scopri le tantissime torri che fanno oplà lungo il tuo cammino, come per esempio la Prendiparte.

Qualche opera


Se volete curiosare tra i tweet live che abbiamo postato ieri, usate l’hashtag #artandsegafredo 

Artefiera e Artcity 2014: qualche considerazione

Da venerdì a ieri mi sono immersa in questo week end fitto di eventi bolognesi dedicati all’arte. La giornata di venerdì – a spasso per Bologna – l’ho raccontata qui.

Dopo molti anni sono tornata anche a Artefiera dove ho trovato opere molto interessanti e il padiglione dedicato all’ 800 e 900 mi è piaciuto particolarmente. C’era tantissima gente (la kermesse si conclude oggi), le mie amiche mi hanno scattato pure una foto con Gianni Morandi e in generale ho potuto ammirare oggetti inusuali, ma anche opere di grandissimi artisti.

Rispetto a qualche anno fa, Artefiera mi è sembrata molto più a misura di spettatore, meno orientata in maniera esclusiva alla vendita e più alla fruizione dell’arte.

Sabato sono stata al Mast, il nuovo museo privato, inaugurato dietro all’azienda GD.

Un’opera architettonica imponente e una mostra di fotografia industriale che consente di vedere i cambiamenti nella percezione e tipologia del lavoro.

Interessantissimo il focus sugli utensili del lavoro e dell’industria e su come – oggi che la maggior parte di noi lavora in virtuale, utilizzando solo il computer – si sia persa la loro valenza e riconoscibilità simbolica. Belle le foto (datate 1985) dedicate ai ricercatori del MIT e al personal computer. Foto di persone che guardano lo schermo, con lo sguardo assente (e a tratti alienato) che ha ognuno di noi quando lavora. Fianco a fianco con quelle degli operai siderurgici di inizio ‘900.

Nel pomeriggio, insieme a Frollina siamo stata al Mambo, per il laboratorio Art City Children. Insieme all’artista Flavia Mastrella, i bambini hanno costruito sculture utilizzando pezzi di giochi. Flavia Mastrella da 20 anni recupera ciò che trova sulla spiaggia, oggetti levigati dal mare e dal tempo e crea piccole sculture affascinanti, in cortocircuito con la natura per cui quegli oggetti (per lo più giocattoli) erano nati.

Il laboratorio è piaciuto molto a Frollina, ma era molto lungo e ce ne siamo andate un’ora prima del previsto perché 4 ore e mezzo per lei erano davvero troppe.  Però mi sono divertita un sacco a vedere cosa creavano i bambini, con quanta fantasia ricomponevano teste, gambe, carri armati e come gli si illuminavano gli occhi quando potevano mettersi a giocare con le loro creazioni.

Per nulla in imbarazzo all’idea di trasformare oggetti che spesso riconoscevano (barbie, pupazzi, giochi di società, personaggi dei cartoni, ecc), dimostravano l’acutezza del pensiero creativo infantile, non ancora imbrigliato dalla razionalità.

Di questa esperienza del fine settimana ho apprezzato tantissimo la possibilità di vedere posti che altrimenti non sono aperti al pubblico (come per esempio il rifugio antiaereo di via Indipendenza), la quantità di gente che – mappa alla mano – se ne andava in giro estremamente motivata a costruirsi il proprio percorso artistico e l’idea di sentire più mia la mia città.

Ho veramente apprezzato l’interesse generale intorno all’iniziativa e mi ha fatto riflettere sul totale scollamento tra “offerta” e “richiesta”. Lo hanno già detto persone molto più esperte di me, ma in Italia se solo avessimo coraggio, potremmo uscire dalla crisi unicamente grazie al mercato della cultura e dell’arte, così ricco e così poco valorizzato. Non è vero che agli italiani non interessa fare i turisti nelle proprie città, conoscere cose nuove e poter accedere a luoghi d’arte, solo che troppo spesso la possibilità è limitata.

Al Mast mi ha messo un po’ a disagio la grande quantità di security, la fila per l’entrata (senza sapere bene quanto tempo avremmo dovuto aspettare, visto che si entrava a gruppi) e in generale una sensazione di “chiusura”, di paura di aprirsi davvero al pubblico che mi ha dato questo bellissimo posto. E’ un museo privato molto giovane, mi auguro possa crescere.

Del laboratorio per bambini mi ha lasciato perplessa la durata: non sono convinta infatti che un sabato pomeriggio, per un bambino che sta a scuola tutta la settimana, possa davvero durare 4 ore e mezzo di laboratorio 😉

Aggiungo poi una proposta/appunto (chissà mai che qualcuno degli organizzatori di Arte Fiera leggesse questo post) sempre relativo ai bambini: credo che articolare maggiormente l’offerta di Artcity Children (anche magari in Fiera) potrebbe davvero essere efficace. I piccoli amano l’arte molto più naturalmente di noi adulti, la sanno interpretare e ci trovano sempre degli spunti interessanti che li appassionano, differenziare l’offerta, creando percorsi in città dedicati a loro, secondo me aggiungerebbe ulteriore valore a un evento che ne ha già tantissimo e che quest’anno ha anche battuto precedenti record.

Artefiera e questo week end bolognese potrebbero diventare così davvero l’occasione per avvicinare tutta la famiglia all’arte, anche in maniera giocosa.

In generale il bilancio per me è molto positivo.

#Artcity: San Giorgio in Poggiale e Casa Morandi. A spasso per Bologna

Oggi mi sto regalando una giornata da dedicare a me stessa, a fare la turista nella mia città. L’occasione di ArteFiera e dei tanti eventi connessi a Art City è stata l’opportunità per una mattina a spasso per Bologna.

A San Giorgio in Poggiale ho scoperto un luogo davvero incantato, dove la scultura di Claudio Parmeggiani troneggia tra i libri e anche su i libri.

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Bellissima la mostra dedicata ad Alfonso Rubbiani e agli anni (inizio 900) in cui Bologna cambiò faccia, con un piano regolatore che aveva l’intenzione di recuperare l’architettura medievale ma che – di fatto – cancellò pezzi della storia della città. Ho scoperto, per esempio, che le altre 3 torri costruite in fondo all’attuale via Rizzoli, vicino alla Garisenda e all’Asinelli, furono distrutte per dare respiro a Strada Maggiore.

Da via Nazario Sauro – complice lo sciopero degli autobus – mi sono diretta a piedi verso Casa Morandi, in via Fondazza 36, aperta al pubblico (e a ingresso gratuito come pure San Giorgio in Poggiale), in occasione di Art City.

Dopo una sosta caffè per consultare la mappa degli eventi Art City  ho cercato di girare a testa in su ed è così che, finalmente, mi sono goduta con un po’ di calma la meraviglia di San Colombano, restaurato davvero bene, nella stretta Via Parigi.

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Sotto una pioggerellina fitta, nel giro di poco (nel centro di Bologna, oltre a non perdersi nemmeno un bambino, si riesce a passeggiare con gusto e velocemente a piedi) sono arrivata al Museo- Casa Morandi. Purtroppo gli interni non si possono fotografare ma ho cercato di riempirmi gli occhi dell’atmosfera magica che si respira nello studio e abitazione del pittore Giorgio Morandi .

Mi ha colpito molto il ripostiglio con gli oggetti collezionati da Morandi e che, in diverse fasi, ha dipinto. Come per esempio le conchiglie che hanno posato per lui.

Nello studio sembra di vederlo ancora, usare i pennelli e i colori conservati nelle scatole di biscotti e in sala da pranzo si può ammirare perfino la “ricetta dei maccheroni” che la mamma diede in dono alle sorelle, con una dedica affettuosa e piena d’amore.

C’è poi una finestra che fa entrare luce dal giardino sottostante, dove si può ammirare ancora lo stesso ulivo che ispirava Morandi. Un tipico “cortile interno” alla bolognese, di quelli che caratterizzano i palazzi del centro, da fuori non te li immagini e poi ti ritrovi immerso in un piccolo bosco e sembra quasi di essere altrove.

Ed ecco le scale che scendeva e saliva per immergersi nelle strette strade del suo quartiere, dove ancora i commercianti offrono stuzzichini ai bambini che entrano con le mamme e nei bar puoi trovare gruppi di anziani che si conoscono da una vita.

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Tra poco più di un’ora andrò ad ArteFiera a visitare i padiglioni e domani al Mast e al Mambo, con Frollina, per Art City Children. Parteciperemo a un laboratorio dedicato alla mostra La Grande Magia.

Gli artigiani Made in Italy che fighi!

Per lavoro mi sto occupando di cose molto interessanti in questo periodo e in particolare di artigianato, un mondo che conoscevo poco, per lo più grazie alla mia amica Denise che dona nuova vita ai lampadari usando “pastiglie” di ceramica che ha trovato tra i tesori del nonno, ceramista ligure. Mi ha sempre affascinato il suo recupero della tradizione e mi piace pensare che dietro alle cose ci sono delle storie, a volte anche generazionali.

Le manifatture Made in Italy si raccontano

Poi a ottobre sono stata coinvolta professionalmente nel progetto Manifatture di CNANext.

CNANext si occupa di organizzare eventi annuali dedicati a fare emergere le storie di successo e le opportunità offerte dal digitale all’artigianato italiano.

Ho così scoperto un  mosaico coloratissimo fatto di scelte, esperienze, sperimentazioni, botteghe tradizionali. Sono le storie “di quelle imprese italiane che non si arrendono e che credono nei  nuovi percorsi della manifattura.” che CNANext continua a raccontare su Instagram e su Facebook e che se – tu che mi stai leggendo – sei artigiano, puoi aiutare a fare crescere mandando anche la tua.

Ho davvero scoperto un mondo fatto di persone che si stanno reinventando antiche professioni grazie ai supporti tecnologici, che hanno cominciato a vendere a livello internazionale usando con efficacia il web e che hanno voglia di condividere la loro arte, raccontare i loro “scatti”, il loro personale modo di rispondere alla crisi, vivendone soprattutto il senso di opportunità.

Simone Frabboni, l'”elfo” del legno, presenta i suoi gioielli a Bologna

Come se fosse un destino professionale in questa fase della mia vita, è arrivato anche Simone. E proprio grazie a questo blog di cui la compagna è lettrice ormai da qualche anno 😉

Simone Frabboni, bolognese che vive a Pianoro (che è anche il mio paese di origine, quindi mi sento – come dire – ancora più legata a questo progetto) mi ha chiesto di aiutarlo con l’ufficio stampa di un evento prenatalizio che sta organizzando anche grazie all’aiuto dell’amica Annalisa di Interno9 il 14 dicembre accanto alla piazza principale di Bologna, per presentare e vendere i suoi gioielli in legno.

Gioielli in legno? Cosa significa?

Ecco le domande – le prime – che gli ho fatto quando l’ho conosciuto.

Simone Frabboni, da molto tempo ha fatto una scelta precisa: vive ai margini del bosco e qui sceglie con cura i legni da cui nascono le sue opere e che lavora in maniera totalmente ecologica.

Il legno utilizzato è quello che trova durante le sue ricerche nel bosco e grazie alla rete di contadini, potatori e boscaioli. Il laboratorio, dove oltre a creare gioielli stagiona i legni, è accanto alla sua casa, sui colli di Pianoro: qui coltiva anche l’orto e accudisce alcuni animali da cortile. Il suo stile di vita è improntato al rispetto della natura, cura del dettaglio e voglia di innovare rimanendo legato alla tradizione artigiana made in Italy.

Bracciali, anelli, collane, orecchini e ora questa nuovissima collezione per uomo: papillon, cravatte e pochette.

Se avete voglia di farvi un giro, nell’atmosfera del Natale in centro città, venite a prendervi un tè offerto da Il mondo di Eutepia con noi,  potrete osservare i lavori di Simone, chiacchierare con lui, pensare ai regali per chi amate e soprattutto passare qualche ora di relax un po’ insolita.

La location messa a disposizione è davvero suggestiva e testimonia il legame tra commercianti, addetti al turismo e artisti della città. Si tratta infatti dell’Art Hotel Orologio di via IV Novembre.

Io ci sarò!

Prendetevi due minuti per vedere questa intervista a Simone, nel suo laboratorio, in mezzo alla natura e agli animali che mette addosso una bellissima tranquillità e fa davvero credere che quando una scelta è consapevole, può smuovere energie e positività in qualunque momento!

Informazioni

Simone Frabboni ci aspetta il 14 dicembre alle 16
Art hotel Orologio, via IV Novembre 10, Bologna
Wooding Time. Simone Frabboni’s Temporary Show

 

 

4 marzo 2013 – Bologna

La Frollina dice che vuole la voce strana come quella di Lucio Dalla, per diventare una cantante.

Ogni tanto prova a rendere la sua – squillante e infantile – roca, perché dice così, anche io canterò delle belle canzoni come Lucio Dalla che aveva la voce strana e cantava così bene.

Mi ricordo ancora quando, alla sua stessa età, durante la colazione del mattino ascoltavamo uno dei suoi dischi e io pensavo davvero, che prima o poi sarebbe stato 3 volte Natale.

Lucio Dalla è stato per ognuno qualcosa di diverso, per me a seconda dei momenti ha regalato emozioni.

Ero bambina e speravo fosse sempre festa, avevo 15 anni e volevo scappare dalla dimensione soffocante del mio paese. Come Anna e Marco.

A 16 mi sono innamorata per la prima volta e Dalla faceva da sottofondo a quella altalena di umori che procurano le prime cotte.

Quante volte ho ballato Disperato Erotico Stomp a Villa Serena durante gli anni dell’Università? Lo mettevano su subito prima o subito dopo Camerini e la Rettore.

Lo si incontrava per strada Lucio Dalla.

Non era mai solo, sempre con qualche amico, con una coda di persone che lo accompagnavano, sempre sorridente. Non ho mai visto nessuno assalirlo in questa città, è una città che ha molta cura dei propri vip questa: Lucio Dalla, Morandi, ma anche tutti gli altri, quelli più recenti come Carboni prima e Cremonini poi, non credo di avere mai visto scene isteriche o folle di persone che li fermassero per strada.

Li vedi camminare per le vie del centro, ti siedi accanto a Morandi a teatro. E’ normale. Sorridi dentro, pensi che soccia, hai incontrato Dalla, soccia hai incontrato Morandi, ma non so, è come se facesse parte dell’essere in questa città, del vivere a Bologna.

E così Lucio prima o poi lo abbiamo visto tutti qui e a tutti prima o poi è venuta voglia di abbracciarlo.

Poi un giorno, un giorno di un anno fa, Lucio se ne è andato per sempre. Sapevamo che non avremmo più potuto incontrarlo in via d’Azeglio e nemmeno in Piazza Santo Stefano.

Se ne è andato per sempre, ma non da questa città.

Dove ogni giorno, da quel giorno, lo si ricorda facendo risuonare la sua musica alle 18 davanti al suo portone, ma non solo. Sono piccoli gesti, come quello di un negoziante in via del Pratello che da quel giorno ha esposto un manifesto vecchio, di un vecchio concerto e non lo toglie più.

Oggi sarebbe stato il suo compleanno.

Voglio ricordarlo. Perché come tutti i grandi artisti, ha lasciato a ciascuno di noi qualcosa, a ognuno una cosa diversa. In questo mondo dove la maggior parte delle persone rende tutto un po’ grigio, bisogna tenere stretto il ricordo di chi è riuscito a dipingere pennellate di colore.

Grazie Lucio.

Le iniziative per ricordare Dalla e il concerto di stasera a Bologna

 

Mart di Rovereto: davvero a misura di famiglia?

Durante la nostra minivacanza con i Cicci, siamo stati al Mart di Rovereto: uno dei maggiori musei d’arte moderna e contemporanea in Italia.

Bellissimo. Non ci sono davvero parole per descrivere l’incanto di fronte alla  struttura di Botta e Andreoli. La foto che vedete quassù rappresenta la struttura (credo una specie di meridiana architettonica) della grande piazza coperta antistante l’entrata: la chiave della serratura attraverso cui guardare il cielo.

Siamo entrati in 9: 6 adulti e 3 bambini. Oltre a Frollina e al suo amico Ciccio (5 anni) c’era anche la piccola Bù (2 anni).

Alla biglietteria siamo stati accolti dalla consapevolezza che in quel posto i nostri figli erano ben accetti. Ce lo diceva a chiare lettere questa brochure informativa, ben in vista sul banco.

Io sono sempre molto contenta quando insieme a Frollina andiamo in un museo, specie se ci sono dei quadri. Lei è in una fase “pittorica” davvero spumeggiante e – se potesse – decorerebbe tutta casa nostra. Ha una fantasia iconografica straripante e ci piace molto ascoltare la lettura che fa delle grandi opere. Come dice Art Attack, i bambini non hanno le nostre sovrastrutture e di fronte ai quadri riescono a tornare all’essenziale, vedono cose che a noi sfuggono ma che spesso ci servono per guardare in maniera più piena.

Nei musei spieghiamo sempre ai bambini che

non si urla;

non si corre;

non si toccano i quadri o le opere;

non si da fastidio alle persone intorno.

Piccole regole, essenziali per la convivenza pacifica e per il rispetto della cultura.

Ma nei Musei cerchiamo sempre di:

  • raccontare in maniera interessante e non intellettualistica i quadri perché anche i più piccoli possano guardarli senza annoiarsi ma anzi con curiosità;
  • ascoltare quello che hanno da dire i bambini su quello che vedono.
Questa opera di Lucio Fontana che si chiama “Concetto Spaziale. La fine di Dio”  è stata raccontata in 4 modi diversi a seconda di come la guardavamo secondo distanza prospettica e sentimento. Per Frollina era prima un prato rosso da cui spuntavano, rompendolo, fiori bianchi e poi – in distanza – un uovo di dinosauro da cui stava uscendo il piccolino.
Possiamo darle torto?
Non è anche questo un modo per guardare all’arte dall’alto dei propri 5 anni?
Il Mart, proprio perché Museo di arte contemporanea, si presta tantissimo a una visione non convenzionale, di cui i bambini sono maestri. Può diventare un esercizio per noi e per loro. Per noi perché – come dicevamo – ci libera per un pomeriggio dalle sovrastrutture, per loro perché li avvicina all’arte senza il peso dell’intellettuale, facendo spazio alla creatività, unica forma di fruizione in un momento in cui la vita è soprattutto gioco.
Eppure ieri è successo qualcosa che ci ha dato molto fastidio. Ha toccato tutti gli adulti presenti.
Eravamo appena entrati nella prima sala dedicata alla mostra temporanea di  Gino Severini. Eravamo in pochi (era quasi l’ora di pranzo) e abbiamo cominciato subito a cercare il primo quadro da guardare. I bambini erano tranquilli, nessuno di loro urlava o tentava di portarsi a casa qualcosa.
Ci si è immediatamente fatta vicina una delle guardie della Sala per dirci di dire ai bambini di parlare piano e che se volevamo, uno di noi poteva andare con i piccoli al Baby Mart, mentre gli altri guardavano la mostra. Il Baby Mart è uno spazio allestito per giocare, non ci sono quadri ma libri per bambini, come quelli presenti nella nostra biblioteca.
Ci siamo sentiti un po’ aggrediti. Abbiamo risposto gentilmente che ci faceva piacere che i nostri figli guardassero la mostra e che al Baby Mart ci saremmo andati, eventualmente, dopo. Per farli riposare un po’.
Da quel momento non abbiamo potuto muovere più di cinque passi senza che un solerte guardiano non ci seguisse, incalzasse per il rispetto di un rigoroso (ma davvero sostanziale?) silenzio e non ci ripetesse che non ci si avvicina ai quadri ogni volta che i bambini si muovevano (e non nella direzione dei quadri!). Ci siamo sentiti dei terroristi con la bomba pronta ad esplodere.
Ad un certo punto Art Attack ha preso in braccio Ciccio per mostrargli più da vicino un quadro (Art Attack ci lavora con i dipinti antichi per cui sa quello che fa e non perde mai di vista l’eventuale distanza di sicurezza) ed è stata subito redarguita.
Si respirava un clima “ansiogeno” e senza alcun motivo.
Io – onde evitare qualsiasi complicazione – ho fatto una ramanzina preventiva a Frollina (mi sentivo molto Bush!) dicendole che non doveva assolutamente toccare i quadri e che se fosse successo qualcosa a uno di quei dipinti sarebbe stato un danno incalcolabile perché nessuno avrebbe più potuto guardarlo, ma anche che – probabilmente – avremmo dovuto vendere la casa per ripagarlo.
Lei si è talmente convinta che andava in giro e ripeteva agli altri due di non avvicinarsi “se no il Museo ci ruba la casa” ;-(
La mostra ci è piaciuta molto e tutto il Museo è davvero bello, però.
Però credo che il clima  fosse davvero esageratamente restrittivo per i bambini. L’arte è di tutti, anche loro. I bambini di oggi sono gli adulti di domani e l’Italia dovrebbe essere un grande parco culturale a disposizione delle persone, non un accrocchio di rovine in vetrina che prendono polvere nascoste dietro a cataloghi dal linguaggio involuto.
L’arte dovrebbe essere popolare. Almeno quella che sta dentro ai grandi musei costruiti dalle città.
Nella maggior parte dei Musei europei – e non solo quelli dedicati alla scienza e alla tecnica, luoghi facilmente declinabili alle esigenze dei più piccoli – i bambini si siedono in cerchio di fronte ai quadri e insieme ai loro genitori li guardano, ne parlano, costruiscono il loro piccolo zainetto di ricordi artistici, mettendo in moto proprio quei meccanismi senza i quali nessuna cosa può chiamarsi opera artistica.
La proposta di relegare i bambini in spazi circoscritti “con tappeti morbidi” e libri è sicuramente vantaggiosa per spezzare le giornate delle famiglie in gita, ma non può diventare l’alternativa. Esclude loro dal mondo (e il mondo non è declinabile in maniera artificiale ma solo per l’approccio diverso che ha un bambino rispetto ad un adulto ad esso) e esclude il dialogo tra noi e loro di fronte all’arte stessa.
Non mi va di pensare all’Italia come a una summa di ghetti, quello per gli anziani, quello per le famiglie, quello per i single e quello per i bambini. Non è un po’ triste? Non è un po’ limitativo?
Certo, non tutti i musei sono così e anche la mia visione del Mart è limitata alla nostra singola esperienza, ma quello che ho sentito ieri non mi è piaciuto per niente, era in netto contrasto con il senso e la natura stessa di quel Museo.
Certo, probabilmente con le scolaresche è diverso, perché è tutto istituzionalizzato, c’è una guida esperta con i bambini. Ma è davvero sostanziale che faccia la differenza? E inoltre, non è importante che la cultura sia qualcosa di liquido e osmotico che passa dalla scuola alla famiglia, ma anche viceversa? Perché anche relegare i musei a qualcosa di “scolastico” li rende qualcosa di esterno, di altro, qualcosa da cui fuggire non appena la scuola finisce, esattamente come si fa dalla Divina Commedia e dai Promessi Sposi.

Voi cosa ne pensate?

Mi piacerebbe sapere da chi non ha figli se è infastidito dai bambini, durante la visita in un museo, oppure no e da chi ne ha, che esperienza ha avuto e se preferisce visitarli da solo o apprezza anche la gita “familiare”.
Le mie sono riflessioni, personali, opinabili e legate alla mia singola esperienza, per ciò se invece altri hanno avuto esperienze diverse e a misura di famiglia al Mart, se hanno voglia di raccontarle, ne sarei davvero contenta!