Così come viene

In questo tempo sospeso tra ieri, quando sono andata a una festa di compleanno in montagna ed era il 20 di febbraio e il domani senza data, nel barattolo sotto vuoto del futuro, mi sento spaesata. 

E mentre in molti fanno ginnastica su youtube, ne approfittano per formarsi su Zoom o scrivono libri e fanno qualcosa per dare un senso, io trovo il mio senso solo nello scomporre le giornate in un numero imprecisato di pezzi: a volte durano 3 pezzi, a volte 15, a volte anche 100.

Ogni pezzo è un piccolo obiettivo: tengo una lezione, scrivo un racconto lieve per il blog, mi viene un’idea per un prossimo corso di scrittura, faccio step per mezz’ora guardando fuori dalla finestra, riesco a coinvolgere mia figlia in un’attività che la isoli meno. 

Guardo lei, tredicenne ormai alta come me e mi chiedo che effetto produrrà quello che sta vivendo: io alla sua età, in questo stesso periodo dell’anno, pensavo con un po’ di ansia all’esame di terza media e contemporaneamente mi innamoravo di un mio compagno di nuoto e mi immaginavo come sarebbe stato, se mai ci fossimo baciati.

Lei costruisce mosaici di foto con i compagni, le gite, la scuola, un gelato l’anno scorso e durante le lezioni online si sforza di non tirare fuori il suo diario per scrivere o di non distrarsi su una chat. A volte non si sforza nemmeno e io fatico a riprenderla perché la capisco così profondamente che nel suo spaesamento vedo il mio. 

Certe mattine mi sveglio più serena, certe altre no.

A volte dormo a bocconi piccoli, facendo sogni assurdi e divertenti, a volte sono inseguita dagli incubi, a volte non dormo proprio: penso alla malattia, penso se ci capita qualcosa, penso a tutte le persone cui voglio bene, il lavoro, la vita in generale. A volte tiro su il morale a qualcuno, a volte mi manca l’aria e avrei solo bisogno di qualcuno che mi prendesse in braccio. 

Dico questo non per lamentarmi, ma perché so che sono una delle milioni di persone che si sentono così: faccio parte di quelli che non scriveranno il miglior libro della propria vita in quarantena (come promettono certi post sponsorizzati su Facebook che vendono corsi di scrittura miracolosi come diete, per tutti quelli che si sono messi a scrivere ora).

Faccio parte dei tanti che si sentono bloccati durante l’intervallo, quello di quando ero bambina alla tv e le foto ingiallite delle città italiane ti passavano davanti come una serie meccanica di diapositive e tu leggevi “Novara” sotto a una cartolina piatta e monocorde e ti immaginavi personaggio di cartone, in giro per una città che non sapevi nemmeno localizzare sulla mappa. 

Faccio parte di quelli che si fanno la doccia tutte le mattine ma non hanno nessuna intenzione di mettersi la camicia buona per fare una videochiamata e sono quella che si commuove quando fa lezione e vorrebbe urlare ai suoi studenti 20enni, cazzo, cazzo voi dovreste essere in classe con me e alla fine di questa lezione uscire a pranzo tra di voi, innamorarvi l’uno dell’altro, tornare a casa in treno, conoscere uno in stazione e dargli il numero per uscirci la sera a bere una birra. 

Faccio parte dei genitori confusi, innamorati confusi, amici confusi. Mi sento confusa. Vorrei stare vicino a mia madre, mio fratello, al mio compagno, al padre di mia figlia, agli amici, a quelli che stanno lottando contro la bestia e ci provo, ci provo tutti i giorni ma non so mai bene come fare. 

A volte mi manca la sua pelle, le nostre mani che si intrecciano e in questo pensiero banale, noi due che ci baciamo nella nostra piazza, mi sento in colpa perché intorno è casino e io invece sono al sicuro a casa mia. 

A volte vorrei dire a mia figlia andrà tutto bene, le dico andrà tutto bene e poi mi sento in colpa pure lì, perché io non so niente di come sarà dopo, non so mica prometterle che questa rottura nello schema della sua vita produrrà DAVVERO qualcosa di buono come tutti ci dicono.

Non riesco nemmeno a essere così nobile da pensare con gioia (o sensato positivismo) al fatto che la natura si sta riprendendo spazio: io non ne ho mai tolto tanto alla natura, sono sempre stata rispettosa, l’ho sempre celebrata, perché diavolo la natura dovrebbe vendicarsi con me? 

Non riesco a trovare conforto nel fatto che poi avrò rimesso in riga le mie priorità: lo avevo già fatto. 

Poi però c’è questo istinto naturale, nello spaesamento, che sale come un succo gastrico che torna a bruciare in gola e mi spinge a sorridere, crederci, cercare di arrivare al meglio possibile (per me e per chi amo) al pezzo successivo della giornata. 

Non ho ricette, non so cosa sia giusto o meno, non ho mai vissuto un’epidemia (ma prima della prossima mi compro una macchinetta per tagliarmi i capelli che tra un po’ sarò inguardabile) e non credo uscirà da questa casa qualcosa di meraviglioso per i posteri: a volte – anzi – mi chiedo se riuscirò a portare a termine anche quello che mi ero data per programma “prima”. 

Eppure. 

Provo a crederci. Me la racconto. Mi accetto così, svarionata e un po’ rotta e penso che in un mondo di presenti sotto vuoto, prima o poi entreremo nel futuro e voglio esserci e voglio che mia figlia ci sia, così come viene. 

Così. Come viene. 

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