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Wired e le donne

[Si può davvero parlare di innovazione e di come cambiare il mondo cadendo in questi triti stereotipi?]


In famiglia siamo abbonati a Wired Italia dal primo numero, di febbraio 2009. Entrambi ci occupiamo di web e Media, gli argomenti trattati ci interessano molto. Io seguo progetti editoriali dedicati all’innovazione: naturalmente Wired è una fonte preziosissima.

Mi dispiace però constatare (e ormai accade, puntualmente, mese dopo mese) che lo spazio dedicato all’innovazione al femminile è molto esiguo. Mi è piaciuto molto, ad esempio, l’articolo sulle Dieci tecno-donne da tenere d’occhio  del mese di agosto 2011, in cui si rilevano nomi importanti nel panorama innovativo mondiale, questi contributi sono però una rarità: sfogliando e leggendo la rivista si ha la sensazione che il panorama della cultura “geek” in Italia, ma non solo, sia dominato dai maschietti.

E non è solo una questione di temi.

Le firme della rivista sono per la maggior parte di uomini e basta guardare alla pagina che ogni mese viene dedicata ai collaboratori, per rendersi conto che i volti femminili sono sempre molto pochi, se non assenti.

Se è vero che le Start Up sono prevalentemente fondate da uomini (nel 2011 87% uomini contro 13% donne – fonte Mind the Bridge) è pur vero che esistono molti casi di eccellenza e che i progetti per favorire l’uso delle tecnologie e la messa in pratica della propria creatività innovativa che si rivolgono alle donne sono moltissimi  e sarebbe interessante dare conto anche di quelli.  Mi viene in mente, per restare in Italia, Daniela Ducato, vincitrice del Premio “Miglior innovatrice 2011” di Itwiin Italia 2011.

Questo mese, però, durante il consueto censimento mentale che faccio – mentre scarto la rivista dal cellophane – degli articoli che riguardano le donne o parlano di progetti di donne, ho dovuto ricredermi.

Un’intera pagina – anche se in battuta finale – è dedicata a noi.

Inutile dire che ho immediatamente segnalato allo IAP: non credo che un “culo” usato per appoggiare una bella carta da gioco sia davvero sostanziale per vendere l’amaro. Inutile dire che se volete farlo, potete anche voi.

Inutile ricordarvi che siamo tutti CONSUMATORI ATTIVI e possiamo decidere di non acquistare prodotti che ci offendono o promuovono un immaginario stereotipato e che come LETTORI possiamo scrivere a Wired e chiedere conto delle sue scelte inserzionistiche per decidere attivamente.

Non so perché, ma unendo i puntini, come donna comincio a sentirmi davvero a disagio nei confronti di questa rivista.

Si può davvero parlare di innovazione e di come cambiare il mondo cadendo in questi triti stereotipi?

Per segnalare allo Iap

  • precisare che si tratta della pubblicità “ToiletPaper” di Di Saronno, pubblicata in III di copertina di “Wired” , gennaio 2012
  • se volete potete inserire il link alla foto che ho fatto della pubblicità in rivista

Women in digital

Approfitto del tema per segnalare un interessante convegno, a cui io mi sono già iscritta che si terrà a Bologna il 20 gennaio 2012, al MaMBO:

Women in digital: donne e ICT hanno molto in comune

Il Web, i Social, i blog e le tecnologie: possibili opportunità di lavoro per le donne?

In che modo avere un blog, usare i Social Network, essere in rete e conoscere alcuni linguaggi del web mi è servito per lavorare? In che modo la mia esperienza può essere l’exemplum dell’esperienza di altre persone? Quali sono le opportunità della Rete per le donne?

Queste sono solo alcune delle domande e delle riflessioni che – fatte in progress – insieme ad altre donne (GGD Bologna, Mara Cinquepalmi) – hanno portato all’idea e alla realizzazione (io per conto dell’associazione Donne Pensanti) di un evento che si terrà  sabato 15 ottobre 2011 a Bologna: Le nuove professioni delle donne e a cui siete tutti invitati e dove spero di incontrare parecchie delle donne che seguono questo blog.

Tutte le volte che mi chiedono: “Ma tu precisamente che lavoro fai?” oppure “Ma si può campare di blogging?” rispondere a parole non è affatto facile, eppure credo che per chi verrà ad ascoltare le relatrici di quell’evento, sarà tutto abbastanza manifesto.

No. Non si può vivere di solo blogging. Sia chiaro. E infatti io non faccio solo quello e infatti io sono sempre alla ricerca di nuove partnership (a buon intenditor…;-)) e oltre alla parte di scrittura, che è senz’altro quella che preferisco, affianco anche il lavoro sui Social Media, di pubbliche relazioni – che cerco di fare secondo un codice etico preciso – e di valorizzazione di contenuti editoriali.

Ma è vero che il blog è un biglietto da visita importante se hai delle idee. Sia che l’idea sia la stessa per cui apri un blog, ovvero scrivere, sia che l’idea sia una lampadina geniale, accesa nel cervello, che vuoi riuscire a fare conoscere.

Perché il blog, in quanto strumento in progress, racconta un divenire ed è molto difficile trasformarsi in ciò che non si è, in un divenire. Il bluff riesce per tempi limitati.

La rete oggi si crea sui Social, il tuo blog (e quindi la tua idea) la promuovi sui Social e attraverso i legami deboli puoi far conoscere il valore di quello che dici, di quello che fai e di come lo fai. Ne ho parlato altre volte, si chiama anche Personal Branding.

A molti sembra scontato quanto possa essere importante il web per la propria professione, ma non lo è affatto per un sacco di gente. L’idea di raccontare (attraverso speech e anche attraverso workshop pratici) quanto alcune donne sono riuscite a fare grazie alla rete, affinché sia di esempio e sprone per altre donne, vuole essere un modo concreto di condividere esperienze e conoscenza e di coinvolgere persone che – in particolari momenti della vita – sono “esiliate” dal mondo del lavoro. Volenti o nolenti.

I dati sull’occupazione femminile e sul divario salariale tra uomo e donna nel nostro Paese, non sono confortanti e se da una parte dobbiamo pretendere dalle Istituzioni leggi e provvedimenti che invertano la rotta, dall’altra bisogna rimboccarsi le maniche e diventare anche artefici del cambiamento, in prima persona.

La rete in questo può aiutare.

Sottolineo quel “può” perché troppo spesso viene invocata illusoriamente come panacea di tutti i mali, specie delle donne, specie delle mamme in cerca di lavoro.  Le mamme sono oggi il target più ghiotto per moltissime aziende e le blogger che hanno figli diventano spesso l’obiettivo di qualsiasi tipo di engagement che può diventare, quando non trasparente, anche illusione di un possibile lavoro futuro (in alcuni casi sottopagato), per ciò occorre attenzione e consapevolezza, entrambe competenze che si sviluppano con la conoscenza e la partecipazione dei/ai fenomeni.

Se dal punto di vista professionale, i lavoratori del settore ICT sono prevalentemente uomini, tra gli utenti la presenza femminile è fortissima (in Italia il 45% delle donne naviga in Rete): vogliamo lasciare che un ambiente dove puoi modellare la tua professione e la tua idea creativa come la Rete rimanga appannaggio professionale prevalente degli uomini?

Negli ultimi 3 anni (lo so bene) si è parlato moltissimo di “mamme blogger”, codificando un’etichetta e uno stile: la mamma blogger è ironica, multitasking, rimpiange l’aperitivo mentre cambia i pannolini e i pannolini mentre beve l’aperitivo, gira con I-pad ed è tecnologicamente molto attiva in rete, frequentando community di altre mamme geek.

Questa etichetta e tutti i suoi decalages hanno creato un modello al quale molte nuove protagoniste della Rete tendono a volere assomigliare. Il modello – fatto nascere anche da molti Media tradizionali –  è legato alla necessità (sociologica, ma anche di marketing) di dover creare stereotipi che servano a contenere i fenomeni, a descriverli.

Ha degli aspetti positivi (ha valorizzato certamente una fetta della rete italiana e ha moltiplicato l’informazione legata ai temi della genitorialità) ma anche degli aspetti negativi: rischia di diventare un’arma a doppio taglio per le donne in rete che se non aderiscono a quel modello (successo e lavoro compreso), rischiano di sentirsi inadeguate, fuori posto un’altra volta.

Dopo aver colonizzato il web, l’imperfezione a cui abbiamo tessuto lodi in tante, si fa perfettibilità per altre, diventando un cane che si morde la coda e che alimenta la paura delle donne di fare squadra.

Lo dico con cognizione di causa perché sono certa di aver fomentato – in parte – anche io quel modello (sono in fase outing).

Ebbene, questo evento “Le nuove professioni delle donne” non vuole essere una vetrina per blogger e professioniste affermate, tutt’altro.

Vuole essere un modo per ribadire l’importanza di fare modello a se’, anche professionalmente, trovando il proprio “posizionamento” on line che è – soprattutto – conseguenza di una forte identità di idea.

Chiunque può avere un idea imprenditoriale: la rete ci offre l’occasione per provare a realizzarla. Per farlo non servono magie, non è necessario assomigliare “a quella blogger che è tanto brava e ha avuto successo” ma occorre tenere i piedi per terra, saper riconoscere l’ecosistema in cui ci si inserisce, creare legami ma con la consapevolezza del fatto che lo si sta facendo professionalmente (e dunque saper riconoscere gli amici dai contatti professionali) e affermare la propria identità con orgoglio e passione.

Dati questi primi ingredienti, poi c’è tanto lavoro di costruzione e disciplina che ha poco a che vedere con frasi mitologiche (o da buzz marketing di ultima categoria) del tipo “Diventa ricco con il tuo blog”! che fanno ridere anche i polli.

Vi aspettiamo sabato a Bologna. Ci potete seguire anche su twitter #NPDonne e se volete, nel frattempo potete leggere su Articolo37 le interviste ad alcune delle ospiti che si avvicenderanno quel giorno o – domani, ascoltare l’intervista in diretta su Radio Città del Capo a Linda Serra delle GGD che racconterà come è nato e si struttura l’evento.

L’evento sarà anche in streaming, per ciò se siete troppo lontane da Bologna e volete seguirlo, potete farlo dal vostro PC!

Articoli (esterni) correlati

Sulla creatività

la mappa della creatività

Sul Panzaldone raccolgo link, segnalazioni e idee sulla creatività.

#creatività

Diario di un addio

Ho sempre avuto l’abitudine di portare in giro con me un quaderno o un taccuino su cui disegnare. Lo facevo già quando mio padre entrò in coma. In quel periodo, nei cinque anni del suo stato vegetativo, mettere su carta quello che vedevo mentre succedeva era per me molto faticoso. Per la verità tentavo di non farlo, ma a volte i disegni si affacciavano sulle pagine senza che io lo volessi. Quello qui sopra, per esempio, è il primo disegno di quel periodo: risale proprio al primo mese, all’estate del 2003, quando mio padre era ancora ricoverato in rianimazione e non sapevamo che cosa sarebbe successo dopo. Mi ricordo che in quel momento gli uomini caduti erano l’unica cosa che riuscissi a disegnare.

Questo è uno dei pezzi del blog di Pietro dove racconta com’è nata la storia del suo Diario di un addio che ora è diventato un libro e verrà presentato a Ravenna venerdì 8 ottobre per Comma 22

Qualche tavola la trovate anche qui su Repubblica,  e qui trovate un bellissimo articolo/intervista a Pietro.

Il tema è quello del coma vegetativo visto con lo sguardo di un figlio: un tema su cui in tanti si sono riempiti la bocca ideologicamente ma che solo chi ci è passato – come Pietro – conosce a fondo.

Un libro che ci farà senz’altro riflettere sulle sfumature.

Ho avuto la fortuna di vederle in originale le tavole di Pietro e di parlare con lui che è persona sensibile, intelligente e pieno di attenzione per il mondo, perché abita al piano di sotto del mio condominio.

Per dire che grazie a Pietro,

ho il cartellino personalizzato per il campanello con degli stupendi disegnini, proprio come quello che trovate anche sul suo blog.

Credo che questo sia un libro da leggere, sfogliare e in cui entrare in silenzio, facendo attenzione a non spostare nulla.

Se volete acquistarlo andate qui

Segnalazioni di ogni (Bologna e altro, eventi e altro)

Se stasera siete al festival dell’Unità di Bologna e avete voglia di portare testimonianze e punti di vista sul tema “Donne, lavoro e discriminazioni” vi aspetto allo stand di Salotto Precario, alle 22.30 circa: l’evento ha davvero senso solo se ci siete voi.

Durante tutto il fine settimana, sempre a Tortellini city, c’è la Città dello Zecchino, manifestazione dell’Antoniano ricca di eventi, stand, laboratori sparsi tra le vie del centro e il parco della Montagnola.

Se capitate in via Altabella, allo stand di Bambinidavivere trovate il giornalino Bimbò e dentro ci sarà anche un mio articolo. Ringrazio tanto Giovanna per avermi chiesto di scriverlo: mi sono divertita ed è la prima volta che le mie parole vengono stampate (dopo la tesi di laurea) invece che masticate in forma di bit.

Alla Montagnola, domenica, c’è anche lo stand di Jolanda di Filastrocche, con tante attività per i bambini.

Chi non ha figli (ma anche chi li ha) e sta a Bologna, se ha voglia può farsi un giro in via Centotrecento dove è in corso un interessante esperimento di cultura urbana che si chiama Luogo di sosta pedonale:

Per una settimana, dunque, in via Centotrecento due posti auto saranno sostituiti da una micro-piazza di vicinato, in cui si terranno iniziative,  incontri con gli abitanti, discussioni, piccole rappresentazioni teatrali, concerti, letture, momenti di incontro, pause di ristoro, presentazione di progetti.

A Sasso Marconi, al Castello De’Rossi c’è poi la Fira di Sdaz: fantastica location, fantastica fiera

E dopo le segnalazioni in città, voglio segnalare alcuni blog interessanti, perché è un po’ che non lo faccio e invece girare in rete trovando cose belle è sempre entusiasmante:

  • Fumoso bar è il blog di due amici. Si parla di tutto, come al bar e come in ogni bar che si rispetti, gli avventori abituali sono personaggi interessanti e curiosi.
  • Questo uomo no è il tumblr di Lorenzo, “contro lo stupido, ipocrita, diseducativo, violento machismo dilagante, segnalo qui ogni scritto, immagine, rappresentazione, disegno, spot, che racconta un tipo di uomo che non mi piace. A insindacabile giudizio di un “normale” uomo etero”. Lorenzo è una di quelle persone che vale la pena conoscere, secondo me, anche solo virtualmente.
  • Eriadan: forse lo conoscete tutti. E’ un fumettista STRABRAVO. Racconta la sua vita personale in un modo dolce, divertente, delicato, ironico. Tutto insieme. E’ levità dotata di peso. Mi piace un sacco.

E per finire voglio confidarvi che ieri mi sono molto emozionata perché Annamaria Testa – che ritengo una delle donne di comunicazione più valenti in Italia – parla di Donne Pensanti sul suo blog. Mi batteva il cuore forte, sono stata veramente contenta.

Stiamo lavorando tanto sul progetto e credo di aver trovato la mia strada (l’ho detto!): ultimamente mi è capitato di ricevere molte critiche a causa del mio impegno e per alcune ci sono rimasta anche un po’ male, ma è vero che “solo chi non fa non sbaglia” ed è altrettanto vero che a mettersi in gioco tanto come sto facendo io (e GIURO non ci guadagno una lira, ne’ ne ho alcun vantaggio personale a parte l’ovvia considerazione che mi fa sentire a posto con me stessa e con il mondo rispetto ad alcune tematiche) ci si espone sia alle cose positive che a quelle negative, così ecco, quando arrivano attestati di stima da parte di chi stimo professionalmente e/o umanamente, mi dimentico della fatica e delle critiche che vogliono essere solo distruttive (che quelle costruttive mi piacciono e mi servono molto, quelle distruttive mi amareggiano e basta).

Buon fine settimana a tutti.

Pubblicità svilenti e offensive: come si segnalano?

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Non dobbiamo subire in silenzio (uomini e donne) gli stereotipi imposti da un certo genere di pubblicità che ha abdicato alla creatività a favore delle facili metafore sessuali.

Possiamo confrontarci e affrontare con determinazione chi produce contenuti che sviliscono l’immagine femminile, la cultura e l’immaginario collettivo contattando direttamente tutti coloro che sono coinvolti: pubblicitari, politici, televisioni.

Possiamo far emergere i casi emblematici affinché si allarghi la discussione e lo spirito critico, gli occhi nuovi con cui vedere a queste cose siano sempre di più: se la maggioranza delle pubblicità usa lo stesso messaggio che mercifica il corpo, dopo un po’ ci abituiamo, lo consideriamo normale. Ogni giorno un pezzettino di noi si assuefà e ci svegliamo una mattina che non riteniamo più di poter agire attivamente ma solo subire.

Se SMONTIAMO queste pubblicità, le guardiamo con occhi obiettivi ma critici e cerchiamo di cogliere TUTTI I SENSI contenuti in un determinato messaggio, ci accorgeremo che per fare pubblicità al caffè non serve ventilare ipotetici favori sessuali dell’immagine femminile mostrata sul manifesto. Non occorre, per vendere un telefono a Natale, trasformare Babbo Natale e le renne in pettorute ragazzine in posizioni invitanti.

Se SMONTIAMO i messaggi, ci accorgeremo che spesso le frasi associate alle immagini dicono molto più delle immagini stesse e che in maniera pervasiva, sottile ma costante, il messaggio va in una direzione ben precisa che è svilire la donna, il suo ruolo nella società e nelle relazioni con l’altro sesso, per ridurla a oggetto di desiderio o bramosa pantera che ha un unico obiettivo: accapparrarsi i favori dell’uomo.

Quando, dopo aver smontato una pubblicità o una trasmissione di questo genere, ci rendiamo conto che il caso è proprio questo:

POSSIAMO FARE QUALCOSA!

In una società matura è necessario che possano convivere le contraddizioni e le dicotomie e che si sviluppi la possibilità del confronto e della riflessione, anche in base ai punti di vista di coloro che non la pensano come noi.

Dato che l’obiettivo di questo progetto è soprattutto AMBIRE a questa società matura, in cui la questione culturale sia fortemente rivalutata e di cui l’immagine della donna (ormai monotematica) è la cartina di tornasole, quello che ci interessa è DIMOSTRARE che insieme possiamo fare molto, che LA RETE può dare voce anche alle persone come me (Francesca Sanzo che scrivo), a chi posta fotografie scattate al volo nella propria città e a tutti coloro che hanno voglia di fare qualcosa.

Se non vogliamo diventare censori possiamo diventare SEGNALATORI.

Istituto di autodisciplina publicitaria

Le pubblicità che offendono un gruppo di persone, un genere, una categoria in particolare possono essere segnalate, facilmente, all’Istituto di Autodisciplina pubblicitaria che prenderà in carico la nostra segnalazione e deciderà se quella campagna è davvero offensiva, obbligando, nel caso a rimuoverla dalle nostre città, da giornali e televisioni.  Riguardo alle donne, lo IAP ha stipulato un protocollo d’Intesa molto interessante.

E questo è il MODULO da compilare per le segnalazioni.

Dialogo

Esiste poi la possibilità di scrivere mail alle aziende coinvolte affinché sappiano che la cosa è emersa, che non abbiamo intenzione di stare in silenzio. Mail che devono richiamare al dialogo e far capire che oggi il potere del PASSAPAROLA è fondamentale per la buona riuscita o meno di qualsiasi prodotto, sia di comunicazione che commerciale.

 

Persone che hanno dei talenti: l’imprenditrice precaria di Toc Toc Studio

Forse aprirò una rubrica ad hoc che tra le tante cose che mi sono venute in mente, che forse l’avrete capito, c’ho voglia di rinnovare il look concettuale di questo blog e scrivere di un sacco di robe, oltre che di aneddoti e forse allora ogni tanto scriverò un post su persone che secondo me hanno dei bei talenti, fanno dei lavori che bisognerebbe dargli una medaglia, sia per la qualità che per il coraggio, in questa Italia sempre più piatta, omogenea e superficiale.

La prima persona – che è una donna e io i talenti al femminile sono quelli che prediligo, dato che per troppo tempo sono rimasti nascosti tra le mura di casa – forse molti di voi che frequentano il mondo virtuale la conoscono.

Lei ha uno studio che si chiama Toc Toc (e il nome è proprio buffo) ed è uno studio di comunicazione artistica. Continua a leggere

8xmille: un approfondimento

Ringrazio Luisa – che mi ha fornito molte informazioni per poter scrivere questo post – e l’aggregatore Liquida perché ho trovato anche lì numerosi spunti di riflessione.

L’articolo che segue tratta di:

  • cos’è l’8 per mille
  • a chi lo possiamo versare e come funziona il meccanismo
  • cosa succede quando lo destini allo Stato
  • opzioni di un’anticlericale (ovvero la sottoscritta) senza pretese di convincimento

Chiunque voglia fornire approfondimenti ulteriori può farlo nei commenti. Continua a leggere

A.A.A cercasi storie di donne: lavoro e gravidanza

Silvia Ferreri, autrice del documentario e del libro Uno virgola Due sta portando avanti un progetto importante per fare emergere le storie di quelle donne scoraggiate che hanno perso il lavoro (o a causa di una maternità, o per altri motivi) e che ora faticano a rientrare nel Mercato.

Donne che si sentono spesso avvilite e senza scelta. Donne che hanno dovuto scegliere per forza.

Sta cercando anche le storie di donne che hanno trascorso i mesi di gravidanza all’estero. Continua a leggere

Vivere slow e altre storie (e segnalazioni)

foto presa in prestito da www.comune.pollica.sa.it/

Disclaimer: se leggi tutto l’articolo trovi anche una segnalazione di un mercato della terra, domani a bologna.

Sono giorni un po’ frenetici.

Eppure mi sono data come obiettivo di vivere slow, in questo 2010.

Non è sempre facile o possibile, ma – per dire – quando esco dall’ufficio e vado a prendere la nanetta a scuola, io ecco stacco da quello che mi frulla in testa almeno fino al dopocena. Me lo impongo.

Non posso tutti i giorni che delle volte, tra DonnePensanti e lo spettacolo, c’ho degli impegni extra, ma diciamo che faccio quel che posso.

Scendo dal bus o dalla macchina che mi ha ricondotto giù da Greppilandia e mi fermo sempre al bar Storico a prendere un buon caffè, prima di arrivare alla materna. Faccio due chiacchiere con i baristi, annuso un po’ della vita del quartiere e poi mi incammino verso la scuola. Continua a leggere