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Fare cose stra-ordinarie

Ieri sera si è concluso il corso di scuola elementare di scrittura emiliana di Paolo Nori che ho frequentato in questi mesi con una pubblica lettura di alcuni dei nostri compiti alla Libreria Modo Infoshop di Bologna.

L’ho già scritto quanto mi è piaciuto questo corso. Ho già detto che Paolo Nori è uno dei miei scrittori preferiti. Non ho però parlato della cornice, della bellezza collaterale di avere deciso di partecipare a questa avventura.

Leggere libri, condividere letture e cose scritte da noi con altri è stata per me un’esperienza davvero stra-ordinaria. Eravamo in 9 scolari,  tutti sconosciuti gli uni agli altri. Io conoscevo poco solo La Pasionaria per via dei giri della Rete e sono arrivata senza particolari aspettative e con tanta voglia di spogliarmi del mio ruolo sociale e culturale per mettermi in ascolto. E così mi sembra abbiano fatto tutte le altre persone che erano lì.

Lunedì dopo lunedì abbiamo cominciato a annusarci, a conoscerci.

Ma non attraverso il racconto di cosa facciamo, di come ci rappresentiamo, ma grazie alle letture, ai compiti che ci dava Paolo, a testi a volte finzionali a volte no che a turno – durante l’ultima parte del corso – leggevamo.

E ho scoperto l’intelligenza acuta di Barbara, Alessia che ha la voce più bella del mondo, Donata che è pacata e fa foto bellissime, Matteo che è di una spontaneità coinvolgente e disarmante, Valentina che è il sole, Elisa e il suo passo leggero e elegante, Jessica e la sua giovane simpatia, Paolo R. che fa ridere e ha viaggiato il mondo.

Ho scoperto persone “nude”, senza sapere che lavoro facevano, senza chiedere quale fosse il loro passato, senza parlare di impegni professionali, di passioni politiche o ruoli istituzionali, ma solo per quello che leggevano, che ogni tanto ci raccontavamo durante la pausa e per il mondo fatto di libri, narrative, passioni letterarie comuni, grandi e piccole aspettative di scrittura e qualche battuta di vicendevole simpatia.

Alcuni facevano tanti chilometri, tutti i lunedì, per venire al corso di Paolo Nori. Altri hanno la metà dei miei anni. Di alcuni abbiamo scoperto mondi in comune, anche solo per questioni anagrafiche o scuole frequentate. Tutto è successo lentamente e spontaneamente, ci siamo ritrovati a stimarci reciprocamente, ad avere voglia di incontrarci, a condividere quelle due ore fuori dal mondo consueto, dietro una tenda che separava la nostra stanzetta del corso dal resto della città e delle nostre singole vite.

Paolo Nori leggeva, noi prendevamo appunti e intanto tessevamo anche una cosa stra-ordinaria che ci spingeva ad aspettare con ansia il lunedì successivo.

Ieri sera abbiamo letto, ciascuno il suo pezzetto – composto per questo o quel compito della scuola – in un ballo ritmato che meglio non sarebbe potuto andare, come se ci fossimo coordinati, come se avessimo in qualche modo scelto, ognuno, la sua posizione e ce lo fossimo detti, senza dirci niente.

Abbiamo riso. Prima e dopo. In pizzeria e a bere del vino. Ci siamo scritti dediche sul quaderno in cui Paolo Nori ha raccolto i nostri compiti. Abbiamo cercato di comunicare a lui la nostra gratitudine, abbiamo pianificato gruppi di lettura in questo o quel posto, aperitivi letterari ma anche no.

E mentre tornavo a casa in autobus, dopo una giornata lunghissima fatta di lavoro, festa della scuola di Frollina e saggio finale, sentivo come un senso di leggerezza, sentivo come il cervello svuotato di impalcature.

Mi sono resa conto che ho fatto una cosa stra-ordinaria iscrivendomi a questa scuola. Non una roba da campioni, sia inteso, ma semplicemente qualcosa che esce dalla mia normalità, dalle giornate impostate, anche dalle amicizie consuete, se vogliamo.

Mi sono messa in gioco, ci siamo messi in gioco e il gioco è stato bello. Io non lo so se è vero per tutti, ma per me, di sicuro, vale la pena ogni tanto uscire dagli schemi, uscire dalla me che do in pasto alla vita ogni giorno, trovarmi a rimettere tutto in discussione, anche le letture, i pezzi di puzzle che hanno composto i miei anni.

Non so se avrei scritto queste cose 20 anni fa, ma ora tutte le volte che guadagno una relazione sana con gli altri, un ritmo di pensieri che si intona perfettamente anche quando diverge, ecco io mi sento particolarmente fortunata. Perché non è mica così scontato gestire momenti della vita fatti di spontaneità, quando nel tempo ci si forma ognuno le proprie sovrastrutture.

E per esempio, io ultimamente passo molto meno tempo in rete, non è per disinteresse, sia chiaro, ma mi sono resa conto che ultimamente c’ho molto bisogno di relazioni fisiche, dirette, di sentirmi un flusso che non generi aspettative che vadano solo in una certa direzione e la Rete, quando tu ci sei dentro fino al collo come la sottoscritta e ci metti lavoro e personale è uno di quegli spazi in cui il ruolo non è affatto secondario e la divergenza da quel ruolo, delle volte, suona come un tradimento sociale.

E invece io in questo periodo ho bisogno di divergenza, di spontaneità, di relazioni non coatte. Io in questo periodo ho bisogno di cose stra-ordinarie.

E quelle persone lì, quelle persone che hanno frequentato la scuola di scrittura con me, ecco loro sono persone stra-ordinarie e io lo so che sto per scrivere una cosa enorme, ma io a quelle persone lì mi sento che gli voglio molto bene, perché abbiamo fatto un pezzettino di strada insieme, la stessa.

In un mondo dove di solito si cammina su binari paralleli.

Questo post si chiama Paolo

La scuola elementare di Paolo Nori era la mia benzina esistenziale in un periodo – questo – davvero buio.

Ho conosciuto lo scrittore Paolo Nori un bel po’ di anni fa ormai. Leggevo ed ero incantata dallo scrittore Ugo Cornia e mi è venuto naturale leggere anche Nori.

Poi Nori lo vedevo anche tutti i giorni, al parco.

Frequenta con sua figlia lo stesso parco che frequentiamo noi. Io lo guardavo da lontano e mi metteva una gran soggezione, sarei voluta andare lì, chiedergli qualcosa, dirgli cambi la mia prospettiva sul mondo e invece me ne stavo impalata, facendo finta di non riconoscerlo.

Una volta che le altre mamme presenti stavano parlando del bimbi e io non capivo veramente quale fosse l’oggetto della conversazione e mi ero un po’ estraniata, lui si era avvicinato per chiederci se avevamo trovato un taccuino. Lì, al mio parco, Paolo Nori aveva perduto il suo taccuino.

Le altre mamme hanno continuato a parlare del bimbi e io mi sono quasi incazzata: “Ma come, non capite? Ma come non vi esaltate? Ma come non vi mettete, come me, a fare il segugio per ritrovare questo taccuino? Il taccuino di Paolo Nori???????”.

Nessuna sapeva chi fosse.

Io ero in preda a una possessione e mi ero trasformata nella più sfegatata delle groupie.

Ma il taccuino non l’ho trovato.

Questo senso di vergogna mi attraversava anche tutte le volte che incontravo sua figlia e la mamma di sua figlia, che abbiamo degli amici in comune e lei la conosco. Non riuscivo mai a dirle guarda Paolo mi ha cambiato la prospettiva sul mondo perché mi sentivo sempre come una che lecca il culo o si aspetta qualcosa, mentre da Paolo mi aspettavo solo che continuasse a scrivere e a leggere.

Così, quando mi sono iscritta al corso di scuola elementare, questo inverno, grazie alla mia amica La Pasionaria che ci viene pure lei e mi ha ricordato che era già iniziata, io non ci ho pensato due volte, ho detto questa cosa è troppo tempo che la rimando e la devo proprio fare.

E così sono iniziati lunedì sera tra il magico e anche un po’ il dionisiaco, che tutte le volte che uscivo da una lezione mi sentivo il cervello e il cuore scoppiare, desideravo solo ci fosse una biblioteca aperta per infilarmici dentro, non riuscivo più a leggere le migliaia di parole inutili che vengono stampate o digitate ogni giorno (le mie in primis) e avevo solo bisogno di LETTERATURA.

Ho letto più libri in queste settimane che in tutti i mesi precedenti. Grazie a Paolo ho conosciuto la poetessa Mariangela Gualtieri e quando a lezione lui ci ha letto il Sermone ai cuccioli della mia specie ho pianto dal profondo dell’anima, da quel centro che solo l’arte può attivare e – mi ricordo – ha pianto anche lui mentre leggeva. Ogni tanto capitava durante le lezioni. Paolo si commuoveva e non ne aveva nemmeno vergogna. Leggeva cose che probabilmente conosceva a memoria, eppure ogni volta si commuoveva. E noi rimanevamo lì, ad ascoltarlo.

E’ stato Paolo a salvarmi dalla bile che mi stava salendo per il risultato elettorale, quella sera era lunedì e lui ci parlò della scelta.

Leggemmo il discorso di Wallace ai laureati, quello che parla di scelta quotidiana.  L’ho dovuto rileggere centinaia di volte nella settimana successiva.

Un giorno ho pensato che questo post lo avesse scritto quasi per me, ho temuto fosse così, perché mi sembrava evidente che pendessi dalle sue labbra.

Paolo diceva che non serviva una storia per scrivere, bisognava solo cominciare a farlo e poi le storie sarebbero arrivate tutte. Tra le tante cose che ci raccontava, tra il personale e il letterario, ce ne fu una che mi intenerì tantissimo, il fatto che diceva che lui se pensava a Parma, la sua città natale, pensava che a Parma non sarebbe mai potuto capitare niente di brutto.

Che io se penso a Via Azzurra, dove sono nata, penso che in via Azzurra non possa mai capitare niente di brutto e da piccola – che si parlava molto di guerra atomica in quegli anni – io pensavo che in via Azzurra non poteva arrivare nessuna bomba, che c’erano i giardinetti e c’erano le strisce pedonali e c’era la mia terrazza azzurra come il nome della via.

E infatti Paolo questo incidente, che non è nemmeno il primo della sua vita, l0 ha avuto domenica tra Casalecchio e Bologna, a poche centinaia di metri da dove vive lui e altrettanti da dove vivo io.

E quando lunedì la libreria dove facciamo il corso ci ha scritto un’ora prima per dire che la scuola era interrotta fino a data da decidere perché Paolo aveva avuto un incidente, io ho sentito il cuore fare crac e non per la scuola, che ringrazio ogni istante di aver partecipato intanto a queste lezioni, ma per lui, perché uno come Paolo Nori – scrittore e anche persona – il mondo non può mica perderlo.

Uno come Paolo Nori deve continuare a fare l’intellettuale nel suo modo così particolare e unico.

L’intellettuale vero, quello trasversale a qualunque logica di potere, quello che  pensa con la sua testa almeno il 50% della giornata. Perché come ci ha detto una volta Paolo Nori, se almeno un pensiero al giorno nasce da noi, è davvero nostro e non riportato da qualcun altro, dobbiamo sentirci fortunati, che di solito, non ci pensiamo, ma la maggior parte delle cose che pensiamo sono riportate, sono di altri.

Comunque.

Da lunedì sto in ansia ma un po’ la libreria ci aveva rassicurato, dicendo che era fuori pericolo.

Poi ieri leggo le prime ANSA in cui trapela la notizia e la notizia è così fosca che non metto nemmeno il link. E allora supero quel pudore che ho nei suoi confronti e nei confronti della sua famiglia e scrivo alla mamma della Battaglia (sua figlia) che mi dice che invece sta meglio, che i medici li hanno rassicurati e che sarà una cosa lunga ma sembra procedere tutto come da copione positivo.

Riguardo a questo punto, esprimo il mio pensiero demandandolo proprio a Paolo Nori (che direbbe che così è comodo, che è un escamotage narrativo che mica mi sono inventata io eh?). E allora pesco Un inizio:

Ma quelli che scrivono sopra ai giornali, non gli capita mai che gli viene il dubbio che quello che scrivono son delle cagate?
Perché a leggerli sembra di no. Han sempre un tono che anche quando scrivono «Sembra che sia successa la tal cosa», tu diresti che sono sicuri al cento per cento che quella cosa lì che sembra che sia successa è successa davvero.
Come se non ci pensassero, che magari non è successa e stan facendo dei danni, come se non ci pensassero.
Be’, beati loro.
Io invece ho avuto sempre tanti di quei dubbi, nella mia vita.
Be’, beati loro.
Io invece a me, non lo so.
Mi verrebbe da ricominciare.

[La banda del formaggio, in preparazione]

Insomma, bisogna che ora gli mandiamo tante energie positive. Io inizio con una citazione da Il limbo delle fantasticazioni di Ermanno Cavazzoni, una cosa che mi ha fatto tanto pensare a Paolo e alla mia idea di arte:

Che cosa fa in pratica uno quando si dice che fa dell’arte? ad esempio quando fa la cosidetta letteratura? ad esempio il romanzo? Beh, se non è un pedissequo e sottomesso ripetitore di stereotipi, fa sempre delle cose un po’ sgangherate, nel senso che qui in questo campo si è sempre alle prime armi, difficile imparare il mestiere; anzi se uno l’impara, allora meglio che smetta. Perché questo è un campo dove si fanno parlare i fantasmi, e i fantasmi mediamente fanno quello che vogliono loro.