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E se poi non si ricorda di me? Cronache dal mondo degli inadeguati

A noi che ci sentiamo sempre  inadeguati conta molto poco quel che ci dicono amici e parenti, ricordandoci i nostri successi, l’età matura e tutto il resto, per cercare di convincerci che tutte quelle paranoie non hanno senso e sono anche un po’ inappropriate: in qualsiasi occasione pubblica o quando riconosciamo tra la folla qualcuno che non vediamo da tempo ma con cui abbiamo avuto una relazione personale o professionale, proveremo sempre la sindrome dell’imbucato al matrimonio. 

Hai presente quei matrimoni a cui sei andata per accompagnare il fidanzato del momento a sua volta invitato dallo sposo che era un suo amico ma che non vede da 10 anni e durante i quali ti senti un pesce fuor d’acqua più che se fossi al mercato? Hai presente l’attimo preciso in cui sei COSTRETTA dall’etichetta nuziale a fare la fila per baciare la sposa e quando tocca a te, dopo che ha sulle guance la saliva di milioni di amici più o meno intimi e non ne può più di assolvere al suo ruolo di donna da sbaciucchiare perché è la protagonista della giornata, le tocca prendersi anche i tuoi auguri e sulla faccia – LO SAI, NE SEI CERTA- le vedi lampeggiare un gigantesco: “Ma chi cazzo è questa, sarà mica una che si è imbucata per strafogarsi con i MIEI tortellini????”.  Continua a leggere

Il mio condominio è sempre di ispirazione

Vivo in un condominio dove le storie si sprecano: io cerco di raccoglierle perché la vita che scorre negli appartamenti è già una trama avvincente e perché ci sono dialoghi rubati che valgono più di qualsiasi cosa immaginata. Potrei davvero raccontare tante storie (ma qui non lo faccio che ci tengo alla vita).

Potrei raccontare dell’amore non corrisposto tra la Drag Queen teutonica che abitava accanto e il Sardo suo compare, alto un metro e una banana ma più rabbioso di un randagio affamato.

La loro relazione era così tempestosa che ormai era di casa la volante della polizia. Una volta le ho sentito pure uscire un “Posso offrirvi un caffé?” in direzione dei garanti dell’ordine, talmente surreale dopo le urla e gli scapaccioni che si erano tirati con il fidanzato, che avrei voluto essere una mosca per guardarla in faccia, mentre domandava. Me la sono immaginata, sotto alla parrucca bionda di capelli, increspare le labbra sempre truccate con cura in un mezzo sorriso e cercare di offrire una parvenza di normalità ai suoi – chiamiamoli – ospiti. Che poi non si capiva mai, francamente, chi tra i due della coppia menasse più forte e per la polizia doveva davvero essere un caos riportare pace in quella casa.

Potrei raccontare ancora di questo interno con affaccio su 4 lati  e del mio dirimpettaio il droghello: l’unico uomo che gira in casa in mutande e con le finestre aperte anche con la neve in strada. Il droghello (ribattezzato mattacchione per non turbare la bambina, quando era piccola) ha il vizio di chiacchierare a lungo con la televisione e di infilarsi in qualsiasi dibattito politico, quasi come fosse anche lui seduto sulla poltrona di Bruno Vespa.  Continua a leggere

Nel condominio della mia testa

Nel condominio della mia testa, abitano:

  • un orso azzurro che ama moltissimo girare solitario in mezzo alle montagne. Ogni tanto diventa blu, ma solo quando è molto costipato. Se diventa blu occorre che lasci a casa il suo smartphone e che si metta in viaggio per trovare qualche boschetto dove fermarsi un attimo. Alla sera guarda serie tv oppure legge. A seconda.
  • una tizia che si fa chiamare Mens Sana e si veste come Jane Fonda quando negli anni ’70 faceva aerobica. Ha degli scalda muscoli improbabili e una fascia per il sudore. Non usa la lacca, ma solo perché ha scoperto il buco dell’ozono, ha un armadio pieno di pesi per le braccia (ma quanto le piacciono le sue braccia toniche?) e va a correre quando tutti gli altri dormono. A volte sembra un po’ fissata.
  • una tizia davvero tossica, con la pelle unta e la voce roca. Fuma montagne di sigarette, se le rivolgi la parola si spaventa ma è la più pettegola di tutte: sa tutto degli altri condomini, ne parla male di continuo tentando di metterli l’uno contro l’altro per divertimento, ma se poi le fai capire che può stare tranquilla e che si organizza una bella festa a cui lei è invitata (per anni nessuno l’ha mai chiamata, né a compleanni, né a feste di laurea, né a serate alcoliche che forse avrebbe pure gradito), poi si mette serena. Si chiama Dexter e dovrebbe fare qualcosa per le occhiaie, ma non diciamoglielo se no ci rimane male.
  • una ragazzina di 15 anni con qualche problema con il cibo: fortemente in sovrappeso, è però simpaticissima. Ride sempre, organizza feste (e adesso invita anche Dexter), è di gran compagnia e racconta storie che fanno divertire tutti gli invitati. La invitano anche a feste che non organizza lei, giusto così, perché l’animatore è sempre importante. Mentre gli altri ragazzini limonano a bordo pista, confusi nell’epilessia delle luci psicadeliche, lei balla come non ci fosse domani. La chiamano la donna cannone per via della sua stazza, lei ride di gusto e nessuno sa che ogni tanto ci rimane un po’ male: in fondo è bella la sua vita e chissenefrega se le piacciono tanto i cannoli siciliani!
  • Un tale che dice di essere il vero Forrest Gump, mica quello del film. Noi del condominio ci crediamo: gli succedono cose incredibili e ha uno sguardo talmente ingenuo sul mondo che sarebbe difficile dargli un altro nome. L’altro giorno è andato in televisione, dice che lo hanno invitato a un programma insieme a un sacco di gente famosa ma se gli chiedi chi c’era con lui, scambia i nomi e sembra davvero appena atterrato dalla Luna. Vuole correre una mezza maratona, raccoglie fondi per le cose in cui crede, finisce sulle riviste ma non capisce bene come, scrive libri, fa incontri incredibili e si ripete ossessivamente che “stupido è chi lo stupido fa!”. Mi sta molto simpatico, non ha soldi per pagare l’affitto ma – non ditelo in giro – gli ho fatto un contratto d’uso gratuito per il gusto di averlo tra noi.

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La gestione dello stress, in vacanza

Io quando vado in vacanza mi succedono delle cose, a livello emotivo, che potrei quasi metterle in un grafico per quanto sono tutte riconducibili a fasi simili tra loro.

Inizia che  il primo giorno delle vacanze sono sempre incazzata nera. Mi sale un po’ di malinconia, mi viene da pensare che il mondo mi odi e non mi piace quasi niente di quello che ho intorno. Urlacchio con mia figlia per qualsiasi cosa e mi sveglio con un borbottio continuo da macchinetta del caffè mollata sul gas a oltranza.

Questa fase si conclude con Tino che anticipa le mie mosse avvertendo chi ci sta intorno, più o meno così:

Dopo che ho fatto il VUOTO attorno a me e ho liberato la spiaggia dai turisti comincio a rilassarmi. Il secondo giorno sono più buona, non mordo ma mi viene una gran voglia di pensare alle vacanze. Voi direte bene, si fa così, sei in vacanza, a cosa dovresti pensare? 

Il punto è che non mi metto a pensare alle vacanze PRESENTI ma a quelle FUTURE ammorbando tutti i presenti (quelli che sono sopravvissuti) con programmi e progetti quinquennali di viaggi stupendi e profondissimi, altissime mete e fughe dalla realtà degne di uno sceneggiatore di documentari per ricconi annoiati.  L’ammorbamento di solito avviene in presenza di caffè sorseggiati sulla spiaggia e interrotti da Ahh come si sta bene! continui  o aperitivi fantasiosi, che – per me – in vacanza, è sempre l’ora dell’aperitivo. Anche Frollina si è abituata e ora è lei stessa a chiedere quando si fa l’aperitivo, che le piacciono gli stuzzichini serviti insieme alla birra.

Il terzo giorno comincio a uscire dal tunnel della follia, non abdico agli aperitivi ma sto un po’ più zitta. Comincio a sfamarmi di libri (e non solo). Leggo ovunque. Leggo al cesso, leggo in riva, leggo in terrazza, leggo per terra. Leggo e leggo. Cerco una libreria per comprare libri come una bulimica con il frigo pieno che non vuole rimanere senza il suo dolcetto preferito.

Il terzo giorno credo sia il più felice di tutti (per gli altri, almeno). Mi estraneo tanto che potrebbe cacarmi un uccellino in testa e non me ne accorgerei, ma sto cheta.

Il quarto giorno entro nella fase progettuale sul futuro. Domande del tipo chi sono, dove sto andando, cosa farò nel 2014 sono un motivo ricorrente.

Gigi Marzullo sarebbe fiero di me.

Durante questa vacanza, per esempio, ho deciso che voglio diventare una travel blogger, farmi regalare vacanze a destra e manca e comprare un camper. Ho deciso anche che voglio organizzare un evento, che direzione dovrà prendere il mio lavoro e ho immaginato una favola da scrivere quest’estate. Ho anche deciso che metterò una scrivania in camera di Frollina e che sposto delle foto in salotto.

Il quinto giorno raggiungo la pace: sto bene, faccio quello che viene e mi rilasso.

Se consideriamo che la media delle mie vacanze (e non del mio #ufficioinmontagna) senza lavorare è solitamente di 8 giorni, dato la quantità di follia che devo spurgare, ho pensato che non va mica bene. Bisognerebbe che stessi via di più.

Ma scriverlo ora che c’è anche la crisi e andare in vacanza è un lusso per pochi, pare brutto. Pare brutto lamentarsi anche del fatto che su 8 giorni di vacanza, 5 sembrava autunno, che poi alla fine siamo stati bene lo stesso che eravamo ospiti di amici (e quindi abbiamo anche risparmiato un bel po’) e così non lo farò.

Pare brutto anche lamentarsi del fatto che adesso non ho più voglia di lavorare e così non lo farò.

E allora mi compiaccio del mio nuovo taglio alla maschietta che mi lavo i capelli 3 volte al giorno e sto di un fresco ma di un fresco che forse dovevo proprio pensarci prima.