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Quei momenti che non ce l’hai mai pari

Avete presente quei momenti in cui ti senti una specie di tumulto interiore (e non è cagarella) che sale fino al cervello e non ce l’hai pari con niente e nessuno? Dai, quei momenti in cui qualsiasi cosa ti infastidisce, qualsiasi cosa ti urta, qualsiasi cosa ti mette in discussione?

Ecco io la chiamo fase Malmost Blue.

Mi piglia un malmosto generale che non riesco a controllare. Inizia con una sveglia particolarmente difficile, magari dopo una notte particolarmente afosa, in concomitanza di una bambina particolarmente stracciaballe e mi metto, fin dal mattino, a borbottare, lamentare, ciondolare, vittimizzandomi ogni istante che passa un po’ di più.

Prosegue che apro la mail e tutto, ma proprio tutto, mi suona storto.

Il tono.

Sento un tono aggressivo o arrogante o colpevolista in qualsiasi messaggio.

Mi potrebbe scrivere anche il fornitore telefonico per allegarmi la fattura del mese appena passato e io leggerei la cosa come un affronto. Probabilmente mi sentirei aggredita da una virgola fuori posto, oppure (e qui si entra nello stadio finale di Malmost Blue) mi sentirei colpevole per qualcosa.

Potrebbero offrirmi l’occasione professionale dell’anno, quando sono in questi momenti qui e avrei qualcosa da ridire, penserei che c’è dietro una truffa, forse crederei che lo stanno facendo perché gli faccio PENA.

E allora giù a scandagliare TUTTA la mia vita, partendo dal lavoro per arrivare al personale, infilando il dito nell’ombelico della mia mente per estirpare tutta la lanugine dei pensieri.

Malmost Blue è un animale ingordo, che quando arriva non è che gli piace stare in un angolo a guardare, no, lui vuole fare la prima donna, vuole scene ad effetto.

Dopo avere deciso che non sono capace di cogliere le occasioni, che ecco sono e rimarrò sempre una fallita (e questa parola a Malmost piace un sacco), comincerei a domandarmi perché quella mia amica non ha risposto al mio sms, perché quell’altra persona è tanto che non scrive, perché non esco più con quel simpatico gruppo di amici, che mi sembrava di piacergli e invece forse, forse mi considerano solo una piattola.

PIATTOLA. Forse sono proprio una piattola. Logorroica, per giunta. Il mio spirito da portinaia, deve essere quello. Solo che alla gente le portinaie di quarant’anni, sovrappeso, anche se hanno una pettinatura a schiaffo, tutta nuova, una pettinatura a maschietto che è così GIOVANILE, fanno una gran pena. Le incontri nel palazzo e si, va bene parlare del tempo, ma poi mollami ti prego, tu e i tuoi problemi del cavolo!

Malmost Blue è ingordo, vuole il mio SANGUE quando arriva e non si accontenta della fase premestruale, che lì mi posso giocare la carta della sindrome, invece quando non è così mi fa sentire proprio una mezza matta depressa.

Sono qua che bofonchio. Non va bene niente, non va. Non riesco più a scrivere cose che mi piacciono, non riesco. Non riesco più a essere leggera e divertente. Ho perfino acceso l’aria condizionata, segnale che mi trovo all’ultimo stadio. Che dovrei uscire di casa, ma ci sono 300 gradi all’ombra e non è il caso. Che l’ufficio in casa oggi non è una bella cosa, dovrei avere colleghi (anche lo scoreggione di un’epoca fa, oggi, andrebbe bene per distrarmi), che dovrei smettere di pensare al coniglio Meloncello (chi è che vuole un coniglio?), che dovrei staccare la spina e smetterla, smetterla con tutta questa negatività concentrata come una salsa di pomodoro che è stata a lungo sul fuoco.

Che poi, poi sabato vado anche qualche giorno in vacanza. Parto. Cosa voglio di più? Che poi, che poi non c’è niente che vada così male, che poi, che poi da qualche parte arriverà un rigurgito del mio ottimismo idiota e tornerò a essere un’entusiasta compulsiva.

Domani. Ci penso domani.

Le start up e i quarantenni

Io questa cosa che adesso vanno di moda solo le start up dei giovani non la mando tanto giù, che c’è un gran parlare di start up, che c’è un gran finanziare di start up, ma tutti quelli che ci stanno dentro devono avere meno di un tot anni e quel tot anni di solito è meno di 35.

Che sono assolutamente d’accordo che bisogna fare largo ai giovani e che la generazione di chi ha 25 anni oggi, in Italia, è particolarmente scalognata in termini di lavoro, ma anche noi che ne abbiamo 40, di anni, non è che poi ce la siamo passata bene, sempre sulla punta del baratro, cresciuti in un mondo vecchio, mentre il nuovo già si faceva avanti e noi nemmeno ad accorgercene.

Siamo la generazione di quelli che sembrava dovessero rimanere giovani per sempre, che hanno fatto i fuori corso per secoli e poi ad un tratto si sono trovati in un mondo dove tutte quelle robe che ci raccontavano al Liceo prima, all’Università dopo, non si sono mica tanto avverate.

Ricordo una prof di matematica che sembrava Renato Zero, nella scuola che ho frequentato io tra gli anni 80 e 90, dire che noi altri che facevamo il Liceo – e che sicuramente avremmo frequentato l’Università – saremmo stati i dirigenti del domani.

Ricordo professori dell’Università, ma anche del Master, che ci riempivano la testa di baggianate. Uno in particolare, me lo ricordo perché ero a Milano e me lo ricordo perché ormai il mondo vecchio non esisteva più, ma c’era ancora la bolla del web, ci diceva che dopo un Master così, con una preparazione così, se entro 2 anni non avessimo guadagnato almeno 4mila euro, ecco avremmo potuto considerarci dei falliti. Era il 2002.

Noi ci siamo trovati schiacciati dai vecchi che non se ne volevano andare, eterni ragazzini nelle nostre abitudini post adolescenziali, a pensare che tanto di tempo ce n’era, che tanto noi eravamo dei privilegiati (colpa nostra), che il posto fisso prima di tutto (ma tanto ce n’era per tutti) e alla fine in pochi abbiamo davvero tirato fuori la voglia di osare. Altri hanno aspettato fin quando si poteva e poi ad un dato momento si sono accorti che ormai erano vecchi per fare uno stage, vecchi per il posto fisso, vecchi per fare dei figli.

Quelli che sono stati un po’ più lucidi, magari ci hanno anche provato a mettere su delle aziende, ma tutto un po’ dopo, tutto un po’ meno urgente, che quando sei una generazione che ha dietro i privilegi dei tuoi genitori e davanti il baratro, non è mica semplice accorgersi subito che il tempo stringe per tutti.

E allora ecco, ci sono un sacco di 35/40 enni che le start up le vorrebbero fare adesso, adesso che start up sembra sia diventata una moda, sembra sia un sinonimo di giovane, mentre non sta scritto da nessuna parte che uno debba pensare a nuove idee solo perché è giovane.

Poi oh, anche se siamo dei quarantenni, di energie ce ne sono ancora da spendere, di cose da dare ne abbiamo ancora. Noi quando avevamo 25 anni, la parola Start Up ci faceva venire in  mente solo il dado da brodo e adesso che di anni ne abbiamo 40, non vedo perché tagliarci fuori da finanziamenti e sgravi.

Che poi soprattutto le donne, a 40 anni magari cominciano ad avere figli più grandi e allora viene proprio la voglia di dire ecco il mondo del lavoro, quel mondo del posto fisso e del dirigente del domani mica mi rappresenta, però io delle idee ce le ho ancora, non sono ancora da mettere in naftalina. Ho anche abbastanza saggezza, che a 40 anni quasi tutti (io su di me ho spesso dei dubbi) siamo più saggi e magari è la volta buona che ci riesco davvero ad avviare una start up!.

Ecco io oggi ho letto questo articolo e poi mi è tornato in mente che era un pezzo che volevo scriverla questa cosa qui, perché insomma, anche noi che siamo nati in quegli anni là, in cui la rivoluzione era possibile, ma era possibile anche l’opulenza degli 80, i baby pensionati e le case al mare di famiglia e le vacanze di 3 mesi e le gite rimborsate dall’azienda e i liceali che diventano i dirigenti del domani e gli ingegneri che li assumono prima della Laurea, allora anche noi, che non siamo più giovani ma manco stanchi della vita, nel pieno dei nostri anni, potremmo averla quella voglia lì, di trasformare un’idea in una start up.