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Il peso della discriminazione. Discriminazione per il peso

Una terribile violenza ha toccato un ragazzino perché obeso e subito dopo una politica belga è stata criticata perché – obesa pure lei –  è Ministro della Salute. Qualcuno si è chiesto se è credibile un Ministro della Salute che ha seri problemi di salute. Battista, sul Corriere, scrive un commento dal titolo: “Quegli insulti consentiti soltanto contro gli obesi” e oggi il dibattito si è aperto anche nella mia timeline di Facebook: un dibattito che mi ha fatto fare alcune riflessioni su un tema, che sapete, mi è molto caro.

Sabrina Ancarola (che gestisce il blog Mini racconti cinici) scrive:

Sono anni che mi batto contro la discriminazione ponderale e insieme a questo ho visto esempi meravigliosi di persone che hanno perso peso scegliendo il movimento che più ritrovava congeniale al proprio essere e una sana alimentazione. Ne parlavo anche con Giorgia Vezzoli che il tuo esempio è incoraggiante per molti anche perché tu, al contrario di altri, hai parlato senza giudizio della tua esperienza. Lottare contro le discriminazioni dovrebbe includerle tutte e questa appunto come dicevi appare subdola. Troppe persone giudicano, indicano facili ricette da applicare a tutti ignorando completamente le svariate cause che possono portare all’obesità. Anche stamattina ho sentito per l’ennesima volta che i grassi lo sono perché privi di volontà, che è colpa loro. Fra l’altro lo sfottò verso i grassi è giustificato perché molti pensano che questo possa essere uno stimolo affinché si decidono a porre rimedio alla loro condizione

Discriminazione ponderale.

Io non mi sono mai sentita discriminata professionalmente o umanamente dalle persone che mi conoscono per via del mio peso, ma di certo la strada – quando ero obesa – era molto più in salita. Le situazioni (o atteggiamenti) che sentivo come discriminatori riguardavano l’approccio al (mio) problema. Alcuni medici che ho incontrato lungo il percorso (non tutti, non sempre) non andavano oltre a banalissime considerazioni: “Sei obesa, ti stai facendo del male, devi dimagrire!” che sortivano il doppio effetto di farmi sentire una cretina (o almeno di darmi l’impressione che pensassero che fossi scema, dato che il loro riscontro non poteva essere che oggettivo e certe cose le vedevo anche io) e di farmi mangiare di più per “sedare” quel senso di disfatta. So che erano pieni di buone intenzioni, che tentavano solo di essere coerenti con le norme-ministeriali-per-il-contrasto-all’obesità ma sembrava davvero che affrontassero il problema con un approccio superficiale e doveristico. Nessuno, fino a quando non ho scelto io, mi ha mai chiesto perché fossi ingrassata, perché avessi un certo rapporto con il cibo e con il mio corpo.

Un’altra categoria particolarmente odiosa per me, per la mia sensibilità di donna obesa, era quella delle commesse dei negozi di abbigliamento. Non tutte, per carità, ma capitava spesso – quando “osavo” entrare in un negozio per donne “normali” – che qualcuna mi guardasse sprezzante e si lasciasse andare a commenti sarcastici legati all’impossibilità di vestire taglie oltre la 46. Non faccio una colpa nemmeno a loro, per carità, non mi aspetto che una commessa debba avere per forza un’attitudine alla psicologia, non è mica quello il suo lavoro. Però credo che siamo un po’ tutti troppo ossessionati dall’aspetto fisico e la divergenza alla norma non è socialmente accettata, il che non è un problema solo per le persone obese (o per chi è molto magro), ma lo è per chiunque non assomigli a un manichino.

Ci sono stati poi commenti cattivi di sconosciuti (spesso uomini, spesso anziani o ragazzini) qualche presa in giro (anche amichevole) e una lista infinita di momenti in cui mi sono sentita molto a disagio a causa del mio corpo (ma anche questo, forse, riguardava più la percezione di me piuttosto che la percezione reale degli altri).

Quando ero ragazzina (e pesavo tale quale a oggi, quindi ero tutt’altro che sovrappeso), qualcuno mi diceva che avevo la faccia troppo tonda (e per questo era meglio non mi tagliassi i capelli corti, non mi facessi permanenti anni ’80 o cose del genere), qualcuno sottolineava come – avendo io un seno importante – dovevo assolutamente essere molto magra se no sarei sembrata, comunque, paffutella.

A parte queste cose, non ho memoria  di discriminazione “diretta”. Di certo, mi hanno sempre infastidita le dichiarazioni di quanti e quante stigmatizzano e stigmatizzavano il grasso, come se una persona grassa certe cose non le può fare perché se no sarebbe incoerente (vedi Ministra). Mi ha sempre infastidito molto anche il fatto che se si parla di obesità, si finisca sempre per sottolineare quanto l’obesità sia “un costo sociale”. Non perché non pensi che sia così. Lo sappiamo tutti che i malati ci costano e una persona che si fa del male da sola (mi riferisco a chi è obeso non per cause metaboliche) diventa un peso per la società in qualche modo, ma questo insistere sul punto non è – secondo me – di nessun aiuto. Gli obesi diventeranno solo più obesi.

Perché l’obesità riguarda prima di tutto un approccio al mondo: in qualche modo le persone che si condannano a questo stato lo fanno per un profondo disagio (che non ha nulla a che fare con stupidità, tutt’altro!) e questo genere di argomentazioni le porterà solo a sentirsi più isolate, sole, a cercare ancora di “recuperare” attraverso il cibo.

Bisogna smetterla, secondo me, di mischiare troppi piani differenti. Quando si parla di obesità si fa un gran casino e si confonde salute con aspetto fisico e quando si “sprona” una persona obesa lo si fa, per lo più, senza alcun rispetto della sacralità del corpo dell’altro (e qui cito Silvia Sacchetti che una volta ha scritto che “il corpo è sacro”).

Dunque: una persona obesa (se vuole) dovrebbe dimagrire perché consapevole dell’importanza della sua salute. Ma per esserne consapevole bisogna iniziare a volersi bene e cercare di capire – profondamente – perché si è ingrassati, prima ancora di cercare di cambiare stile di vita.

L’aspetto fisico dovrebbe proprio passare in secondo piano. Dovrebbe passare in secondo piano per chi vuole uscire dal disagio e dovrebbe passare in secondo piano a livello sociale e culturale (questa la vedo dura, ma potremmo provarci tutti insieme no?).

Il rispetto del corpo (nostro) e degli altri, dovrebbe invece essere prioritario per tutti. Che tu sia magro, che tu sia grasso, che tu sia basso, che tu sia alto, c’è sempre qualcuno pronto a giudicare il tuo corpo. Siamo abituati a parlare del corpo degli altri, a leggere del corpo degli altri (le vip che mettono su cellulite, le vip che non sono al top della forma, le amiche che prendono qualche chilo, i conoscenti su facebook che postano una foto…) e a farlo con una disinvoltura che non ci permette mai di riflettere sul peso che possono avere  le nostre affermazioni.

E qui cito un post che mi ha colpito molto, di Lola  e che consiglio di leggere tutto:

Una ragazzina che viene in piscina con me quest’anno non ha ricominciato il corso.

Suo padre mi ha detto che “si è inquartata” (ingrassata, alla romana) e che anche se il medico ha consigliato di fare movimento, lei non è voluta tornare in piscina. “E poi peccato, perché era pure forte”, mi ha detto.

Ho pensato a quella parola: “inquartata”.

So per certo che lui non voleva usarla in senso dispregiativo e da come mi parlava mi è parso chiaro che fosse sinceramente dispiaciuto per la scelta della figlia. Il problema mio è che a certe cose, a certe parole, ci ripenso.

Lola sottolinea come anche quando si dice che “l’aspetto fisico non è importante” spesso si tratti di una frase vuota e concordo. Aspetto fisico, rispetto: quanto poco leghiamo questi due termini e quanto troppo ci attacchiamo alle divergenze per auto escluderci dal mondo e per escludere chi è diverso.

Come dice l’amica Giorgia Vezzoli serve un’educazione alla diversità, a tutte le diversità. Ci serve per accettare noi stessi e spronarci (davvero) a migliorare e stare bene, serve ai nostri bambini perché vedano un mondo a colori, senza accontentarsi dei troppi bianco e nero.

Serve un contesto in cui sei come sei e il cambiamento torna ad essere nelle tue mani, non in quelle di vuoti canoni estetici e nemmeno in quelle di una sanità che ripete a pappardella.

Serve un contesto in cui le varie Panzallaria possano arrivarci prima e meglio alla consapevolezza che il senso di inadeguatezza non è qualcosa che dipende dall’esterno ma solo da un modo di interpretare se stessi e che non esistono corpi (in)adeguati ma solo corpi “percepiti” e che è tutto nelle nostre mani.