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Un nuovo capitolo: sono normopeso

Oggi si conclude la mia dieta dimagrante.

Stamattina sono andata per l’ultima volta dalla dietologa che mi ha consegnato la dieta di mantenimento. Ci rivedremo a settembre/ottobre per un controllo, ma di fatto NON sono più una persona a dieta.

Sono passata da 46 kg di massa grassa dell’11 settembre 2013 a 18 kg di massa grassa, oggi 23 maggio 2014.

Il mio indice di massa corporea è 25,4 (dovrei riuscire in breve a scendere a 25), il mio girovita è 85 cm e ho perso 32 chili dall’inizio di questa avventura.

In tutte le tabelle sono – di fatto – una persona normopeso. Cercherò di dimagrire altri 2/3 chili, ma la dottoressa mi ha detto che secondo lei ormai il mio metabolismo ha invertito la rotta e ce la farò (ne ho persi 3 nell’ultimo mese).

“Sei il caso migliore che mi sia capitato in tutta la mia carriera!” mi ha detto stamattina.

Si è profusa in complimenti: ha detto che si vede che ho cambiato stile di vita, che le sembro una persona nuova rispetto al giorno in cui ci siamo incontrate. Quel primo giorno carico di speranze (mie) e di sua diffidenza (abituata a gente obesa che molla quasi subito, davanti al lungo percorso) ma anche tanta fiducia.

In questi 8 mesi e 12 giorni ho imparato tantissime cose. Tante ne sono successe. Ho scavato nel profondo di me, ho riconosciuto Dexter, è nata Mens Sana, ho imparato a convivere con un rapporto disfunzionale con il cibo. Ho imparato a volermi bene, ho provato a volermi bene, a prendermi cura del mio corpo (oltre che della mia enorme e immodesta intelligenza ;-).

Quando pesavo 102 chili ho cominciato a camminare. Ho trascorso un inverno su e giù per il portico di San Luca, giorno di Natale compreso.

Poi un giorno ho comprato un paio di scarpe adatte alla corsa e ho cominciato a correre. Ora corro 7 chilometri, un giorno si e l’altro no. Ho partecipato alla Strabologna e mi sono divertita. Voglio arrivare a correre 10 chilometri in un’ora e so che ce la farò, con calma e umiltà.

Salutare Laura, così si chiama la mia dietologa, è stato più difficile di quanto credessi. Mi sono commossa. Ho dovuto abbracciarla e ho cominciato a piangere.

Lacrime mischiate di gioia, incredulità, riconoscenza.

Anche la segretaria dello studio medico, io non so, ma in questi mesi la sua faccia che mi accoglieva mi faceva bene e così mi è venuto da farle una carezza sulla mano. Volevo dire un po’ grazie anche a lei, ai suoi sorrisi. Mi ha detto “Non sono solita dirlo, ma lei è veramente in forma e solare oggi. Complimenti!”.

Insomma, sono uscita in questa mattina brumosa con uno schema alimentare da 1900 kcal giornaliere (riuscirò a mangiare così tanto??? ;-), la mia cartelletta medica di questi mesi gonfia di fogli e grafici e un sorriso stampato sulla faccia, con una lacrima sottile incastrata sotto l’occhio.

Non finisce. Qui inizia la parte “Panzallaria e il suo nuovo stile di vita”. Ma in un certo senso è come se oggi iniziasse un nuovo capitolo. E allora ci sono dei pubblici ringraziamenti che mi sento di fare.

A Laura Paesano, la mia dietologa. Per la sua professionalità, gentilezza, disponibilità a tenere il passo con le mie paturnie. Lei è – doverosamente – la prima a cui va la mia riconoscenza.

A Tino e Frollina (che nella vita reale si chiamano Stefano e Silvia) che mi hanno sostenuta e continuano a fare. Presa in giro, sdrammatizzata. Amata. Che sono la cosa migliore della mia vita.

A mia madre, che c’è sempre.

A Silvia T. – la mia migliore amica – persona di rara sensibilità che mi ha sopportata e supportata in tutti questi anni ed è riuscita a dirmi che dovevo smetterla di volermi male ma lo ha fatto nel modo più giusto per me.

Alla compagnia delle “pezze al culo” per il bene che fanno, ogni giorno, alla mia vita.

A Barbara SDG che mi ha ascoltata e a volte anche “psicanalizzata”.

A Silvia Tropea che ha condiviso un pezzetto della mia esperienza. Alla Dani che l’ha anticipata e mi ha accarezzato il cuore.

A voi che leggete questo blog, che non potete capire QUANTO siete stati importanti, qui, su facebook, su twitter. I vostri commenti, le vostre mail, il vostro incoraggiamento e sostegno sono stati una spinta importantissima, per una narcisa come me, con un gran bisogno di conferme sociali 😉

A Alanis Morisette e in particolare a questa canzone che ho iniziato ad ascoltare la prima volta che – pesantissima – ho cominciato a salire su per il portico di San Luca e che oggi, invariabilmente, apre qualsiasi sessione di corsa. Era capitata per caso in cuffia, ma ho sentito subito che mi dava tanta forza (solo dopo ho visto il video). Perché si impara vivendo, piangendo, provando e prendendosi anche un po’ per il culo. E tutti possiamo imparare.

A Paolo Gori, il mio allenatore, scomparso troppo giovane.

Perché lui – più di tutti – mi ha insegnato la costanza, la pervicacia e ha creduto nella mia forza di volontà. A lui più di tutti, devo la parte più bella di me, quel che sono e quello che imparo a fare, anche se non lo so fare.

A Dexter: la me più profonda.

Foto di copertina: Alanis Morissette You Learn official Video

 

Identità grassa

Sono dei giorni che io non so, mi viene da andare a leggere diari di persone grasse che fanno la dieta e persone grasse che non fanno la dieta. Sono giorni che non so, mi viene da andare a cercare foto di donne bellissime e grasse. Le guardo e poi io non lo so, mi sento confusa. Vorrei abbracciarle, vorrei dire “Siete bellissime, siete donne bellissime, alla faccia di qualsiasi dieta, di qualsiasi canone, di qualsiasi fottuto parametro!”.

Ho letto montagne di blog e su alcuni post mi sono anche messa a piangere, lo giuro. Si, sono in sindrome premestruale. Ma questo forse non c’entra.

E’ come se nelle parole contorte di donne (perché i blog di questo tipo li tengono le donne, per lo più) che lottano con il cibo, io, in ognuna di loro, trovassi una parte di me, una parte che è lì, una parte sotto la mia pelle.

E’ come se  – dopo 9 mesi di dieta – ora io, che mi sono abituata a non essere più considerata obesa, che lo vedo anche che sono una donna abbastanza in forma, che mi sento bene in un corpo che è finalmente il corpo che io sento appartenermi, mi sentissi un po’ confusa nella mia identità.

Non so perché, ma alle persone nuove che conosco, quando voglio dire non sarebbe necessario, io sento il BISOGNO, sento l’ESIGENZA di dire che ero GRASSA. Come se temessi di dimenticarmi di quella parte di me. Come se mentissi a qualcuno, se non glielo dicessi.

Come se temessi che quella parte di me, se io mi dimentico di lei, poi un giorno me la ritrovo tutta addosso. Perché se sei stato grasso e se – come me – sei una persona che con il cibo ha un rapporto ossessivo, ecco, la paura che tutto passi in un soffio, che tu possa tornare punto a capo, è sempre lì in agguato.

Poi forse c’è dell’altro, io non lo so. Prima occupavo molto più spazio, ma forse proprio perché ne occupavo tanto, le persone mi ignoravano di più. Adesso invece sono “normale” (preciso: sono miei pensieri, non sto dicendo che quello che sto scrivendo sia OGGETTIVAMENTE vero) e a me questa cosa, che le persone si aspettino da me cose “normali”, un po’ mi spaventa anche.

Mi sono resa invisibile dietro ai miei chili di troppo, oggi che non ci sono più, delle volte mi sento come se fossi tutta pelle. Pelle che può essere scalfita.

E se per la maggior parte del tempo, ecco, io mi sento orgogliosa e felice di questa situazione, mi piace vestirmi con il mio nuovo guardaroba, mettermi lo smalto, andare dal parrucchiere e quando corro mi sembra di volare, ci sono dei momenti, come questi giorni, che a me questa situazione spaventa tantissimo.

Devo farci i conti.

Ho perso 32 chili che sono 10 chili in più di quello che pesa mia figlia che ha 7 anni e mezzo. Peso 7o chili. Voglio arrivare a 65. Voglio avere un FOTTUTO 6 davanti.

E’ il mio obiettivo.

Ma poi? Quando arrivo a quell’obiettivo? Cosa sarà di me, dopo???

Domande sciocche di una che è un po’ grande e un po’ rimarrà sempre una ragazzina.

Poi oh, ribadisco, sono in sindrome premestruale e io quando sono in sindrome, lo sapete, divento più psicopatica del solito…

Dialoghi immaginari tra Mens Sana e Anima Nera

Mens Sana, il mio lato naturale, salutista, magro ed equilibrato mi fa svegliare alla mattina, presto.

Mi faccio un centrifugato di mela, carota, zenzero e finocchio.

Mangio i cereali con lo yogurt magro e dopo avere accompagnato a scuola Frollina, vado a correre.

Un giorno si e l’altro no.

Sono arrivata a correre tra i 5 e i 6 km.

Divento tutta paonazza in faccia, quando rientro sembro una che è stata rincorsa da un’orda di zombie affamati, rantolo ma sono felice. Per un’asmatica, ex cicciona, non male.

Mi faccio la doccia. Prendo la bici. Vado a lavorare nel mio splendido ufficio in coworking. In centro città.

Non faccio in tempo ad arrivare in ufficio che Dexter, la mia anima nera, si fa sentire.

Potresti prenderti una bella pastarella al bar adesso. Te la meriti. Poi, dimmi un po’, ma chi cazzo te lo fa fare di correre al mattino? Stai veramente apparecchiata male, lo sai?. Non mi diventerai mica una di quelle ossessionate dalla pancia piatta, che postano su facebook le loro prestazioni corsistiche e si sentono delle gran galle eh???

Men Sana – una vocina educata e raffinata – cerca di sedare Dexter

Carissima, se tu sei un catorcio e vuoi portarla alla perdizione, non è colpa mia. Non è più tempo di pastarelle questo. Ma perché non riesci a goderti quell’ottimo stato di benessere che si prova dopo avere fatto attività fisica?

Dexter non si fa tanto menare per il naso

Sei un’illusa, Mens Sana, se pensi che questa qua non tornerà presto una culona spiaggiata sul divano! Ma te la vedi tu, tutta la vita, andare a fare corse mattutine a orari improbabili??? Se avesse voluto svegliarsi presto avrebbe fatto la spazzina, oppure il medico in prima linea. Invece è solo una socialcoza sfigata. Dai su, non credere che la porterai a essere diversa da quella che è la sua ESSENZA!

Mens Sana, come è tipico di tutti i salutisti, è una molto ZEN

E invece qui ti sbagli Dexter, lei è un’altra persona e TE NE DEVI FARE UNA RAGIONE! Piantala di sibilare le tue cattiverie. Abbiamo provato a farti uscire da questo corpo, lei non vuole, dice che è meglio tenerti lì, che è meglio essere consapevoli che ci sei anche tu e io mi sono dovuta adeguare, ma se non vuoi che ti prenda a lattugate in faccia, almeno smettila di essere violenta, volgare e così irruenta!

Mens Sana non urla, ma è molto incisiva. Dexter si fa piccina, piccina e nel frattempo io sono salita in ufficio. Non ho preso la pastarella, non ho trangugiato i carboidrati che lei sostiene siano un mio sacrosanto diritto. Però Dexter vuole dire l’ultima parola.

Almeno falle fumare una sigaretta. Non è che può fare la personcina perfetta, tutta centrifughe e seitan eh? Dai su, cosa vuoi che sia una sigaretta…

E io esco in balcone.

E mi accendo una paglia.

Dimagrire molto: suggerimenti alimentari e mentali

Intraprendere una dieta quando i chili da perdere sono più di 10, è una scelta impegnativa e che deve essere fatta a 360 gradi.

Io non sono un medico ma oggi voglio raccontarvi come ho proceduto, cosa ho mangiato (non entrerò nello specifico) e come ho gestito un processo che sapevo, sarebbe stato lungo.

  1. Mi sono presa un po’ di tempo per valutare seriamente quello che volevo e mi sono data degli obiettivi interni ma anche molto concreti (da lì a un anno desideravo essere in grado di andare agilmente in giro in bici e a piedi e sfruttare al massimo le potenzialità delle nostre vacanze in camper). Scegliere un obiettivo concreto e anche molto futile, unendolo a tutto quello che stavo elaborando di molto più profondo, complicato e difficile, è stato un modo per rendere la mia decisione fortemente “operativa” e procedere con leggerezza, passo dopo passo. Quando si è obesi è necessario avere questo duplice approccio, a mio avviso, per riuscire ad affrontare al meglio il percorso che ci aspetta.
  2. Ho scelto accuratamente la nutrizionista a cui rivolgermi: mi fidavo perché in passato ero già stata da lei e ha un approccio olistico e non convenzionale che mi piaceva. Ho comunque deciso di “testarla”, mandandole una mail in cui già raccontavo il mio rapporto con il cibo e andando al primo appuntamento da “tabula rasa”. Mi sono trovata subito a mio agio e così ho deciso di proseguire con lei. Si chiama Laura Paesano e riceve a Bologna, in zona Massarenti.
  3. Durante il primo mese di dieta NON ho fatto sgarri: ero molto convinta e sapevo che se avessi sgarrato anche solo una volta, mi sarei sentita in colpa e avrei rischiato di mollare. Ho preferito non trovarmi in quella situazione. Durante il primo mese NON ho iniziato alcuno sport. Ero molto pesante e non avrebbe avuto senso mettere troppa carne al fuoco (nel vero senso della parola ;-).
  4. Dopo avere perso i primi 5/6 chili ho cominciato a camminare molto. Mi ero data dei micro obiettivi e sapevo che iniziare con uno sport intenso sarebbe stato controproducente, per me che per così tanti anni non mi ero mossa se non con le mandibole.
  5. Non mi sono data obiettivi di peso irraggiungibili. Il primo obiettivo erano 10 chili, che poi sono diventati 20 e successivamente 30. Passo dopo passo. Non ho mai guardato tutta la scala, ma solo il gradino successivo. A testa bassa e concentrata.
  6. Ho scelto di condividere il mio cambiamento perché penso che una cosa, se la racconti, acquista una forma meno spaventosa, perché credo che le mie sensazioni siano comuni a molte persone (e non solo obese) che hanno deciso di mettere in atto un qualsiasi cambiamento di percezione della realtà o di stile di vita.
  7. Sono scesa a patti con la mia anima nera: ognuno di noi ha un lato oscuro, una vocina che fa da cornice alle nostre azioni, ci spinge a essere pigri o semplicemente a compatirci. Darle un nome (la mia si chiama Dexter) è stato FONDAMENTALE per svuotarla di quel peso atavico che ha sempre avuto. Ora, quando mi tenta e mi invoglia a mangiare qualcosa che so mi farà male, io e Dexter ci consultiamo, a volte non le do quello che vuole, a volte si. Questo vuole dire “scendere a patti” 😉
  8. Dopo 6 mesi di allenamento intenso con la camminata e dopo 26 chili, ho cominciato a correre. Piano, piano, in maniera del tutto nuova per me. Corro 3 volte alla settimana, sono partita con un massimo di 10 minuti continuativi per salire con il tempo. NON vado a correre tutti i giorni perché la mia dietologa mi ha detto chiaramente che non servirebbe a nulla, il rischio è solo quello di infiammare l’edema e io non sono Mennea ma una persona che vuole tenersi in forma.  La dietologa mi ha dato una dieta specifica per quando vado a correre, in modo da farlo in maniera totalmente equilibrata.
  9. Fin dal primo giorno della dieta ho tenuto un diario personale e privato, in cui appunto le sensazioni che provo quando penso al cibo, quando ho voglia di mangiare, quando sono triste e quando sono felice. Mi ha aiutata tanto.

Ma cosa mangio?

Mangio di tutto tranne i latticini (abbiamo reintrodotto la ricotta da poco). I carboidrati sono stati un po’ sacrificati e la pasta (rigorosamente di kamut) la mangio solo una volta alla settimana. Ma ci sono i cereali, i legumi, il riso…

Scelgo verdure di stagione, condisco moderatamente e la frutta la mangio solo fuori pasto (privilegiando quella meno zuccherina). Non zucchero più nulla e ho imparato a godermi i sapori delle cose. Dove non serve, non metto sale.

Forse vi aspettavate dati specifici sul mio schema alimentare, ma non sarebbe per nulla serio da parte mia, non solo perché non sono una dietista, ma anche perché la mia dieta è tarata sulle mie esigenze, sulle mie intolleranze e sul mio corpo.

Se si decide di affidarsi a uno specialista (e quando si deve dimagrire molto è – a mio avviso – l’unica strada sensata), sarà lui a dirci cosa ci fa bene e male.

Oggi NON seguo rigorosamente lo schema alimentare: dopo un po’ che fai una dieta impari cosa puoi associare, le quantità a spanne che puoi mangiare e cosa ti fa male. Imparare ad ascoltare il proprio corpo è davvero una delle cose belle che succedono quando ci si comincia a prendere cura di sé.

Durante il giorno bevo un litro e mezzo di acqua Sant’Anna con dentro un limone spremuto. Al mattino, quando mi alzo, la prima cosa che faccio è bere un bicchiere d’acqua con dentro mezzo limone. Il limone disinfetta e tiene in equilibrio intestino e fegato. E’ un ottimo modo per stare bene, a prescindere dal nostro peso.

Quanto peso, come sono dimagrita

Faccio una premessa: fino a poco tempo fa NESSUNO (e dico nessuno, a parte la dietologa) sapeva quanto pesassi. E’ sempre stato un mio tabu, fin da quando ero ragazzina. Credo che invertire anche questo mio meccanismo mentale, che fa parte di un modo disfunzionale di relazionarsi con il cibo e ciò che rappresenta per il mio corpo, sia parte di questa mia muta, quindi sto per scrivere pubblicamente quanto pesavo, quanto peso, eccetera.

L’11 settembre 2013 sono andata alla prima visita dalla dietologa.

Pesavo 102 chili esatti e il mio giro vita era 110 cm.

Oggi peso 73 chili. Ho un giro vita di 88 cm, la mia massa magra è pari al 42% e grazie a una dieta sana e equilibrata, a qualche sgarro e un po’ di movimento fisico, non ho perso massa magra, mi sono aumentati i muscoli e il mio corpo – pur avendo perso tanti chili a 40 anni – è  tonico.

Un giorno, un medico da cui andai per farmi fare una visita dermatologica, dopo che avevo acquistato un coupon online, mi propose l’intervento per mettere un anello nello stomaco perché sosteneva che ormai ero davvero troppo grassa per riuscire a sostenere una dieta e che la mia unica speranza di dimagrire era questo anello.

A lui e a tutte le persone che pensano che a volte il cambiamento è impossibile, ci tengo a dire con il cuore che agire il cambiamento comporta un grandissimo sforzo ma che è il regalo più bello che possiamo fare a noi stessi. Mettere un anello mi avrebbe costretta a uno stile di vita diverso, ma lo avrebbe fatto artificialmente: sono convinta che per persone come me – che non hanno problemi fisici e/o metabolici che gli impediscano di dimagrire, il modo migliore di farlo sia quello che passa attraverso sacrifici, cambiamento, diversa percezione di sé.

Oggi spero di non tornare più quella di prima, di sapermi fermare in tempo, di continuare con il mio circolo virtuoso, fatto di movimento e cibi sani. Oggi spero di dimagrire altri 4-5 chili ma non mi sono data un tempo in cui farlo: per molte persone non ho ancora raggiunto un peso che mi possa definire “magra” e stando alle tabelle, per la mia altezza, dovrei pesare 10 chili di meno. Io però mi piaccio e nei miei 73 chili mi sento una farfallina.

Avevo un piombo attaccato ai piedi che non mi consentiva di volare dove avrei voluto, oggi quel piombo non c’è più, non ho ancora usato per bene le ali, ma sto cercando di imparare.

Perché anche a quarant’anni possiamo imparare ancora delle cose. Perché quando si ha dei figli, io credo, è fondamentale insegnare loro che si può sempre cambiare, che ci si può sempre mettere in discussione e che anche quando si fanno degli errori (di qualsiasi tipo), bisogna essere abbastanza umili da accettarli, farli propri, correggerli.

 

Prima e dopo: 28 chili e molti passi

Dire che sto bene è un eufemismo. Malgrado abbia lavorato come un mulo per settimane intere, senza sosta, mi sento piena di energia.

E sono convinta che sia perché ho cambiato stile di vita. Perché peso 28 chili di meno, perché mangio sano e perché corro. Avete capito bene, ho cominciato anche a correre. Non sono Mennea, sia ben inteso, la strada da fare è ancora tantissima, ma ho scoperto che mi piace.

Ho sempre odiato correre. Quando il mio allenatore, da ragazzina, ci faceva fare preparazione atletica e si iniziava sempre correndo, io pur di non farlo, mi inventato sistemi creativi per non farmi beccare: camminavo per la maggior parte del tempo, chiacchierando con le mie amiche (alcune delle quali riuscivo a convincere a non correre grazie alla mia abile arte retorica) e poi, poco prima di arrivare alla meta, visto che sapevo che lui era lì ad aspettarmi, mi schiaffeggiavo le guance da sola per simulare un affaticamento da corsa.

Lui non ci cascava quasi mai, tanto che ci faceva le “sorpresone” in moto, lungo il percorso, ma io ogni volta ci provavo. Odiavo correre.

Si suda. Ballano le tette. Non c’è l’acqua a sostenere la tua fatica. La faccia si trasforma come se fossi San Sebastiano mentre viene trafitto.

No, non fa per me, mi sono sempre detta.

Poi non so, un giorno che scendevo dal mio doppio giro veloce a San Luca, ho provato a muovere qualche passo di corsa ed ecco, è stata un’epifania. Non mi sentivo più una palla che rotola. Tutto ballava come se io fossi un pudding, ma mi sentivo leggera, con le mie scarpe da running nuove, nuove e ho capito che anche io – ex donna obesa – ora POTEVO farcela.

E così mi sono messa a correre. Ho un sistema di allenamento tutto mio, mutuato dagli anni di nuoto. Ho iniziato correndo per 10 minuti scarsi e poi camminando veloce per 3 minuti e ora sto aumentando, di volta in volta, il minutaggio consecutivo. Non uso APP. Imposto il cronometro e mi baso sul percorso e sulla durata delle canzoni che ascolto nel frattempo.

Dopo aver superato il limite, nel riscaldamento, cerco di riprodurre analoghi tempi di durata, fino al raggiungimento dei 40/50 minuti totali.

Non faccio la gara con nessuno. Vado piano e cerco di perfezionare lo stile (che diciamolo, non è il massimo). Poi torno a casa e faccio 30 addominali.

Il mio corpo, da quando corro, sta prendendo forma. E il mio spirito lo supporta, orgoglioso. Sto dando a bere a Dexter che la corsa è la sua nuova droga, che dovrà farsene una ragione, non lo porterò più a mangiare fino allo sfinimento.

Però ho ripreso a mangiare un po’ di più dei primi tempi della dieta. Voglio dimagrire altri 5 chili, ma con calma e soprattutto grazie al movimento fisico.

Voglio anche riabituare il metabolismo a certe cose che gli sono state proibite e – aiutata dalla mia dietologa – devo trovare lo stile di vita giusto per il mantenimento.

Che è la sfida più grande per me e Dexter.

Perché se dimagrire tanto significa fare una prova di forza di volontà virtuosa (che io e tutti coloro che ci sono passati, abbiamo fatto), mantenere il peso raggiunto significa accettare in toto il cambiamento e metterlo alla prova OGNI GIORNO della propria vita.

Le persone che non vedo da un po’ non mi riconoscono. Perfino i vicini che conosco meno, persone dei palazzi accanto al mio, mi fermano per strada per chiedermi come ho fatto, per farmi i complimenti.

Mi sono abituata a ripresentarmi agli altri quando vedo spuntare sulla loro faccia un enorme punto interrogativo (“Ma chissà chi è questa che mi sta salutando”) e mi sto abituando al mio nuovo corpo. Sono tornata a fare un po’ di shopping primaverile (che qui c’è in gioco tutto il guardaroba) e ho cercato – istintivamente – la taglia più grande presente nel negozio. Mi sono davvero commossa e esaltata quando – nel camerino – mi sono resa conto che stavo provando vestiti troppo larghi per me.

Da anni ero abituata a essere quella che non può trovare i vestiti “nei negozi delle persone normali”, quella che non può ambire nemmeno ad entrarci, senza essere guardata con sospetto e (credevo io, disgusto).

Questa era una condizione molto comoda, che mi permetteva di compiangermi, trattarmi ancora peggio e non avere la minima cura di come andavo in giro.

Era solo la superficie di una condizione profonda che mi coinvolgeva a 360 gradi.

Oggi sono una persona in salute, che potrebbe dimagrire ancora un po’, è vero, ma che è già all’interno di una soglia di peso/massa magra nella norma per non rischiare la salute.

E sono una persona diversa.

Perché non è vero che “Sei solo più magra, ma sei sempre tu!”, scusate ma lo voglio sfatare questo mito. Sono più magra perché HO DECISO di cambiare, non solo fisicamente ma anche mentalmente e di confrontarmi con cose ENORMI che mi portavo dentro e che stavano rintanate nella mia pelle, gonfiandola a dismisura.

Quindi no, io non sono la stessa di 7 mesi fa.

E chi mi vuole bene, ma anche voi che mi seguite qui, dovrete farvene una ragione 😉

Per concludere, voglio fare una roba alla Vanna Marchi. Ecco due foto. Ecco due persone. Ecco me e Dexter in due momenti della nostra vita.

Io sono quel che sono e anche te, te sei quel che sei

Dice che è normale, che non è mica che si può dimagrire sempre con questo ritmo. Che questi sono i chili più vecchi. Dice di mettermi tranquilla, di non salire ogni due minuti sulla bilancia, controllando compulsivamente che funzioni o non funzioni.

Dice la dietologa che questi sono chili che ci metteranno un po’ di più. Un chilo deve essere di piadine. Ammazza quante piadine mi mangiavo quando ero in gravidanza. Sono più o meno al peso dell’inizio della mia gravidanza, per ciò, per forza, devono essere loro.

Andavo a nuotare tutte le mattine ma poi mi infilavo in qualche piadineria e mangiavo. Mangiavo felice. Piadine al prosciutto (rigorosamente cotto, sai, per la toxo), piadine alla mozzarella, piadine alla mozzarella e prosciutto.

Un chilo deve essere di cioccolata. Quando ero triste, mi piaceva molto mangiare la cioccolata. Compravo dei barattoli di Nutella e finivano in un battibaleno. Ma non era colpa mia, il vaso probabilmente era bucato o c’era un folletto, un folletto goloso che abitava nella mia cucina.

Poi ci sono tutte quelle cene con gli amici, ci sono i primi mesi della mia relazione con Tino, che io mangiavo felice perché ero molto felice e ci piaceva andare al supermercato e comprare cose buonissime e cucinarcele, lontani dal mondo, dalle cose che ci stressavano, dagli sfinimenti della vita.

E mentre la dietologa dice, anche Dexter dice. Dexter – la mia anima nera – dice di non illudermi. Mi sono comprata i vestitini, mi sento bene, ma non durerà a lungo. Dexter mi ricorda che sono una persona debole e flaccida (fuori e dentro) e che non sarà la costanza a salvarmi.

Dexter sa essere cattiva quando vuole, ma io ho imparato a trattarla come quei vecchi mariti (o mogli, non so, Dexter non ha un sesso in particolare) un po’ sclerotici e ansiosi: le sorrido, le dico di stare serena e di farsi un po’ i fatti suoi e tengo duro.

Quando saliamo sulla bilancia, Dexter mi fa presente che l’ho fatto tante volte, prima salgo compulsivamente sulla bilancia, poi la bilancia finisce in cantina e al posto suo ritrovano spazio, in dispensa, i barattoli di cioccolata.

Io sono mesi che non mangio cioccolata e ciò è davvero straordinario, perché non ho smesso di comprarla, visto che ogni tanto a Frollina piace.

Sono mesi che mi controllo, che mi prendo cura di me e che cerco di non cedere alle tentazioni. Ogni tanto, a dire il vero, delle eccezioni io le faccio. Che sono umana, mica pizza e fichi.

Però c’è una spinta nella pancia. C’è una spinta nel cuore.

Io sono quella di adesso, non quella di prima. Cioè, non è che prima non fossi io, siamo seri, ma il mio corpo era una zavorra, qualcosa di cui non mi occupavo, qualcosa che deperiva intorno alla me stessa che sentivo di essere.

Dexter ogni tanto mi fa fare dei brutti sogni; sono le paure, le zavorre mentali che prima erano anche fisiche. Perché diciamolo, io non sono brava per niente a superare i miei limiti: passo lunghissimi periodi a compiangermi e a rimanere nelle mie zone confortevoli perché SENTO che qualsiasi cambiamento sarebbe un fallimento.

Lo sento così profondamente che Dexter, in quei casi lì, ci sta come un pascià. E quando le persone, e ultimamente non sono mica poche, mi chiedono “Ma come fai a fare tutto?” oppure mi fanno i complimenti perché sono stata brava, con la dieta, mi dicono “Te si che sei brava, io non ce la farei mai!” la mia reazione è delle più strane, perché – lo giuro – mi sento in colpa. Mi sento in colpa verso Dexter e tutti questi anni di gloria che le ho fatto vivere e sono incazzata perché penso di stare prendendo per il culo la persona che ho di fronte.

Sto scrivendo – pubblicamente – queste cose, perché secondo me bisogna un po’ smetterla di sopravvalutare gli altri, anche quelli che stanno affrontando sé stessi, come la sottoscritta, e cominciare a non sottovalutare la persona che guardate ogni mattina di fronte allo specchio.

E’ un giochino che conosco bene, è. E’ un giochino che fotte il cervello e ci fa rimanere impalati come baccalà sotto sale.

Lei è più figa, lei è più brava, lei ha un lavoro meraviglioso, lui è riuscito dove non sono riuscito io e così via. Io non lo so, ma è come quando si va alle cene degli ex compagni di classe e invece di chiacchierare si fanno delle specie di colloqui informativi professionali.

Te sei lì, che non vedi una persona da 20 anni e l’unica cosa che sapete fare, tu e lei, è cercare il difetto, oppure trovare la cosa da invidiare, per potere tornare a casa e sentirsi una merda, o per poter raccontare ai tuoi amici di oggi che quello, quello che ti sembrava avere i numeri per, adesso ha un lavoro da sfigato, ha perso tutti i capelli e tu sei molto meglio di lui.

Non vado mai alle cene con gli ex compagni di classe, tranne delle volte, delle volte sole, in occasioni particolari, per questi motivi qua. Perché c’è sempre qualcuno che chiede “E Tizio? Cosa fa Tizio?” e quando qualcuno glielo dice, allora salta su che non se lo sarebbe mai immaginato che avrebbe fatto una fine del genere.

Adesso non so come dalla bilancia sono arrivata a parlare delle mortifere e masochistiche cene di ex compagni di classe. Ah, ecco, è perché delle volte, delle volte quando qualcuno mi incontra, in questo periodo, e mi dice “Soccia, ma sai che sei stata proprio brava, io non ce la potrò mai fare!” mi viene in mente che questi meccanismi ci ammazzano. Ci ingozzano di veli di pancetta arrostita che si va a piazzare proprio davanti ai nostri occhi.

Che tutti, ma proprio tutti, io per prima che ho sempre avuto un fottuto bisogno di conferme e di riscontri e stronzate del genere, che se no – diciamolo – mica avrei aperto un blog, smettiamo sempre di guardare a quello che possiamo fare per noi e cominciamo a guardare a quello che hanno fatto gli altri e in questo ci annichiliamo, smettiamo di pensare a quello che vogliamo davvero. Nel bene e nel male.

Ora, insomma, quel che voglio dire è che non ho fatto nulla di eccezionale, ho solo cercato di trovare un rimedio, di volermi bene, di diventare un po’ più grande.

Che è poi quello che facciamo, tutti, ogni giorno. O che dovremmo fare.

E che io non sono speciale, sono proprio come te, te che stai leggendo.

E che io rimarrò sempre una cicciona dentro, con la mia Dexter a farmi paura e questa, spero, sarà la mia salvezza.

 

Cambiare fuori per cambiare dentro, cambiare dentro per cambiare fuori

Quello che state per leggere lo ha scritto Gloria Bevilacqua, persona che stimo molto e che in questo percorso di muta che sto facendo, ha saputo trovare parole giuste e riflessioni a cui io ancora non ero arrivata. Mi ha regalato, anzi – ci ha regalato – questo articolo, che penso sia una perla preziosa per tutte le persone che stanno cercando di cambiare, si tratti di una dieta o dell’idea di sé.

Cambiare fuori per cambiare dentro, cambiare dentro per cambiare fuori

La continuità ci dà le radici;

il cambiamento ci regala i rami,

lasciando a noi la volontà di estenderli e di farli crescere fino a raggiungere nuove altezze”

Pauline R. Keze

Di mestiere mi occupo di cambiamenti, organizzativi con le aziende e interiori con le persone che vengono da me quando faccio la psicoterapeuta. In entrambi i casi il mio contributo è la facilitazione, il superamento di ostacoli e molto spesso la possibilità di riflettere su quanto sta accadendo per dare significato all’esperienza.

Forse per questo quando leggo e ascolto Francesca raccontare del suo percorso di alleggerimento non posso che sentirmi felice per quello che sta facendo per se stessa e per la sua vita. E anche per quello che un cambiamento di questo tipo può innescare nella vita delle persone che la conoscono di persona o che la frequentano nel mondo virtuale.

Certo è che un percorso di cambiamento così profondo non è semplice da affrontare e non si può ridurre a delle mutazioni di cibo ingerito, peso perso, taglia cambiata o forma fisica. Quando il nostro corpo cambia -è inevitabile- cambiamo anche noi.

Magari non ce ne accorgiamo, forse perché questo avviene per micro modifiche o forse la nostra attenzione è indirizzata ad altro. Fatto sta che i mutamenti di forma portano spesso a vere e proprie metamorfosi e che forse occorre farci caso per indirizzarli verso quello che vogliamo diventare, verso quello che decidiamo di essere.

A volte è sufficiente fermarsi e aspettare che il cambiamento esteriore generi un movimento interno, un po’ come in quel racconto di Chatwin. Avete presente?

Un gruppo di viaggiatori deve raggiungere un certo punto nella foresta e lo fa con i portatori autoctoni, questi camminano e camminano ma a un certo punto si fermano e non c’è verso di farli proseguire. Alla richiesta di chiarimenti su questa impossibilità a procedere nonostante la luce rispondono: “Per dare tempo alle nostre anime di raggiungerci”.

Tempo per stare a maggese, per riposare, per lasciarci il tempo di “lievitare” prima di prendere la forma definitiva…come peraltro permettiamo di fare al pane, ma spesso non a noi stessi. Un tempo necessario soprattutto quando siamo i protagonisti di scatti di crescita in direzione di noi stessi, che mutano inevitabilmente anche i nostri scambi con gli altri, le nostre relazioni, la nostra professionalità.

A volte le aspettative -nostre e degli altri- ci confondono e fare chiarezza mentre costruiamo il nostro prototipo di donna non è facile, non c’è nessuno che ci può dire se la direzione è quella giusta.  Quando usciamo dalle tabelle peso/altezza e dai parametri medici non ci sono definizioni unitarie che possano magicamente risolvere la questione. Ci siamo solo noi a fare i conti con noi stessi e forse questi conti siamo poco abituati a farli nel quotidiano, preferiamo posticipare le valutazioni a non ben precisati momenti futuri.

Vedo persone che quando cominciano dei percorsi di rimessa in forma e in forza perdono il contatto con il reale e si trasformano in automi stonati che replicano modelli già visti: troppo magri, troppo grossi, troppo truccati, troppo rifatti, troppo. Maschere che allontanano dalla loro reale autenticità, che però si intravede sotto strati di comportamenti e strategie pensati apposta per nascondere e nascondersi.

E dire che a volte basterebbe farsi delle domande, senza trovare per forza le risposte. Domande per sentirsi da dentro, come queste:

  • come mi sento nel mio corpo?

  • il mio corpo riesce a farmi fare quello che mi serve? funziona?

  • cosa mi piace fare? come mi sento quando lo faccio?

  • cosa so fare? le conosco le reali capacità di questa “macchina” o faccio riferimento a quello che gli altri dicono di me o a quello che ho fatto nel passato?

  • cosa significa per me salute? bellezza? efficienza? benessere?

  • la mia immagine esterna corrisponde con quello che sento dentro di me? la mia faccia? i miei capelli? posso fare qualcosa per raggiungere una sintesi più soddisfacente?

  • quello che indosso mi facilita la vita? mi rappresenta? mi piace?

  • come sto quando mi sento bene? con chi sono? cosa faccio?

  • come sto oggi? adesso? qui?

  • cosa cambia il mio cambiare fisicamente? con chi? quanto?

  • che pensieri mi accompagnano?

  • dove (davvero) voglio arrivare? perchè?

Per una volta non problemi ma la costruzione di una nuova forma di efficienza personale, fisica, emozionale, mentale.

A me piace pensare a questo processo in termini di costruzione di una nuova armonia, una parola che viene dal greco e significa disposizione, proporzione, connessione. Ha la medesima radice [ar-] che indica unione e disposizione, comune anche ad “arte” e “aritmetica”. Lo collego all’armonia musicale, alla ricerca continua e costante di quello che funziona in modo mobile e sperimentale.

Non facile, ma bello.

Gloria Bevilacqua

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 [Foto in Licenza CC – flickr – Filippo Angeli]

Lo shopping di una donna scesa da Marte

Mettete una donna “scesa da Marte”, come dice sempre Tino, che una sera guarda una foto che le hanno scattato e si accorge che si, è proprio vero, la sua immagine è diversa e la prima cosa che le viene proprio naturale, perché diciamolo – su Marte funziona così – è mettersi a piangere come una mocciosa, in preda a una strana confusione.

Aggiungete un guardaroba in cui il capo più elegante risale al 1992 e solo per puro caso non è provvisto di spalline e quello meno largo lo potrebbe infilare tutta la squadra di calcio femminile (tutte le componenti insieme, beninteso).

Sottraete gusto e capacità di prendersi cura di se’.

Mescolate confusione, insicurezza, narcisismo, anima nera e totale assenza di stile.

Rimescolate confusione, desiderio di mettersi in gioco, voglia di cambiare e un pizzico di soddisfazione per i risultati raggiunti e per quelli che si vogliono raggiungere.

Eccomi. Sono qua.

In un sabato mattina di inverno.

Frollina a un pigiama party da un’amica.

Tino che riceve un sms invitante sugli sconti scontatissimi all’outlet fuori porta.

Noi che entriamo nel negozio e io che mi metto a guardare in giro. Prima timida. Incerta. Spaventata.

“E se non ci fosse la mia taglia?”.

Faccio uscire la testolina dal giaccone, comincio a esplorare, annusare l’aria, guardarmi in giro. Evito le commesse, cerco di non incrociare il loro sguardo.

Una però mi ha visto. Viene verso di me. Oddio, adesso cosa faccio?

Giuro che se mi guarda con sprezzo e comincia a fare del sarcasmo sul fatto che non ha la mia taglia, io giuro le sputo in un occhio.

Eccola. E’ qui e sembra mansueta. Deve avere già mangiato. Non morde.

Vuole aiutarmi.

Mi ascolta.

Trova una gonna che sembra fatta apposta per me.

E anche una maglia, anche un cappotto, due lupetto (si chiameranno ancora così i maglioncini a collo alto?), un cardigan, un vestito, due paia di leggins.

Tino mi guarda. Sorride. “Pago io” dice. “Prova tutto” dice.

Mi sento Julia Roberts.

Non fa in tempo a finire la frase che sono già dentro al camerino.

Dexter, la mia anima nera, mi dice di fare attenzione, che tanto non ci entro in tutta quella roba, le rispondo di tacere e nel frattempo ho già due maglie, una sopra l’altra, un cappotto, due cappotti, un pantalone indossato, l’altro è già sul bancone, tutto, tutto, prendo tutto, è tutto bellissimo, guarda mi sta tutto, cazzo mi sta tutto, cazzo POSSO COMPRARMI UN CAPPOTTO!, sai cosa c’è? c’è che di cappotti io me ne prendo due, cazzo! Ma quanto è bella questa gonna? Ho sempre desiderato una gonna così!

“Avete anche dei pantaloni?”

“No quelli non mi piacciono. Gli altri non mi vanno bene. Mi stanno LARGHI.” Larghi? ho detto “larghi”?

Da quanto tempo non provavo questa sensazione: un paio di pantaloni che mi stanno larghi. Anche il cappotto, mi sono provata una taglia ma ho dovuto prendere quella più piccola.

Tino paga. La commessa mi guarda come si guarda a un pulcino appena uscito dal guscio. Giuro. Siamo rimasti in 5 dentro al negozio: 3 commesse e noi. Hanno capito. Hanno capito che sono scesa da Marte e da troppo tempo non faccio shopping.

Che strano. Dite che è stato perché sono voluta uscire dal negozio con il cappottino nuovo addosso e mi hanno dovuto rincorrere per tagliare l’etichetta che penzolava dal bavero?

Ecco, oggi colgo tutto l’aspetto futile e narciso dell’essere dimagrita. Io che mi batto ogni giorno contro la futilità, oggi ne amo ogni stilla, ogni aspetto.

Laddove non può la serrata analisi di se’, a volte arriva un cappotto nuovo. E così, la mia anima nera ed io decidiamo che è arrivato il momento di non temere più il nostro aspetto, che è arrivato il momento di cominciare a prenderci cura anche del lato estetico di questo progetto che sto portando avanti.

E entriamo perfino in una profumeria. Non compro trucchi da quando hanno inventato l’eyeliner (che nel frattempo, scopro non senza un po’ di tristezza, è anche passato di moda), il mio rimmel (o mascara, forse adesso si dice mascara) è così duro che quando lo metto è meglio non mi pesi se no addio 21 chili persi.

Ho un fondotinta con cui potrei partecipare a una gara di creazione di vasellame.

La commessa capisce immediatamente. Il biglietto del mio viaggio da Marte spunta dal taschino del mio nuovo e fighissimo cappotto nuovo.

Mi prende sotto la sua ala protettrice. Sbatte le lunghe ciglia e mi spiega la differenza tra coprente e naturale, mi racconta dell’invenzione del super primer, mi mostra ombretti che si spalmano come fossero matite.

Studia la mia pelle e mi offre su un vassoio d’argento tutte le meraviglie della cosmesi contemporanea.

E dopo avermi fatto accendere un mutuo, mi riempie di campioncini e finti bisogni e meravigliose futilità che mi fanno sentire una quarantenne figa.

Molto figa.

Prima di uscire mi guarda, con il sorriso di una mamma chioccia e mi dice: “Torni a farmi vedere come sta, domani!”.

E io sono felice.

Futilmente felice.

E la mia nuova immagine mi fa un po’ meno paura.

 

 

Di responsabilità e giustificazioni

In questo percorso di dimagrimento  sono tantissime le cose che sto imparando su di me e sui meccanismi mentali che mi hanno portato all’obesità.

Mi libero dei chili ma nel frattempo rifletto sulla mia anima nera  (a cui recentemente ho trovato il nome, si chiama Dexter come uno dei miei personaggi televisivi preferiti) e cerco anche di capire il perché certe cose vadano e certe altre no, del perché io mi ritrovi sempre con progetti aperti (e spesso non chiusi) e non riesca davvero a prendere in mano la mia vita professionale.

Quanta carne al fuoco, direte voi.

Vero.

Ma prima o poi bisogna farlo e io sto tentando di distillare poche cose dal mucchio e risolverle, una alla volta o – quanto meno – affrontarle.

Perché sono convinta che ci complichiamo estremamente la vita di solito, mettiamo molta roba nel calderone (e così non risolviamo nulla) ma i nodi in realtà sono molti meno: quello che inceppa il meccanismo è una rotella, una rotella che bisogna rimettere in carreggiata, oliare, sistemare.

E io credo di avere capito una cosa importante ultimamente ovvero che la mia obesità (lasciatemi dire ex obesità, ora sono solo una donna un po’ cicciottella 😉 non era il problema ma la giustificazione.

Come tutte le illuminazioni, è stata una chiacchierata con una nuova amica (una delle persone che lavora con me al coworking) a farmelo capire. Una chiacchierata in pausa pranzo, giusto per l’ironia della vita.

Mi sono resa conto che essere grassa per me era MOLTO più facile che essere una persona NORMALE.

Da grassa potevo lamentarmi di non potere fare delle cose, di non riuscire a trovare i vestiti adatti a me, di non piacere alle persone per il mio aspetto fisico.

Da grassa POTEVO COMPATIRMI, piangermi addosso, ripararmi, proteggermi dal mondo e dalle situazioni che mi spaventano.

Il grasso diventava un’ottima scusa, un’ottima protezione dalla vita, dall’affrontare i miei (numerosi) problemi di auto percezione professionale, il mio terrore di essere inadeguata, di non essere abbastanza intelligente, di non essere abbastanza brava sul lavoro e come mamma.

Ero grassa. Questo era evidentissimo. Non c’era bisogno di farsi altre domande.

E invece di domande, ora, ho cominciato a farmene parecchie e riguardano molti aspetti della mia esistenza. Professionalmente devono cambiare molte cose e le devo fare cambiare io, con uno scatto di percezione di me stessa che finora mi era impensabile e durissimo.

Mi aspetta un lavoro colossale quest’anno, mentre ancora fatico a riconoscermi in questo corpo nuovo (sono a quota 20 chili, me ne mancano 10 per raggiungere il mio obiettivo), le poche foto che qualcuno mi ha scattato recentemente mi mostrano una persona che sono io ma è anche una sconosciuta.

Ma mi sono data degli obiettivi. Il primo di tutti è raggiungere la dimensione professionale a cui aspiro, che sono convinta di potere gestire, che risponde alla mia formazione e preparazione. Basta compromessi, basta accettare lavori che non mi si addicono perché temo di “non essere abbastanza”. O andrà bene e potrò dare corpo ai miei progetti, oppure da settembre cambio vita, chiudo con il web e mi trovo un altro lavoro (commessa, baby sitter, ecc) che mi consenta di vivere dignitosamente ma anche di avere tempo DAVVERO libero per le mie passioni.

E se sarà fallimento, se non ce la farò a realizzare i miei progetti professionali da qui a settembre, amen. I fallimenti sono troppo sottovalutati. Molte persone diventano rancorose perché falliscono, oppure – come era la sottoscritta – pensano che di poter trovare, nel fallimento, responsabilità che sono, per lo più, esterne (la crisi, qualcuno di più “esposto” di noi, la sfiga, l’invasione delle cavallette…).

Se si fallisce, invece, è perché di solito non si è abbastanza bravi, non si è lavorato abbastanza o con la giusta lungimiranza. Ciò non vuole dire che non si potrà riprovare e farlo meglio.

Ma non è mai colpa della crisi o di qualcun altro o del mondo sporco e cattivo, è prima di tutto colpa nostra che non abbiamo saputo interpretare adeguatamente il cambiamento e gestire il nostro progetto nel modo più efficace.

Insomma, per me questo sarà l’anno delle responsabilità e del mettersi a nudo per evitare qualsiasi giustificazione.

Sarà l’anno dei “conti della serva”, in cui misurerò con grande perizia vantaggi e svantaggi di qualunque cosa. Sarà l’anno dei no: imparerò a dire no, ma sarà un modo per dire dei veri si.

Sarà l’anno in cui mi metterò – al meglio  – in gioco.

Per riuscire.

[foto scattata a ArteFiera]

La mia anima nera: perché sto riuscendo a dimagrire

Oggi la mia doc. mi ha pesata e con le feste e tutto, sono arrivata a 17 chili persi.

Diciassette.

Lei era contenta, io di più.

La cosa bella è che mi sta aumentando la massa magra e quella muscolare, che i centimetri persi in vita sono un numero importante e che mi sento davvero soddisfatta di me.

Mi sono resa conto che quella che sto facendo non è propriamente una dieta ma una “muta”.

Sto mutando e non tanto fuori, anche se è quello che si vede di più, quanto dentro.

Durante le vacanze di Natale non ho fatto sacrifici inaffrontabili.

Il 25 dicembre ho mangiato le lasagne, che se non mangiavo le lasagne mia suocera probabilmente mi avrebbe tolto il saluto e ho mangiato anche i tortellini, che sono bolognese, mica pizza e fichi.

Ci sono stati anche incontri con gli amici, una pizza, qualche cena in montagna e un piatto viennese, nelle ultime settimane.

Ma ci sono stati anche i chilometri macinati avanti e indietro per il portico di San Luca (la mia palestra naturale), i dolci a cui ho rinunciato, i carboidrati quasi azzerati (se non nelle occasioni speciali) e una grande attenzione alla qualità del cibo che ho ingerito.

Quando ho deciso di mettermi seriamente a dieta l’ho fatto in un modo nuovo rispetto al passato: mi sono presa da parte e ho iniziato con la mia anima nera e golosa un bel discorsetto a tu per tu. Un discorsetto spietato. Niente scuse. Mi sono messa al muro.

La mia anima nera mi diceva che non era così grave che fossi grassa, sono una donna forte, riesco comunque a fare un sacco di cose. Poi non è mica vero che l’asma dipende anche dal peso e per le malattie della pelle, cosa ci posso fare se soffro di una malattia immunitaria?

Io ho cercato di farla ragionare.

Implacabile come solo uno scorpione sa essere.

Col cazzo che non c’entra il peso, ti sei guardata – le ho detto – mentre sali le 2 rampe di scale per arrivare al tuo appartamento?

Hai quarantanni e ansimi come se ne avessi ottanta!

Poi scusami, non senti che la pancia ti si gonfia di continuo e spesso, quando mangi tutte quelle schifezze che tu chiami “beni di conforto”, ti viene perfino il mal di testa?

Lei all’inizio ha tentato di rispondere con un “Ma cosa vuoi che sia una merendina mentre lavoro!” ma io non mi sono fatta prendere per il naso.

Le ho detto chiaramente che avanti così non ci potevamo andare, che io voglio salire sul letto del camper senza sembrare una balena che si sta spiaggiando, che la sedia sfondata quest’estate, a Montombraro, non era mica difettosa lei e che le persone grasse – lo dicono le statistiche, mica io – vivono decisamente meno a lungo.

Le ho detto anche che mi dispiace, ma non la trovavo così carina con il triplo mento da arrotolare e un giro vita da mongolfiera.

Spietata. Spietata. Sono stata spietata.

Quando la mia anima nera ha cominciato a fare tremare uno dei suoi menti e una lacrima è scesa sulla sua florida guancia, sebbene mi stesse anche un po’ impietosendo, non ho rinunciato a ricordarle (ma con uno strategico Pat! Pat! battuto sulla spalla) che di tutti quei chili lei non aveva mica più bisogno.

Che dai su, si diventa grandi, ciò che ci ha fatto soffrire – magari quando eravamo poco più che adolescenti – ormai è lontanissimo nel tempo, che questa è la nostra vita e compiangerci non è da noi e che, insomma, non è mica una bella cosa se tua figlia di 7 anni ti dice che ti vuole bene ANCHE SE sei molto grassa…

[Che poi io concordo con la mia anima nera che l’aspetto fisico non fa il monaco, ma è pur vero che cominciamo ad avere una certa età, lei ed io, e vorrei arrivare almeno ai 70. Rincoglionita. Ma in salute.]

Dopo una lunga discussione, intervallata dai suoi singhiozzi rumorosi e da un attacco d’asma da “Scommetti che se perdi qualche chilo andrà meglio?”, abbiamo raggiunto insieme una conclusione e cioè che era giunto il momento di iniziarla questa benedetta muta e che noi due siamo toste, inutile pensare che l’obiettivo fosse irraggiungibile!

Adesso l’anima nera ed io siamo tornate amiche. Lei tenta continuamente di convincermi che un pezzo di cioccolata non è il peggiore dei mali, io le sbuccio un kiwi, lei mi dice “Non è la stessa cosa, stai tentando di fottermi!” ma io la ignoro e si vive una meraviglia, insieme.

L’anima nera ogni tanto si abbatte: le sembra che la strada sia sempre in salita, mi ricorda che una cicciona rimarrà una cicciona per sempre, che forse non ne vale la pena. Fa bene a ricordarmelo, ora la ascolto quando mi dice queste cose, che se c’è una sacrosanta verità è che io sono una tossica (ex tossica) di cibo e un tossico di cibo lo rimarrà per sempre, quindi dovrà sempre stare in allerta.

Il portico di San Luca e i suoi scalini mi vengono in aiuto.

L’anima nera ed io li saliamo con voracità, come fossero un pezzo di torta alla nutella. Un gradino alla volta. Quando sentiamo la fatica, l’anima nera ed io spegniamo l’interruttore, mettiamo la musica a palla e ci concentriamo sui muscoli, sul fiato, sui chili che sudano via.

Non guardo mai la fine della salita. Preferisco guardare il gradino successivo e basta. Così arrivo alla fine.

L’anima nera ed io ci siamo provate un paio di pantaloni acquistati un anno fa. Sono belli ma non stanno mica più su. Ci guardiamo allo specchio, ci mettiamo le creme, pieghiamo il collo in avanti e non troviamo più il mento 2 e il mento 3.

Non abbiamo più attacchi d’asma. Solo delle volte, ma perché stiamo a contatto con qualcosa che ci fa davvero male.

Saliamo le scale che è una meraviglia. Delle volte ci viene voglia di arrivare fino all’ultimo piano e non fosse che temiamo che qualche vicino chiami la Neuro, lo avremmo anche fatto.

Ci vogliamo bene l’anima nera ed io. Più bene che un anno fa. Ci ascoltiamo. Non facciamo finta che il mondo sia un posto meraviglioso dove a noi non può succedere nulla, qualunque scelta facciamo.

Stiamo mutando. Insieme. Rimarremo insieme per sempre, cosa che fino a poco tempo fa ci risultava incredibile. Mi ero sempre detta che lei prima o poi se ne sarebbe andata, mi avrebbe abbandonata e avrei vissuto felice e contenta.

Mentre, come in tutte le relazioni, bisogna accettare gli alti e bassi, prendere il proprio partner per quello che è, accettando i suoi difetti, accompagnandolo nei cambiamenti.

E – paradossalmente – è proprio il fatto di sapere che non ci lasceremo mai, che lei rimarrà per tutta la vita con me, che mi sta dando la forza, la certezza che ce la faremo.

Insieme.

Il divorzio con le anime nere, miei cari, non è contemplato. Bisogna solo imparare a volere loro bene.