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Dimagrire sta facendo bene anche al mio lavoro: strategie e novità

Il mio percorso di dieta e muta mi è stato utile non solo per stare meglio con me stessa e ritrovare il benessere ma anche per focalizzarmi professionalmente. Durante l’anno passato mi sono concentrata molto sul cambiamento d’approccio e fisico, sull’imparare uno stile di vita sano e sul ritrovare il mio benessere attraverso lo sport. Ho messo in secondo piano gli obiettivi professionali scegliendo di “vivacchiare” per non impegnare troppo il cervello in troppi ambiti. A settembre di quest’anno, a un anno esatto dalla muta e dopo avere perso più di 40 chili di peso, mi sono resa conto che avevo trascurato molte cose e che come professionista non me lo potevo permettere.

All’inizio ho avuto un attimo di scoraggiamento e tanti dubbi, poi ho deciso di applicare lo stesso metodo che ho usato per la dieta alla mia vita e credo che in questo momento sia la scelta più giusta che potessi fare.

Ecco cosa ho fatto.

ANALISI

  • Ho esaminato quello che stavo facendo, le collaborazioni in atto, la gestione dei clienti e dei progetti e ho fatto una cernita di quello che mi stava portando via più energia senza reali benefici economici o di avanzamento professionale e una lista dei progetti potenzialmente più importanti
  • Ho fatto i conti della serva: quanto ho guadagnato quest’anno? quanto vorrei guadagnare il prossimo? quali sono le spese vive e imprescindibili legate al mio lavoro?
  • Ho deciso di mettermi a nudo con me stessa, cercando di visualizzarmi a un anno di distanza da questo momento: cosa voglio fare? dove voglio essere? il posto (professionale) dove mi trovo oggi mi va bene o penso di potere spendere le mie competenze su altri ambiti?
  • Mi sono chiesta in che direzione sia più utile spingere il mio lavoro: cosa è più efficace? quali ambiti (tra i tanti che pratico) possono diventare davvero efficaci in un rapporto risorse spese/risorse ottenute?

OBIETTIVI

Mi sono resa conto che da troppo tempo avevo perso di vista gli obiettivi. Proprio come quando sono ingrassata fino a diventare obesa e durante il percorso non mi rendevo conto che stavo scivolando verso una cattiva gestione e cura del mio corpo, troppo presa a muovermi nella mia “comfort zone” vitale, sul lavoro avevo smesso di mettermi realmente in gioco. Non ho abbandonato sforzi, ho continuato a lavorare seriamente e per molte ore, ma con quali obiettivi? A quale scopo una narrazione di me efficace se poi non mi dò un obiettivo? Quale prodotto – come professionista – sono in grado di vendere? Quali idee possono trasformarsi in business?

Ho rimuginato parecchio intorno a questi temi, sbattendo la testa contro una gran confusione a volte, cercando di ridefinire a me stessa dove voglio andare come professionista e mi sono resa conto che molte cose devono cambiare. Ho preso carta e pennarelli – come faccio quando devo progettare qualcosa di NUOVO – e ho focalizzato le mie attività, le mie idee, la visione che ho del mio lavoro attraverso scritte e disegnini (rupestri).

RISULTATI

Grazie a una riflessione e tentativo di analisi di me stessa e dei miei obiettivi ho capito che devo essere orientata al RISULTATO. Questa parola sembra molto chiara ma se ci pensiamo bene, non lo è affatto: per ognuno il risultato è qualcosa di diverso, associamo a questa idea significati diversi anche a seconda dei momenti che stiamo vivendo.

Io dovevo trovare il significato più giusto per me. Proprio come ho dovuto trovare il significato più giusto per me per quella che tutti usano chiamare “dieta” e io invece ho chiamato “Muta”.

EFFETTI

L’effetto principale del lavoro degli ultimi mesi è stato:

  • rivedere gli obiettivi a medio e lungo termine in maniera definita e con la capacità di poterli misurare chiaramente
  • ridefinirmi come professionista prima di tutto con me stessa cercando parole non generiche, ambiti specifici e mettendo in primo e secondo piano le cose. Bisogna darsi delle priorità e non possono essere troppe.
  • rivedere la comunicazione verso l’esterno: processo che consiglio a tutte le aziende e i professionisti. Deve essere ciclico. Il web è cambiamento continuo, noi siamo cambiamento continuo e bisogna adattarsi a questo modello diventando flusso in costante progress. Nel concreto sto facendo un importante restyling del mio sito professionale francescasanzo.net (non ancora visibile), ho scelto foto professionali di me che mi rappresenteranno quando andrà online e ho assunto un orientamento finalizzato a esplicitare i servizi che offro, come e a chi. Dopo il sito personale toccherà anche a questo blog che verrà orientato ad alcuni temi più esplicitamente. A un certo punto si cresce, ci si evolve e dopo 10 anni tocca anche a Panzallaria.com
  • ho imparato a dire NO a lavori che non sono sostenibili economicamente: non mi interessa svendere la mia professionalità ma valorizzarla. Non faccio favori a meno che non mi diano indietro reali benefici o non me li chiedano i miei migliori amici (che sono pochi, sia chiaro ;-), in alcuni ambiti le energie che devo mettere per ottenere risultati di basso profilo sono troppe e quindi non ne vale la pena e se qualcuno mi chiede di lavorare per pochi spicci penso che piuttosto vado a farmi una corsa che ci guadagno in salute.
  • ho deciso di investire in formazione: mi sono iscritta ad alcuni corsi che mi sono utili per migliorare le competenze che mi servono per lavorare. Ho speso soldi ma credo (e spero) ne valga la pena. A volte ci nascondiamo dietro alla scusa dei “costa troppo” perché temiamo l’impegno che dovremo mettere nel fare. Ci sono passata per molto tempo scegliendo di NON rivolgermi a una specialista per dimagrire, so di cosa parlo: oggi credo che quelli spesi dalla nutrizionista siano stati i soldi meglio spesi nella mia vita.

La corsa, il nuoto e la costante attenzione che devo mettere nella gestione della mia anima nera (che c’è e ci sarà sempre e ogni tanto annida Sirene canterine nel frigorifero) mi hanno insegnato tantissimo in termini di disciplina, pazienza, capacità di guardare oltre all’oggi.

Sarei una sciocca se non applicassi ciò che ho imparato dall’avere perso 43 chili anche al lavoro, no?

Una buona dieta è lenta

Una delle cose che ho imparato grazie al mio percorso di dimagrimento è che sono riuscita a calare 42 chili grazie alla lentezza che mi sono concessa. Malgrado all’inizio, convinta di VOLERE cambiare, io mi sentissi un po’ frustrata dal fatto che si trattava di un percorso difficile e lungo e invisibile (quando sei in grave sovrappeso, i primi chili persi sono davvero un ago nel pagliaio), forse proprio il fatto che la massa da perdere era tanta mi ha assicurato la possibilità di introiettare il percorso, farlo mio e acquisire con calma un nuovo stile di vita.

C’erano state altre occasioni in cui avevo fatto una dieta ma i chili da perdere volavano via talmente in fretta che spesso si trattava di parentesi della vita: a parte il regime alimentare, non modificavo nulla nello stile.

E quei chili, invariabilmente, tornavano a fare capolino nel giro di qualche anno.

Quello che non capivo allora era che non basta mangiare meno per mantenere i risultati: una buona dieta è un mix di tanti fattori, in primis “culturali”.

  • Bisogna cambiare regime alimentare, adeguarsi al fatto che per un periodo (che dipende dalla quantità di massa grassa che dobbiamo perdere) dovremo mangiare meno e imparare a capire quello che mangiamo, la sua qualità intrinseca e il suo apporto calorico.
  • E’ necessario capire che la dieta ipocalorica non durerà per sempre. Quando entreremo nella fase di mantenimento  – pur mangiando in quantità maggiori – dovremo mantenere le regole che stiamo imparando, come per esempio che è meglio non mangiare un piatto di pasta a cena. A qualcuno sembrerà una banalità, ma per chi è abituato a mangiare in maniera disordinata e “consolatoria” come la sottoscritta, non lo è affatto.
  • Bisogna iniziare a fare sport, moderatamente prima, poi in maniera più aggressiva. Il nostro corpo ha bisogno di muoversi, i muscoli vanno tonificati e – specialmente se i chili da perdere sono molti – dobbiamo assicurare tono alla nostra pelle.
  • Non guardiamo al risultato finale ma a tanti piccoli risultati intermedi e sfruttiamo ogni occasione per camminare, andare in bicicletta, fare una passeggiata.

In fondo avere tanti chili sulla gobba è stato forse il modo migliore per assicurarmi, ora che quei chili non ci sono più, un buon mantenimento. Sono ormai alcuni mesi (da maggio) che sono passata a un regime alimentare di mantenimento, eppure nel frattempo ho perso altri 10 chili grazie allo sport e a un sano stile di vita. Ogni tanto mangio un dolce, ogni tanto mi concedo qualche extra, ma se per qualche giorno ho un regime alimentare disordinato (può capitare), poi mi rimetto in riga nelle settimane successive, con piccole strategie detox. Mangio molta verdura, limito i carboidrati e faccio sport con maggiore impegno. In generale comunque, attualmente mangio 1800/2000 calorie al giorno che crescono quando vado in piscina e nuoto tanto o corro 10 km.

Qualcuno mi dice: “Si ma tu sei stata fortunata: hai sempre continuato a dimagrire costantemente!”. E’ vero, sono stata ANCHE fortunata, ma non significa che non abbia avuto momenti di stanchezza o in cui, di fronte a un obiettivo così lontano (tornare entro limiti “normopeso”) io non mi sia sentita scoraggiata.

Capita.

Ma proviamo un attimo a pensare alla dieta non a quello che è ma a un percorso di scoperta di sé stessi, di evoluzione interiore prima che fisica. Questo differente punto di vista cambia tutto e ci mette in una predisposizione diversa: stiamo crescendo, non ci stiamo punendo. Stiamo diventando persone nuove, speriamo migliori, non stiamo rinunciando a ciò che più amiamo.

Credo che lo sport in questo abbia un ruolo fondamentale: lo sforzo che si compie per imparare uno sport (nel mio caso la corsa) o per riprendere uno sport che abbiamo abbandonato da anni (io l’ho fatto con il nuoto) è altamente “sfidante”, ci costringe a misurarci con la pazienza necessaria a riprendere in mano quell’attività, a capire come funziona. Poi lo sport offre anche l’occasione di ricavarci tempo “tutto per noi”, di fare qualcosa di totalmente diverso da quello che facciamo abitualmente.

Per me l’ultimo anno è stato un anno di formazione, oltre che di grande successo personale nel raggiungimento dell’obiettivo. Ora è iniziata una nuova fase: sono una persona “magra” che sta cercando di superare alcuni limiti nello sport, che vuole sviluppare alcune qualità che non conosceva e che sta imparando a godersi un pranzo o una cena senza troppi sensi di colpa perché domina quella che mangia e non ne è dominata.

C’è un continuum tra quella che ero 42 chili fa e quella che sarò e mi esalta pensare a quante cose posso ancora imparare sullo stile di vita, sul mio modo di mangiare, su quello che mangio e sul modo in cui affronto lo sport.

Se vogliamo dimagrire occorre prenderla con calma, concediamoci lentezza e capiamo che la bilancia non è che il primo passo, poi ce ne sono altri mille da fare, molto entusiasmanti se presi con lo spirito giusto, che hanno a che fare con il mantenimento.

La settimana scorsa mi sono presa un paio di jeans stretti. Taglia 42. Pensavo non fossero un modello adatto a me, poi me li sono provati  e mi sono piaciuta. Ho imparato a osare e a non dare per scontato che qualcosa “faccia per me”, e non solo quando si tratta di pantaloni. La muta è stata anche questo e credo di essere – grazie all’ultimo anno – una persona decisamente più simile a quello che vorrei essere. E non solo perché indosso la 42.

 

L’importanza dello sport per mantenere un sano stile di vita

Qualcuno ha seguito in diretta il mio percorso di muta per un nuovo stile di vita, qualcuno mi contatta oggi per sapere come io sia riuscita a dimagrire 42 chili senza trasformarmi in un cane razza Shar Pei e così ho deciso di scrivere un post per raccontare quanto sia stato importante fare sport durante la mia dieta e come continui oggi a farne per mantenermi in forma e per rimanere in equilibrio nel mio nuovo corpo.

Shar Pei

[foto in licenza CC – flickr.com – Bill Frazzetto]

Intanto qualche precisazione e un riassunto delle puntate precedenti: a settembre 2013 pesavo 102 chili e ho iniziato un percorso di dimagrimento, insieme a una nutrizionista specializzata. A maggio 2014 pesavo 70 chili e ho interrotto la dieta dimagrante per iniziare il “mantenimento”. Ho continuato comunque a dimagrire e oggi peso 60 chili esatti. Sono alta 1,68 cm, ho (quasi) 41 anni e il peso raggiunto è quello più adatto alla mia costituzione (forse potrei perdere un altro paio di chili sull’addome, ma già così sto fisicamente benissimo).

ATTUALE STILE DI VITA ALIMENTARE

In questo periodo (ma già da maggio 2014) non sto seguendo diete ipocaloriche. Mangio tutto (a parte dolci, sui quali mi contengo molto e che sono solo per le occasioni speciali). Mi limito nel consumo di formaggi e latticini in generale e non mangio MAI pasta a cena, tranne quando ho mangiato poco durante il giorno e alla sera faccio un allenamento intenso. La mia è una colazione ricchissima che parte con un bicchiere d’acqua e spremuta di limone a stomaco vuoto e prosegue con caffè e yogurt (grassi 0%) con cereali croccanti e gocce di cioccolato. Alterno e certe mattine mi mangio una/due fette di pane con la marmellata di mirtilli senza zuccheri aggiunti. La colazione è il pasto in cui bado meno alla quantità di quello che mangio. (E ci tengo a precisare che sono abbastanza convinta che una delle maggiori cause del mio aumento di peso fino all’obesità sia stato proprio NON fare colazione appena sveglia ma poi andare al bar tutte le mattine).

Non zucchero nessuna bevanda e bevo pochissimi alcolici. Quando finisco periodi di intensa vita sociale (tipo l’ultima settimana) e dunque vado spesso fuori, nei giorni successivi mi regolo e mangio meno di quanto faccia normalmente per “riequilibrare” le tante eccezioni che ho fatto al mio stile di vita.

Malgrado io non faccia più la dieta, ho continuato a perdere peso (10 chili in 5 mesi). Perché? Credo che le risposte siano sostanzialmente due:

  1. il mio metabolismo ha invertito la rotta e il corpo sta naturalmente arrivando al peso che ritiene adatto alla mia costituzione
  2. mi muovo e faccio sport in maniera adeguata alla mia età e costituzione

LA MIA SETTIMANA IN MOVIMENTO

Premetto che in famiglia abbiamo scelto di non possedere un’automobile: questo significa che io uso in maniera intensa la bicicletta per qualunque spostamento di lavoro e piacere me lo permetta. Sono andata – in bicicletta – a riunioni a 20 chilometri da casa mia, per intenderci. Se non posso usare la bici, cammino. Anche tanto.

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#bici

Ogni giorno vado al lavoro in bici: sono 10 minuti all’andata e 10 al ritorno ma fanno partire bene la giornata anche per i muscoli delle mie gambe. Qualcuno non ama andare in ufficio in bici, non solo per il rischio maltempo, ma anche perché – dice – arriva “sudato” ad eventuali impegni professionali. Per la mia esperienza posso dire che si suda solo all’inizio, il primo mese, perché non si è abituati, poi il corpo prende il suo ritmo e questa attività entra a pieno titolo nella routine della giornata. Bisogna imparare a vestirsi in maniera furba (per non avere freddo quando si scende dalla bici, per non avere caldo quando si pedala) e a trovare il percorso a “rischio minimo” (perché la vita dei ciclisti non è sempre facilissima) ma oltre a fare bene è anche comodo, economico e non inquina.

#sport e tempo libero

Ho iniziato a camminare un mese esatto dopo avere iniziato la dieta: pesavo troppo per fare sport più “violenti” ed erano troppi anni che non facevo qualcosa di serio. Preso atto dei miei limiti, ho iniziato con un’attività integrabile in maniera semplice con la mia vita. Quando di chili ne avevo persi circa 23 (dunque pesavo già sotto gli 80, anche se di poco) ho voluto provare a correre. Ho iniziato con distanze molto piccole (il tempo di una canzone) intervallate con passeggiata a ritmo sostenuto e dopo circa 3 settimane (con molta calma quindi) mi sono sentita pronta per unire tutti i pezzetti di corsa e la prima distanza che ho percorso sono stati 2,5 km. Oggi ne corro 10 in un’ora circa. Ho corso a giorni alterni – SENZA SALTARNE UNO – da maggio a settembre, arrivando a percorrere i 10 chilometri, ma soprattutto riuscendo a rimanere in pista per un’ora intera. Durante le stagioni calde ho corso, preferibilmente, al mattino perché si conciliava meglio con la mia giornata lavorativa e familiare. Sveglia alle 6, corsa dalle 7 alle 8 (Frollina condotta a scuola da Tino), doccia, bici e ufficio per le 9.

Quando ha cominciato a rinfrescare mi sono seduta a tavolino per decidere come affrontare l’inverno e ho scelto di iscrivermi a un corso di nuoto, due sere alla settimana. Avendo praticato nuoto agonistico fino ai 19 anni, è uno sport che amo e conosco e ho scelto un corso serale (compatibile con impegni familiari e lavorativi) nel quale sapevo che avrei potuto fare un allenamento intenso e in un’ora faccio circa 100 vasche, alternando velocità e stili.

Il lunedì e il giovedì sera quindi nuoto, il sabato vado a correre un’ora e la domenica mattina faccio una passeggiata in salita e discesa (alto dislivello) per 35 minuti circa. Quando – per qualche motivo – non riesco ad andare a nuoto, trovo il modo di correre per l’ora corrispondente.

Insomma: mi alleno. Non sono un mostro di velocità, cerco di non esagerare, ho un’età per cui non potrò mai diventare una campionessa (e non mi interessa nemmeno) ma mi diverto e soprattutto sono COSTANTE.

Mi sono fissata degli obiettivi settimanali, ovvero di non scendere MAI sotto le 3 ore di attività intensa di allenamento alla settimana. Che poi io vada a scalare l’Everest o corra nella pista sotto casa è indifferente ai fini dell’obiettivo di salute: l’importante è che io lo faccia e non perda il ritmo.

Quando torno dal nuoto spesso mangio come un lupo.

Il nuoto mi sta aiutando moltissimo a rassodare l’addome che – tra tutto – è la parte del mio corpo che più ha risentito del forte dimagrimento.

#pelle

Però: ho sempre messo accuratamente creme e olio di mandorla e mi sono regalata anche qualche massaggio. Quando riesco faccio addominali e esercizi di respirazione e grazie all’attività fisica, non sembro una fisarmonica né ho un’autostrada di smagliature.

Senza falsa modestia posso dire che – come quarantenne – ho un corpo armonico, i miei muscoli sono evidenti, la cellulite è nella norma e ho braccia e gambe molto toniche. Il seno ha subito l’attrazione della forza di gravità, certo, ma tutto sommato non è affatto messo male.

A volte mi racconto che sono fisicamente più in forma oggi che a 25 anni: non so se è vero, ma di certo non posso lamentarmi e alcune persone conosciute dopo la muta e senza saperne niente mi hanno anche detto frasi del tipo: “Si vede che sei una persona sportiva!” tanto da mandarmi in brodo di giuggiole.

CONSIDERAZIONI

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Lo sport è stato il motivo per cui – pur mangiando a volte anche tanto – sono continuata a dimagrire e mi mantengo in forma. Non serve affamarsi per perdere 2/3 chili, basta ricominciare a muoversi. D’altronde, chi – come me – di chili ne deve perdere più di 3, non deve assolutamente lanciarsi subito in allenamenti da campione del mondo. Servirà solo a far passare la voglia di fare la dieta e di muoversi! L’attività fisica fa bene ed è sana se è graduale, centrata su di noi e le nostre specificità e se ci piace. Quando troviamo la nostra dimensione impegnamoci, ma gradualmente, per aumentare la prestazione.

E a un certo punto troviamo il punto di equilibrio! Il mio punto di equilibrio sono 3 ore di sport alla settimana e un’alimentazione attenta ma senza rinunciare a qualche piacere.

Prendermi cura di me, partendo dal corpo, è la più grande scoperta che ho fatto a quarant’anni. Perché se il mio corpo è sano, lo è anche la mia mente. Lo dicono da millenni, ma io non avevo mai ascoltato profondamente 😉 Ora so che posso contrastare depressione, ansia, paure con lo sport e che se mangio bene sono più attiva e le giornate hanno tutte un altro sapore 😉

 

 

Il peso della discriminazione. Discriminazione per il peso

Una terribile violenza ha toccato un ragazzino perché obeso e subito dopo una politica belga è stata criticata perché – obesa pure lei –  è Ministro della Salute. Qualcuno si è chiesto se è credibile un Ministro della Salute che ha seri problemi di salute. Battista, sul Corriere, scrive un commento dal titolo: “Quegli insulti consentiti soltanto contro gli obesi” e oggi il dibattito si è aperto anche nella mia timeline di Facebook: un dibattito che mi ha fatto fare alcune riflessioni su un tema, che sapete, mi è molto caro.

Sabrina Ancarola (che gestisce il blog Mini racconti cinici) scrive:

Sono anni che mi batto contro la discriminazione ponderale e insieme a questo ho visto esempi meravigliosi di persone che hanno perso peso scegliendo il movimento che più ritrovava congeniale al proprio essere e una sana alimentazione. Ne parlavo anche con Giorgia Vezzoli che il tuo esempio è incoraggiante per molti anche perché tu, al contrario di altri, hai parlato senza giudizio della tua esperienza. Lottare contro le discriminazioni dovrebbe includerle tutte e questa appunto come dicevi appare subdola. Troppe persone giudicano, indicano facili ricette da applicare a tutti ignorando completamente le svariate cause che possono portare all’obesità. Anche stamattina ho sentito per l’ennesima volta che i grassi lo sono perché privi di volontà, che è colpa loro. Fra l’altro lo sfottò verso i grassi è giustificato perché molti pensano che questo possa essere uno stimolo affinché si decidono a porre rimedio alla loro condizione

Discriminazione ponderale.

Io non mi sono mai sentita discriminata professionalmente o umanamente dalle persone che mi conoscono per via del mio peso, ma di certo la strada – quando ero obesa – era molto più in salita. Le situazioni (o atteggiamenti) che sentivo come discriminatori riguardavano l’approccio al (mio) problema. Alcuni medici che ho incontrato lungo il percorso (non tutti, non sempre) non andavano oltre a banalissime considerazioni: “Sei obesa, ti stai facendo del male, devi dimagrire!” che sortivano il doppio effetto di farmi sentire una cretina (o almeno di darmi l’impressione che pensassero che fossi scema, dato che il loro riscontro non poteva essere che oggettivo e certe cose le vedevo anche io) e di farmi mangiare di più per “sedare” quel senso di disfatta. So che erano pieni di buone intenzioni, che tentavano solo di essere coerenti con le norme-ministeriali-per-il-contrasto-all’obesità ma sembrava davvero che affrontassero il problema con un approccio superficiale e doveristico. Nessuno, fino a quando non ho scelto io, mi ha mai chiesto perché fossi ingrassata, perché avessi un certo rapporto con il cibo e con il mio corpo.

Un’altra categoria particolarmente odiosa per me, per la mia sensibilità di donna obesa, era quella delle commesse dei negozi di abbigliamento. Non tutte, per carità, ma capitava spesso – quando “osavo” entrare in un negozio per donne “normali” – che qualcuna mi guardasse sprezzante e si lasciasse andare a commenti sarcastici legati all’impossibilità di vestire taglie oltre la 46. Non faccio una colpa nemmeno a loro, per carità, non mi aspetto che una commessa debba avere per forza un’attitudine alla psicologia, non è mica quello il suo lavoro. Però credo che siamo un po’ tutti troppo ossessionati dall’aspetto fisico e la divergenza alla norma non è socialmente accettata, il che non è un problema solo per le persone obese (o per chi è molto magro), ma lo è per chiunque non assomigli a un manichino.

Ci sono stati poi commenti cattivi di sconosciuti (spesso uomini, spesso anziani o ragazzini) qualche presa in giro (anche amichevole) e una lista infinita di momenti in cui mi sono sentita molto a disagio a causa del mio corpo (ma anche questo, forse, riguardava più la percezione di me piuttosto che la percezione reale degli altri).

Quando ero ragazzina (e pesavo tale quale a oggi, quindi ero tutt’altro che sovrappeso), qualcuno mi diceva che avevo la faccia troppo tonda (e per questo era meglio non mi tagliassi i capelli corti, non mi facessi permanenti anni ’80 o cose del genere), qualcuno sottolineava come – avendo io un seno importante – dovevo assolutamente essere molto magra se no sarei sembrata, comunque, paffutella.

A parte queste cose, non ho memoria  di discriminazione “diretta”. Di certo, mi hanno sempre infastidita le dichiarazioni di quanti e quante stigmatizzano e stigmatizzavano il grasso, come se una persona grassa certe cose non le può fare perché se no sarebbe incoerente (vedi Ministra). Mi ha sempre infastidito molto anche il fatto che se si parla di obesità, si finisca sempre per sottolineare quanto l’obesità sia “un costo sociale”. Non perché non pensi che sia così. Lo sappiamo tutti che i malati ci costano e una persona che si fa del male da sola (mi riferisco a chi è obeso non per cause metaboliche) diventa un peso per la società in qualche modo, ma questo insistere sul punto non è – secondo me – di nessun aiuto. Gli obesi diventeranno solo più obesi.

Perché l’obesità riguarda prima di tutto un approccio al mondo: in qualche modo le persone che si condannano a questo stato lo fanno per un profondo disagio (che non ha nulla a che fare con stupidità, tutt’altro!) e questo genere di argomentazioni le porterà solo a sentirsi più isolate, sole, a cercare ancora di “recuperare” attraverso il cibo.

Bisogna smetterla, secondo me, di mischiare troppi piani differenti. Quando si parla di obesità si fa un gran casino e si confonde salute con aspetto fisico e quando si “sprona” una persona obesa lo si fa, per lo più, senza alcun rispetto della sacralità del corpo dell’altro (e qui cito Silvia Sacchetti che una volta ha scritto che “il corpo è sacro”).

Dunque: una persona obesa (se vuole) dovrebbe dimagrire perché consapevole dell’importanza della sua salute. Ma per esserne consapevole bisogna iniziare a volersi bene e cercare di capire – profondamente – perché si è ingrassati, prima ancora di cercare di cambiare stile di vita.

L’aspetto fisico dovrebbe proprio passare in secondo piano. Dovrebbe passare in secondo piano per chi vuole uscire dal disagio e dovrebbe passare in secondo piano a livello sociale e culturale (questa la vedo dura, ma potremmo provarci tutti insieme no?).

Il rispetto del corpo (nostro) e degli altri, dovrebbe invece essere prioritario per tutti. Che tu sia magro, che tu sia grasso, che tu sia basso, che tu sia alto, c’è sempre qualcuno pronto a giudicare il tuo corpo. Siamo abituati a parlare del corpo degli altri, a leggere del corpo degli altri (le vip che mettono su cellulite, le vip che non sono al top della forma, le amiche che prendono qualche chilo, i conoscenti su facebook che postano una foto…) e a farlo con una disinvoltura che non ci permette mai di riflettere sul peso che possono avere  le nostre affermazioni.

E qui cito un post che mi ha colpito molto, di Lola  e che consiglio di leggere tutto:

Una ragazzina che viene in piscina con me quest’anno non ha ricominciato il corso.

Suo padre mi ha detto che “si è inquartata” (ingrassata, alla romana) e che anche se il medico ha consigliato di fare movimento, lei non è voluta tornare in piscina. “E poi peccato, perché era pure forte”, mi ha detto.

Ho pensato a quella parola: “inquartata”.

So per certo che lui non voleva usarla in senso dispregiativo e da come mi parlava mi è parso chiaro che fosse sinceramente dispiaciuto per la scelta della figlia. Il problema mio è che a certe cose, a certe parole, ci ripenso.

Lola sottolinea come anche quando si dice che “l’aspetto fisico non è importante” spesso si tratti di una frase vuota e concordo. Aspetto fisico, rispetto: quanto poco leghiamo questi due termini e quanto troppo ci attacchiamo alle divergenze per auto escluderci dal mondo e per escludere chi è diverso.

Come dice l’amica Giorgia Vezzoli serve un’educazione alla diversità, a tutte le diversità. Ci serve per accettare noi stessi e spronarci (davvero) a migliorare e stare bene, serve ai nostri bambini perché vedano un mondo a colori, senza accontentarsi dei troppi bianco e nero.

Serve un contesto in cui sei come sei e il cambiamento torna ad essere nelle tue mani, non in quelle di vuoti canoni estetici e nemmeno in quelle di una sanità che ripete a pappardella.

Serve un contesto in cui le varie Panzallaria possano arrivarci prima e meglio alla consapevolezza che il senso di inadeguatezza non è qualcosa che dipende dall’esterno ma solo da un modo di interpretare se stessi e che non esistono corpi (in)adeguati ma solo corpi “percepiti” e che è tutto nelle nostre mani.

 

Potevo essere io: di aria compressa, violenza e obesità

Una volta uno, quando pesavo più di 100 chili, ha fatto un commento con un amico mentre passavo. “Si fa prima a saltarla che a girarle intorno!”. Un’altra volta – stavo portando Frollina alla scuola materna –  mentre passavamo davanti a un bar con dei tavolini all’aperto e tanti anziani, uno di questi anziani ha chiesto (a voce alta, in modo che sentissi) al suo vicino se secondo lui ero solo molto grassa o incinta.

Frollina ha riso e anche io.

Perché a volte quando uno sconosciuto ti umilia pubblicamente per qualcosa di così evidente come il tuo peso, l’unica cosa che puoi fare è ridere. Ridi per non piangere, ridi per non affogare nella vergogna, ridi per non dargliela vinta. Stai quasi al gioco, in qualche modo, perché tu ti senti una persona migliore di tutte queste merdine che giudicano il corpo degli altri. Si, ho scritto e penso “merdine”.

Nessuno mi ha mai infilato un tubo d’aria compressa nel culo, però, quando ero molto grassa.

A un ragazzino di 14 anni è andata diversamente. 3 ADULTI (e sottolineo 3 ADULTI) di 24 anni, ieri hanno deciso di divertirsi un po’ con il “ciccione” e gli hanno sfasciato il colon violentandolo con un tubo di aria compressa.  Intorno a loro un sacco di gente a filmare la simpatica scenetta.

Il ragazzo è in prognosi riservata all’ospedale mentre i genitori dell’esecutore materiale difendono il gesto del figlio: “Era solo uno scherzo, un gioco”.

Ne abbiamo fatti tutti di scherzi, a 24 anni. Per esempio a me una volta mi hanno fatto fare una chiamata in diretta radio, che ancora dormivo. Un’altra volta sono stata io a tappezzare la casa di un’amica, per scherzo, di carta igienica.

Ma no.

Infilare una pistola d’aria compressa nel culo di una persona non è uno scherzo.

Per altro, ecco, a 24 anni non si dovrebbe avere bisogno della mamma e il papà che ti difendono: sei adulto, responsabile delle tue azioni, dovresti dircelo tu che cosa stavi facendo e perché.

Ma quelli che mi colpiscono sono i corresponsabili di questo gesto, ovvero i tanti che – smartphone alla mano – filmavano tutto o i passanti che ridevano, senza alzare un dito.

Insomma, quelli che mi colpiscono di più sono i tanti “noi” presenti: perché – come dico ai ragazzini a scuola, quando vado a fare educazione digitale e contrasto al cyberbullismo – per sviluppare anticorpi a questo genere di fenomeni, non basta puntare il dito, non basta dire “Io non lo avrei mai fatto!”.

Facile a conti fatti, quando si conosce tutta la storia, quando la cronaca ha già dato giudizi e trovato colpevoli.

Ma proviamo un attimo a metterci nei panni di uno che passa di lì per caso, magari  ha fretta, e viene richiamato da risate e urla.

C’è folla, c’è gente che ride.

Sembra quasi di stare al cinema.

Questo tizio che potremmo essere noi per un attimo rallenta il passo, guarda, capisce che sta succedendo qualcosa.

Questo tizio però ha fretta. Tutti ridono. Cosa starà mai succedendo? Probabilmente una ragazzata e lui deve rientrare a casa per preparare la cena.

Mettiamo poi che questo tizio, dentro le cui braghe ci siamo messi, è un ragazzino, non deve tornare a preparare la cena, non ha nemmeno tanta fretta a essere chiari.

Questo tizio, frequenta la scuola media o quella superiore, non lo so, non glielo ho chiesto,  magari ci ha pure un moto di disgusto.

Quelli “popolari” della scuola però ridono, quelli “popolari” della scuola però filmano. Sembrano allegri. Il ciccione è davvero uno sfigato.

Che senso ha – pensa il tizio – che io mi metta a urlare all’ingiustizia che poi finisce che me li metto tutti contro e la mia vita sociale è rovinata?

Ecco, io credo che noi dobbiamo tutti fare uno sforzo per pensarci a lungo dentro a una scena così, per chiederci cosa avremmo fatto e cercare di essere il meno ipocriti possibile.

Perché fino a quando daremo la colpa al contesto sociale “E’ successo in un quartiere degradato di Napoli, bella forza!” o ai genitori “Con un’educazione così, cosa vuoi che facciano certi individui?” o a una certa ideologia (il post è bello e condivisibile, ma io sul finale non sono tanto d’accordo) saremo sempre costretti a una ripetizione infinita di questi eventi.

Magari non cambia comunque un cazzo, ma l’unica cosa che mi sento di potere fare io è quella di affrontare questa bestia nera come qualcosa di connaturato anche a me, per capire come domarla e come cercare – nel mio piccolo di mamma – di fare in modo che Frollina non si senta mai nel diritto di giudicare gli altri e condannarli.

Viviamo in un mondo dove è quasi sempre tutto bianco o nero, lo vediamo in politica (“O sei con me o sei contro di me”), lo possiamo osservare – molto banalmente – su facebook: scrivi una cosa e c’è sempre qualcuno pronto a giudicare, a dire che è sbagliata o a credere che un commento estemporaneo al flusso della vita sia qualcosa di assoluto e dunque che sia lecito incasellarti.

Viviamo in un mondo dove le deviazioni allo standard spaventano, sono perseguibili: una persona grassa deve per forza essere stupida, una persona grassa deve per forza meritarsi di essere presa (in questo caso letteralmente) per il culo.

Lo dico anche per esperienza personale. Sono stata molto grassa. Oggi sono normopeso. Sono dimagrita abbastanza bene da non sembrare (fisicamente) di avere un passato da donna obesa. Ora qualcuno mi dice di fermarmi, di non diventare anoressica. Come se – per forza – se si cambia molto, si debba passare dall’altra parte della barricata e costringersi a stare male di nuovo, in un modo nuovo. So che la percezione della sottoscritta da parte degli altri è cambiata, so che per la maggior parte delle persone che conosco quel che ho fatto è ammirabile, stimabile. So che i miei amici sono felici. Ma vedo in alcuni anche la paura. La paura del nuovo, la paura del cambiamento.

Così come, quando ero molto grassa, riuscivo a vedere altre cose, alcune belle, altre brutte. E li sentivo quei giudizi lì, tagliati con l’accetta, dei tanti sconosciuti che incontravo sul mio percorso e che mi davano un colpo d’occhio e immediatamente decidevano due cose, ovvero che ero debole e stupida.

E no, non sono paranoie.

Credo che chi – come me – ci è passato, sappia bene l’umiliazione, sappia bene la vergogna, sappia bene la paura di confrontarsi con la certezza di avere perso in partenza.

Ma nemmeno io sono immune. Nemmeno io mi sento esente dalle tante domande che una storia terribile come questa mi pongono.

“Cosa avrei fatto io se fossi passata lì davanti?”

“Sono certa al 100% che mi sarei fermata, avrei chiamato la polizia, avrei fatto DAVVERO qualcosa per aiutare questo ragazzino?”.

Rispondermi che no, non ne sono certa, è l’unico modo che ho per rimanere una persona resistente.

 

 

Le montagne russe del cambiamento e un libro che ho scritto

Non sto scrivendo sul blog. C’è un motivo preciso che mi tiene lontana da qui e dirada contenuti su Panzallaria. Sto scrivendo un libro. Per la verità, la prima stesura (ma anche la seconda, terza e quarta) è già finita e sto lavorando di cesello.

Il libro riguarda la mia muta. Quella che ho chiamato dieta quando è iniziata ma dieta non è stata. Il mio percorso per diventare una persona normopeso dall’essere una donna obesa.

Ho scritto una specie di autobiografia forse. Un racconto del mio ultimo anno. Una storia di ciò che mi ha condotta a ingrassare prima e a dimagrire ora.

Non è stato facile, anche se la prima stesura è stata velocissima e urgente. E’ ancora più difficile rileggerlo, sistemarlo, tagliare e aggiungere. E non solo per motivi strettamente “editoriali”, ma anche perché questa narrazione ha fatto emergere molte cose, le ha messe in fila. Poi, potete immaginare che palle, ogni tanto, passare l’intera giornata a ravanare intorno al proprio ombelico 😉

Si perché mi ci sono messa di impegno. Quest’estate ho investito due mesi unicamente su questo progetto e tuttora sto investendo tempo professionale per farlo. Perché era una cosa importante per me e ho la presunzione di credere che sia una storia che va raccontata e – spero – letta.

Ma quando la racconti, la tua storia, è inevitabile che pezzi di narrazione portino fuori molte cose, non tutte belle. Non tutte positive. Finire questo libro è stato importante, tuttora lo è coltivarlo e limarlo, ma è davvero un lavorone, dal punto di vista psicologico.

Così faccio fatica a scrivere altrove. Sono molto concentrata.

Poi sono entrata in un’altra fase della mia muta. Non desidero più dimagrire ma mantenere il mio peso e il benessere fisico che questi 63 chili mi portano. Mi sono tagliata i capelli molto corti e adoro la mia nuova pettinatura.

Ma un corpo agile (e se vogliamo più grazioso) e il viso scoperto sono anche una novità assoluta a cui devo fare l’abitudine: ho perso 40 chili e non ho più la mia corazza. I miei occhi non possono nascondersi dietro la frangetta. Mi accorgo della diversa percezione che gli altri (sconosciuti e non) hanno di me. Mi accorgo del diverso sguardo delle persone.

Certi giorni, vuoi questo libro, vuoi le braccia sottili, mi sento estremamente vulnerabile. Certi giorni mi sento una donna “nuova” con la fatica di dovere fare i conti con un totale sbilanciamento rispetto a quello che ero. Pubblico e privato.

Insomma, non è sempre facile. Ciò non significa che io non sia felice, soddisfatta di quello che ho fatto. Ciò non significa che non pensi di essermi fatta del gran bene e che quella di dimagrire è stata la decisione più preziosa che ho preso per me, in tutta la vita.

Ma 40 chili sono una persona (e nemmeno neonata) che è scivolata via. E bisogna farci un po’ l’abitudine.

Tra il libro e questo, sono sincera, non è un periodo facile. Non mi strappo i capelli (che sono anche troppo corti per essere tirati;-), non ho crisi di panico, ma ogni tanto sono davvero una grandissima cacacazzi. Ogni tanto riesco a diventare così odiosa che mi sopprimerei da sola.

Ogni tanto mi prende il piglio incazzoso (tipo soldatessa al rientro dal Vietnam) e ogni tanto mi sento un passerotto che qualche crudele cacciatore ha tirato giù dal nido e pigola disperatamente la mamma morta.

Poi c’è questa cosa di chi mi dice che sto dimagrendo troppo. Che sono punti di vista, me ne rendo conto. Che capisco anche che uno poi che mi vuole bene, possa anche pensare che ci ho preso troppo gusto e che tutte queste ossa che adesso si vedono e le braccia più sottili (ormai non posso nemmeno sperare di riciclarmi nel settore agrario!) possano essere il segnale di non so quale malattia. E io faccio fatica a farci i conti. Perché mangio. Solo che mi muovo tantissimo. Che faccio sport. E a me hanno insegnato che quando si fa sport, si fa TANTO sport e ce l’ho iscritto nel dna e non faccio mica a malo modo eh? E continuo un po’ a dimagrire, è vero. Ma non so, penso che sia solo il mio corpo che sta tendendo all’efficienza massima. Sto bene.

Insomma, è TUTTO diverso. Sono diversa io, ma è anche diverso il mio modo di vivere ed è diverso il modo in cui sono percepita. E niente. Tra il libro e questo, mi sembra di stare sulle montagne russe. Ogni tanto.

Il libro non ha un editore. Per il momento lo hanno letto 4 persone. Due mi amano troppo per essere obiettive, ma gli è piaciuto. Ma una di queste persone è una editor che mi sta aiutando e dice che secondo lei è un buon libro.

Io voglio provarci insomma. Seriamente. Se non riesco a pubblicarlo di carta (e punto abbastanza in alto, sono sincera, bando alla finta modestia), lo pubblico da sola. Divento editore e lo metterò in vendita online, in qualche modo.

Insomma, il libro vedrà la luce. Su questo ho la certezza. Come, lo vedremo e costruirò nei prossimi mesi.

Io sono una drogata

Ieri, mentre correvo, di nuovo a Bologna dopo una bellissima vacanza (che presto racconterò) ho avuto una di quelle illuminazioni che si hanno quando si permette al cervello di girare libero, senza vincoli o flussi imposti. Succede quando corri, quando cammini, quando fai sport o qualcosa che ti piace e ti fa usare il corpo ma non costringe il pensiero alle briglie in cui di solito lo teniamo, per tutti i motivi della vita quotidiana.

E niente mi sono resa conto che correre per me è una specie di droga. Un po’ come prima era il cibo. Mi sono resa conto che non devo raccontarmi la fòla che io sono una persona equilibrata, non è mica vero.

Io non sono una persona equilibrata. Non è una tragedia. E’ inutile fare finta di essere diversi da quelli che si è. In Croazia, arrivati in un campeggio, ho avuto una mezza crisi isterica perché eravamo lontani dal paese e nel piccolo supermercato del Camping non c’era la verdura. Io avevo bisogno di verdura. Mi sono sentita mancare la terra sotto i piedi. Sentivo che se non avessi mangiato le cose a cui ormai sono abituata avrei fatto un danno enorme al mio corpo, probabilmente avrei ripreso questi 38 chili in una notte.

Non è certo da persone equilibrate. Ma sicuramente sono io quella lì che ha crisi isteriche per queste cose. Oggi io ho bisogno di controllo, di controllo sul mio corpo attraverso il mio stile di vita. Non vuole mica dire che io non sgarri mai la regola eh? Mi sono goduta un sacco di konobe croate, in vacanza. Di gran gusto. Però ho sempre pensato alle cause e agli effetti. Ho corso per poter sentire che mantenevo il controllo della situazione. Mi sono depurata. Ho rinunciato a qualcosa in cambio di qualcosa d’altro.

Io sono una persona tossica. Tenderò sempre a essere una persona affascinata dalle droghe. Infatti fumo. Infatti all’università, per un buon periodo, mi sono ammazzata di canne.

Infatti ho mangiato troppo, troppo a lungo.

Sono io.

Infatti adesso se non corro ogni due giorni mi sento un leone in gabbia. E’ la mia droga. Il mio contenimento. Il mio pusher di equilibrio psicofisico. Non corro forte. Non corro molto. Ma amo correre.

Amo come mi fa sentire. Amo come mi fa pensare.

E – soprattutto – amo il fatto che mi aiuti a mantenere il controllo della mia bilancia. Che, diciamoci la verità, è una bilancia davvero generosa: non ho guadagnato un etto durante l’estate, malgrado abbia attraversato periodi di rilassamento dietetico.

Oggi peso 64 chili.

Sono all’inizio di un percorso di scoperta di me stessa. Della nuova me stessa. Che sta facendo l’abitudine allo stare bene, al sentirsi bene nel proprio corpo. Che comincia a domandarsi “Ma come facevo prima?” perché un po’ si sta dimenticando cosa significasse pesare una tonnellata.

Sono una persona poco equilibrata che tende all’equilibrio, una persona depressa che tende alla felicità e una persona felice che tende alla depressione.

Sono così. Non è una tragedia.

Di corsa. Scrivo.

E’ più di un mese che non scrivo. La buona notizia (almeno per me) è che non sono morta 😉

Sono andata via con Frollina. Al mare in camper. Poi ho scritto. Non sul blog.

Cioè, da un po’ avevo questa idea di mettere nero su bianco tutto quello che mi è accaduto negli ultimi mesi, la mia muta, come sono riuscita a perdere 38 chili (ebbene si, sono arrivata a quota 38, oggi peso 64 chili 😉 e di farlo con lo scopo di preparare un mini libercolo che non è un manuale, non è nemmeno un romanzo, ma ci assomiglia. La mia storia. La storia di come sono ingrassata e come sono dimagrita.

Ne è venuta fuori una prima bozza: 70 pagine da rivedere, correggere, aggiustare. 70 pagine che sono maturate in me in tutti questi mesi. Obiettivo? Lavorare di cesello, sistemare e poi provare a mandarlo a qualche casa editrice. Proverò prima con quelle che pubblicano libri di carta, che per una volta (e non solo per lavoro), vorrei uscire dal digitale. Poi se dopo averlo mandato in giro, fatto leggere, non piacerà a nessuno, bon, almeno ci ho provato.

Sono molto contenta, intanto, di avere fatto quello che volevo fare, ovvero scrivere. Che ne avevo urgenza.

Per il resto, quest’estate è molto diversa dalle ultime: prima di tutto perché il mio umore è molto migliore. Sono sempre stata soggetta ad attacchi di depressione in estate. Piccole cose, ma ho avuto giornate pesanti gli anni passati.

Questo 2014 sta andando decisamente meglio. Un po’ c’entra il sentirmi bene nel mio corpo, un po’ c’entra il camper che ci porta (e porterà) in giro, un po’ c’entra la muta – in generale, l’ufficio, una nuova lucidità professionale, tanti rami secchi che sono stati definitivamente tagliati.

Poi vedo un sacco di movimenti positivi tra le persone a cui voglio bene: piccole e grandi scelte, momenti decisivi. E in questo generale clima, mi sento molto fiduciosa e positiva.

C’entra anche la corsa. Correre è diventato il mio esercizio di igiene mentale. Non riesco più a farne a meno. Devo andare a correre almeno 3 volte alla settimana e non perché pensi che senza non potrei rimanere in forma fisicamente, ma soprattutto perché mi fa stare bene mentalmente. Cioé, correre mette in sesto il mio corpo e un corpo in sesto sostiene meglio una mente equilibrata.

Si corre per un sacco di motivi o per nessuno. Si corre pensando a un sacco di cose. O a nessuna. Io corro per la mia igiene mentale.

Corro preferibilmente al mattino, ma ci sono giorni, come ieri, che vado alla sera. E alla sera, per esempio, faccio tanta più fatica. A volte – come ieri – mi viene male alla milza, a un certo punto. Mi sembra di non riuscire a muovere un passo in più. E inizia la lotta per superare i miei limiti. Se sento qualche dolore (e capisco che non si tratta di qualcosa che mi obbliga a smettere), rallento ulteriormente il passo (da lumaca a pile passo allo stadio lumaca a vapore), cerco di sciogliere i muscoli del corpo e di coordinare al massimo la mia respirazione. Superare qualche piccolo limite ad ogni allenamento è il mio personale modo di mettermi alla prova, di valutare le mie forze e affrontare la PAURA, che nella vita mi ha sempre costretta con i piombi ai piedi, molto più di quanto avrei voluto.

Mentre corro, non sempre penso a qualcosa in particolare. I pensieri arrivano da soli, senza essere chiamati. Certe volte mi vengono in mente scampoli del mio passato (anche remoto), persone che non vedo da anni, di cui non so più nulla. Ci sono allenamenti che scrivo intere pagine di questo blog, nella mente. E lettere. E illuminazioni. E nuove idee per il lavoro.

Mentre corro è tutto molto intenso: la luce che mi colpisce la faccia, le lacrime di sudore che scendono lungo il collo, il mio respiro, i miei muscoli, i piedi, la strada come cambia.

Mentre corro mi ricavo uno spazio tutto per me. Ci sono momenti in cui l’unico pensiero è seguire il mio ritmo, aumentare intensità, aumentare distanza, aumentare durata e ci sono momenti che corro per svuotarmi di tutte le tossine e tornare nuova come un neonato.

Sto imparando molte cose di me, a correre. E queste cose non riguardano solo la corsa, ma la vita in generale, come la affronto. In fondo quando corri compi un percorso, un piccolo percorso lungo quello che è iniziato quando sei nata.

E quindi è interessante, per me, osservare il mio approccio all’allenamento, alla strada.

Ho corso anche in vacanza, ritagliando un po’ di tempo a Frollina.

Ed è stato bello sentire l’odore del mare così vicino, guardare l’azzurro mentre macinavo un chilometro in più, sentire l’endorfina spandersi per ogni parte del mio corpo, con quella scarica di gioia, di intenso entusiasmo che mi accompagna quando corro e sto bene.

Tra un po’ si riparte: tutti e tre insieme. Andremo a zonzo con il camper. Spero di fare molti bagni, di incontrare molte persone, di scoprire molte nuove cose.

E di correggere il mio libro.

Poi si vedrà. La vita è piena di occasioni e io ora so che voglio cercare di cogliere al meglio le mie.

Buona estate!

Quel che fa dimagrire è lo stile di vita, non la dieta

Ve le ricordate le polpette bavaresi?

Fantozzi deve dimagrire e va in questa clinica gestita dal professor Birkermaier.

Lo affamano e mettono alla prova di continuo: 20 giorni di digiuno totale in cella e al sesto, la TERRIBILE prova delle polpette bavaresi.

Questa è una delle scene più ricordate della celebre saga di Fantozzi e ultimamente mi è venuta in mente spesso quando qualcuno mi chiede della mia dieta, come ho fatto, cosa ho mangiato e cosa sto mangiando oggi.

Arrivata a -34 chili persi, ogni tanto qualcuno mi ferma per strada (vicini, vecchi conoscenti, commercianti della mia zona) per farmi i complimenti e non nasconde un certo allarmismo: “Ora basta, fermati. Ma stai mangiando vero? Non è che ti ammali???”.

Oppure c’è chi, come mia suocera, è stupita dal fatto che io sia riuscita a dimagrire tanto, perché secondo lei mangio tantissimo per essere a dieta. Ieri sera siamo andati a cena fuori con lei e io ho preso una tagliata di manzo con l’insalata: il pezzo di carne era grosso e me lo sono mangiato davvero di gusto. Lei, a fronte del suo piatto di tortellini, patatine fritte, crema fritta, crescentine fritte, mi ha detto che “Certo che mangi un bel po’ per essere a dieta!”. Le ho spiegato che la qualità dei cibi, i condimenti e la relazione tra quello che mangiamo in una giornata sono molto più importanti della quantità. Le ho anche detto che io sto molto attenta a fritti e carboidrati, che non mi privo di un buon piatto di pasta, ma MAI a cena e MAI se ho mangiato altri carboidrati nel corso della giornata.

Lei allora ha concluso con un: “Quando sarai stanca, ricomincerai a mangiare!” come se il mio percorso avesse una data di scadenza.

Questo scambio, così come quelli che recentemente ho sempre più spesso con tante persone, mi hanno fatto riflettere sui luoghi comuni collegati ai forti dimagrimenti come il mio e vorrei sfatare qualche mito sulla dieta di una persona che deve perdere molti chili.

  1. Una persona molto grassa, per dimagrire deve praticamente smettere di mangiare. Non è vero. Una persona molto grassa, per dimagrire e sperare di rimanere in forma successivamente alla dieta, deve prima di tutto cambiare stile di vita, capire cosa gli fa male e sviluppare una profonda cultura del proprio benessere e degli effetti di tutti i cibi.
  2. Una persona – se ha perso molti chili – ha sicuramente fatto una dieta DRASTICA e rischia di diventare una fissata con il cibo, mangiare pochissimo e ammalarsi, senza capire quando deve fermarsi.  Anche questo è – per la maggior parte delle persone – falso. Una persona che nel giro di un periodo medio lungo ha cambiato il suo stile di vita, tende NATURALMENTE verso il suo peso forma.

Per dimagrire molti chili, non bisogna mettersi nell’ottica che saremo soggetti a innumerevoli e crudeli privazioni.

In passato ho fatto così ed è sempre stato fallimentare. Pensare che ti stanno togliendo qualcosa che è un tuo diritto (si tratti della cioccolata spalmabile, di un piatto di tortellini o della colazione al bar al mattino) è il modo peggiore per affrontare un percorso di dimagrimento e anche se ce la farai, stai certo che appena raggiunto il tuo risultato, ricomincerai a mangiare uguale e più di prima.

Rendersi conto di quello che mangiavi prima di cambiare vita, quali errori facevi nell’associare i cibi, quale disattenzione mettevi nello zuccherare il caffè e CAPIRE profondamente che tutte queste cose non fanno solo male a te, ma fanno male in generale a tutti e bisognerebbe evitare certe abitudini, è il primo passo per dimagrire sul serio. Perché solo senza data di scadenza, lo stile di vita cambia sul serio.

Potrai fare ore e ore di sport, ma se il tuo fine è solo quello di dimagrire, all’arrivo del prossimo inverno tornerai a spiaggiarti sul divano (come ho fatto io per anni). Potrai mangiare sano per mesi, ma se il tuo obiettivo è la prova costume, alla fine dell’estate la pancetta tornerà a chiederti conto e i tanti sacrifici che hai fatto si disfaceranno alla prima cena aziendale.

Bisogna bandire alcune parole dal nostro vocabolario di persone che vogliono cambiare per stare bene, che vogliono perdere i troppi chili accumulati e queste parole sono:

  • dieta
  • sacrificio
  • peso forma

Essere in forma (vale a dire stare bene con se stessi e il proprio corpo) significa prima di tutto avere attenzione per quello che facciamo fare al nostro corpo. Mangiare bene (ovvero calibrare i carboidrati e scegliere quelli che non ci infiammano), fare un po’ di movimento (vale a dire non uccidersi di sport per due mesi per tornare sul divano, ma iniziare un’attività moderata e costante) e ascoltare i tanti segnali che ci dà, sono il modo migliore per iniziare il cambiamento che stiamo cercando.

Non esiste la prova costume per una persona che ha tanti chili da perdere. Non deve esistere. Non esiste nemmeno il controllo delle calorie che stiamo perdendo correndo. Cioé, anche io quando finisco la mia sessione, guardo compiaciuta quanto ho consumato sulla APP che utilizzo, ma è assolutamente secondario: corro perché mi piace e per quella meravigliosa sensazione che provo durante e dopo la corsa. Mi sveglio alle 6 per andare a correre ma non è un sacrificio, è un nuovo modo di volere bene al mio corpo e al mio cuore.

E anche quando raggiungerò il peso ideale per me, continuerò a correre, perché mi fa bene.

Se cambi la prospettiva e cominci a pensare al cibo come a una fonte di energia e a valutare i cibi in base a questo parametro, non sarà più un sacrificio mangiare una fetta di carne al posto di un piatto di tortellini e saprai anche valutare quando è il momento giusto per mangiare quel piatto di tortellini.

Non sarà più un sacrificio rinunciare alla colazione al bar: magari alla sera ti aspetta un’ottima grigliata di pesce con gli amici, e allora perché affaticare stomaco e fegato con la colazione?

Dimagrire molti chili NON significa smettere di mangiare. Lo ripeto. Chi mi frequenta lo sa, non ho mai smesso di mangiare, nessuno mi ha mai vista cibarmi solo di carote scondite.

In tutti questi mesi, anche all’inizio del percorso, ho sempre mangiato di tutto, nelle giuste quantità e scegliendo accuratamente i cibi. Con “di tutto” intendo ovviamente cibi sani e salutari, quindi non dolci, non bevande gassate o zuccherate, non bevande alcoliche, non carboidrati complessi o con troppo lievito.

Oggi se mi mettono davanti un panino alla cioccolata e una bella insalata, scelgo COMUNQUE l’insalata. Il mio corpo lo sa quello che gli fa bene e sa che dopo un gustoso panino alla cioccolata, sentirei quel fastidioso rigonfiamento addominale che gli impedirebbe di essere davvero in forma e reattivo.

Lo stile di vita è qualcosa che dovrebbe accomunare tutte le persone che hanno a cuore la propria salute e non ha nulla a che fare con l’essere sovrappeso o meno. Non è una punizione ma un dato di fatto oggettivo dello stare bene.

Io sto mangiando (lo dico anche per rassicurare quanti continuano a vedermi dimagrire e pensano sia diventata anoressica a 40 anni 😉 e mi piace molto mangiare. So che sarò sempre borderline, ma sono anche certa che ora che sto bene e che rimarrò attaccata con lo stomaco, i denti e la testa a questo stato.

Attualmente mangio circa 1500/1600 calorie al giorno ma continuo a dimagrire.

Perché?

Credo che sia perché il mio corpo si è attivato, perché il mio peso giusto, per stare bene, sarebbe circa 62/63 chili e sto naturalmente tendendo a quello attraverso il bene mangiare, il bene vivere e il movimento.

Stamattina pesavo 68 chili, ultimamente dimagrisco circa 2 chili al mese. Sono serena, non ho alcuna ansia di quando raggiungere i 62/63 chili ma sono quasi certa che se continuerò con questo stile di vita (che è ormai la mia vita) prima o poi ci arriverò.

E quello che mi sento di dire a quanti leggeranno questo post perché devono perdere tanti chili è prima di tutto che il cambiamento passa attraverso un’analisi di quello che rappresenta per noi la parola “dimagrire”. Se la prima cosa che ci viene in mente, pensando a una dieta, sono le polpette bavaresi di Fantozzi, lavoriamoci sopra.

Perché non è a quello che dobbiamo tendere 😉

 

La dieta come viaggio interiore: ne parlo sabato alle 17.30 a Bologna

La dieta come viaggio interiore, come opportunità di andare nella direzione in cui desideravo. La dieta narrata attraverso il blog come momento di condivisione per riflettere su un percorso di cambiamento radicale. La condivisione come viaggio collettivo, come opportunità per sentirsi un po’ meno “monadi” di fronte alle naturali imperfezioni e sbavature di ogni vita.

Di questo cercherò di parlare sabato, alle 17.30, in Piazza Re Enzo a Bologna.

Sono infatti stata invitata a partecipare all’evento di presentazione del progetto La città delle donne, inserito nell’Agenda Digitale del Comune di Bologna, nell’ambito di It.a.cà, il Festival del Turismo responsabile che si tiene in città dal 30 maggio all’8 giugno 2014.

Il Festival ha un programma ricchissimo e questo evento, in particolare si intitola: “La città delle donne: letture e racconti di viaggio al femminile con scrittrici, narratrici, giornaliste e blogger”.

Insieme a me ci saranno:

  • Leda Guidi,  responsabile dell’Agenda Digitale Comune di Bologna
  • Giancarla Babino di “Permesola, autrice della Guida Roma Women Friendly
  • Isa Grassano, giornalista di viaggi, autrice di “In viaggio con le amiche” e del blog “Amiche si parte!?”
  • Francesca Sanzo, alias Panzallaria, storyteller
  • Milena Marchioni, travel blogger, fondatrice del blog “Bimbi e Viaggi
  • Marcella Terrusi, autrice di Albi illustrati

A seguire, Bologna, “Viaggi a fumetti: Itinerari artistici di casa in casa”
Un itinerario a piedi tra coworking, gallerie e studi delle fumettiste bolognesi, un percorso inedito alla scoperta di Bologna attraverso le case ed i laboratori delle artiste bolognesi.

Per saperne di più, la pagina dell’evento su Iperbole2020 e tutte le informazioni sul progetto La città delle donne:

Progetto di editoria digitale che comprende una guida di viaggio multimediale, e al femminile, della città, che ha l’obiettivo di valorizzare sguardi inediti sul contesto urbano e promuovere le reti e la produzione creativa femminile.

Spero di vedervi in tantissime e tantissimi. Specie chi, in questi mesi, mi ha coccolata, con tanti commenti ai post dedicati al mio percorso di dieta.

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