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Cambiare fuori per cambiare dentro, cambiare dentro per cambiare fuori

Quello che state per leggere lo ha scritto Gloria Bevilacqua, persona che stimo molto e che in questo percorso di muta che sto facendo, ha saputo trovare parole giuste e riflessioni a cui io ancora non ero arrivata. Mi ha regalato, anzi – ci ha regalato – questo articolo, che penso sia una perla preziosa per tutte le persone che stanno cercando di cambiare, si tratti di una dieta o dell’idea di sé.

Cambiare fuori per cambiare dentro, cambiare dentro per cambiare fuori

La continuità ci dà le radici;

il cambiamento ci regala i rami,

lasciando a noi la volontà di estenderli e di farli crescere fino a raggiungere nuove altezze”

Pauline R. Keze

Di mestiere mi occupo di cambiamenti, organizzativi con le aziende e interiori con le persone che vengono da me quando faccio la psicoterapeuta. In entrambi i casi il mio contributo è la facilitazione, il superamento di ostacoli e molto spesso la possibilità di riflettere su quanto sta accadendo per dare significato all’esperienza.

Forse per questo quando leggo e ascolto Francesca raccontare del suo percorso di alleggerimento non posso che sentirmi felice per quello che sta facendo per se stessa e per la sua vita. E anche per quello che un cambiamento di questo tipo può innescare nella vita delle persone che la conoscono di persona o che la frequentano nel mondo virtuale.

Certo è che un percorso di cambiamento così profondo non è semplice da affrontare e non si può ridurre a delle mutazioni di cibo ingerito, peso perso, taglia cambiata o forma fisica. Quando il nostro corpo cambia -è inevitabile- cambiamo anche noi.

Magari non ce ne accorgiamo, forse perché questo avviene per micro modifiche o forse la nostra attenzione è indirizzata ad altro. Fatto sta che i mutamenti di forma portano spesso a vere e proprie metamorfosi e che forse occorre farci caso per indirizzarli verso quello che vogliamo diventare, verso quello che decidiamo di essere.

A volte è sufficiente fermarsi e aspettare che il cambiamento esteriore generi un movimento interno, un po’ come in quel racconto di Chatwin. Avete presente?

Un gruppo di viaggiatori deve raggiungere un certo punto nella foresta e lo fa con i portatori autoctoni, questi camminano e camminano ma a un certo punto si fermano e non c’è verso di farli proseguire. Alla richiesta di chiarimenti su questa impossibilità a procedere nonostante la luce rispondono: “Per dare tempo alle nostre anime di raggiungerci”.

Tempo per stare a maggese, per riposare, per lasciarci il tempo di “lievitare” prima di prendere la forma definitiva…come peraltro permettiamo di fare al pane, ma spesso non a noi stessi. Un tempo necessario soprattutto quando siamo i protagonisti di scatti di crescita in direzione di noi stessi, che mutano inevitabilmente anche i nostri scambi con gli altri, le nostre relazioni, la nostra professionalità.

A volte le aspettative -nostre e degli altri- ci confondono e fare chiarezza mentre costruiamo il nostro prototipo di donna non è facile, non c’è nessuno che ci può dire se la direzione è quella giusta.  Quando usciamo dalle tabelle peso/altezza e dai parametri medici non ci sono definizioni unitarie che possano magicamente risolvere la questione. Ci siamo solo noi a fare i conti con noi stessi e forse questi conti siamo poco abituati a farli nel quotidiano, preferiamo posticipare le valutazioni a non ben precisati momenti futuri.

Vedo persone che quando cominciano dei percorsi di rimessa in forma e in forza perdono il contatto con il reale e si trasformano in automi stonati che replicano modelli già visti: troppo magri, troppo grossi, troppo truccati, troppo rifatti, troppo. Maschere che allontanano dalla loro reale autenticità, che però si intravede sotto strati di comportamenti e strategie pensati apposta per nascondere e nascondersi.

E dire che a volte basterebbe farsi delle domande, senza trovare per forza le risposte. Domande per sentirsi da dentro, come queste:

  • come mi sento nel mio corpo?

  • il mio corpo riesce a farmi fare quello che mi serve? funziona?

  • cosa mi piace fare? come mi sento quando lo faccio?

  • cosa so fare? le conosco le reali capacità di questa “macchina” o faccio riferimento a quello che gli altri dicono di me o a quello che ho fatto nel passato?

  • cosa significa per me salute? bellezza? efficienza? benessere?

  • la mia immagine esterna corrisponde con quello che sento dentro di me? la mia faccia? i miei capelli? posso fare qualcosa per raggiungere una sintesi più soddisfacente?

  • quello che indosso mi facilita la vita? mi rappresenta? mi piace?

  • come sto quando mi sento bene? con chi sono? cosa faccio?

  • come sto oggi? adesso? qui?

  • cosa cambia il mio cambiare fisicamente? con chi? quanto?

  • che pensieri mi accompagnano?

  • dove (davvero) voglio arrivare? perchè?

Per una volta non problemi ma la costruzione di una nuova forma di efficienza personale, fisica, emozionale, mentale.

A me piace pensare a questo processo in termini di costruzione di una nuova armonia, una parola che viene dal greco e significa disposizione, proporzione, connessione. Ha la medesima radice [ar-] che indica unione e disposizione, comune anche ad “arte” e “aritmetica”. Lo collego all’armonia musicale, alla ricerca continua e costante di quello che funziona in modo mobile e sperimentale.

Non facile, ma bello.

Gloria Bevilacqua

https://www.facebook.com/Attivazione

https://twitter.com/gloriabevil

 [Foto in Licenza CC – flickr – Filippo Angeli]

Quel camorrista in fuga di mio suocero

Mio suocero guida come un camorrista in fuga: percorrere 40 chilometri in auto con lui ti da il tempo di guardare scorrere tutta la tua vita e ti fa rivalutare molte cose che non avevi considerato.

L’amato nonnetto fa parte della categoria dei “sempre verdi”: coloro che esercitano la propria giovinezza interiore scattando veloci al verde semaforico per posizionarsi stabilmente e costantemente alla sinistra estrema della propria carreggiata.

Non perde la calma lui. E se tu gli fai presente che potrebbe stare a destra, ti risponde candidamente che tanto le vede arrivare le macchine, di non preoccuparti.

Tu abbozzi un mezzo sorriso nervoso (che assomiglia tanto a una paresi), guardi tua figlia sul sedile posteriore con occhio dolce per non comunicarle ansia (intanto pensi alla sua tenera e giovane vita, messa a repentaglio così, dallo spirito d’avventura del grande vecchio) ti attacchi alla portiera come se fossi al Camel Trophy e spingi con i piedi a comandare invisibili pedali (specialmente frenanti!)

Forse questo bisogno di cambiamento che ti attanaglia da qualche mese è giunto a un punto di non ritorno.

Se sopravvivi devi dimagrire. Se sopravvivi devi pianificare meglio e con maggiore concretezza la tua “carriera” professionale. Se sopravvivi devi cominciare a viaggiare, uscendo dall’incantesimo “Vecchiume” che ti ha bloccato per qualche anno, schiava delle tue inutili preoccupazioni e catene.

Se sopravvivi sarai una persona migliore, una madre migliore, smetterai di prendertela per i nonnulla, comincerai a dimostrare il giusto sdegno di fronte alle cose importanti.

Se sopravvivi taglierai le catene, i cordoni ombelicali inutili, le formalità senza senso. Se sopravvivi non ti metterai mai più in situazioni che non ti rappresentano e che poi ti ingabbiano, con la rabbia di sapere che la gabbia l’hai arredata tu.

Giungi sotto casa. Tua figlia dorme placida, incosciente del pericolo appena sventato. Lui fa inversione per permetterti di scaricare le ennemila cose che ti tenevano attaccate all’incantesimo Vecchiume e proprio mentre ti rendi conto che si, sei sopravvissuta, un rumore secco come di ramo spezzato fa breccia nella tua testa. Ti volti di scatto a sinistra, da dove quel rumore proviene e ti accorgi che in un colpo solo è riuscito a salire sul marciapiede e a staccare di netto lo specchietto retrovisore di un’auto. Sei già lì che valuti tutta la trafila della confessione, il tuo ruolo attivo nell’incentivare il pentimento parentale, quando ti accorgi che lo specchietto che ha staccato è proprio quella della tua auto, la mitica ‘Unto da rottamare, parcheggiata sotto casa ormai in coma vigile.

Mentre prendi in braccio tua figlia per portarla nel suo letto, al sicuro nel tuo appartamento, tra i miagolii dei tuoi gatti grati del vostro rientro, sono due le certezze che hai:
1) tagliare tutte le catene che ti sei (vi siete, come famiglia, come coppia) imposte
2) sperare che al prossimo rinnovo della patente, in qualche modo, qualcuno fermi il camorrista in fuga.