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Sulla pelle delle bambine

Come vi ho già raccontato in altri post mi arrivano spesso mail promozionali non richieste (leggi: SPAM).

Alcune semplicemente le cestino.  Altre mi colpiscono come pugni nello stomaco. Quasi sempre perché dimostrano una piena adesione al “nuovo” modello femminile che sta prendendo il sopravvento. Abbiamo fatto un salto indietro di almeno 50 anni in quanto a immagine della donna e la forbice delle persone/target prese di mira dalla pubblicità si è così allargata che ormai anche le bambine sono delle piccole donne. Anzi no. Piccole consumatrici che devono aderire al modello povero e estetizzato di donna.

Ecco allora che se ricevo una mail come quella di cui vi cito l’incipit, come mamma, come persona e come donna TREMO.

Che sia difficile uscire dal ruolo di consumatori è chiaro, che noi come consumatori possiamo esercitare spirito critico e decidere di mettere davanti alla proposta patinata il VERO benessere dei nostri bambini lo è altrettanto.

Nessuno può impedire a questi MARCHI di vendere questi prodotti, ma noi genitori possiamo SCEGLIERE di non acquistarli, di mandare un segnale forte per cambiare il trend.

Siamo sicuri che sia proprio questo che serve al benessere delle nostre figlie?

Buongiorno Francesca,
avremmo desiderio di inviarle un campione della nostra nuova crema per bambine “…”.
Saremmo felici se tu la provassi e, se ti piace, condividessi le tue opinioni con i tuoi lettori. Si tratta infatti della prima crema appositamente studiata per bambine: non un prodotto per bebè, ma per “piccole signorine” dai sette-otto anni in su.
A quell’età le bambine iniziano ad imitare le loro mamme davanti allo specchio, si mettono le creme, si truccano….è l’età ideale per insegnare loro, per gioco, gesti e abitudini che saranno importanti per il loro futuro benessere. Ad esempio, l’abitudine di proteggere e idratare la pelle del viso.

Domande/affermazioni che girerò anche privatamente a chi mi ha mandato la mail:

  • perché una crema dovrebbe rivolgersi solo alle bambine e non ai bambini? Se l’obiettivo è il benessere della pelle, il sesso non dovrebbe fare distinzione.
  • le bambine a 7/8 anni sono bambine non piccole signorine

E voi cosa ne pensate?

Spero che siano contenti: per la prima volta ho risposto all’appello del marchio e ho realmente parlato sul mio blog del loro prodotto. E non hanno nemmeno dovuto inviarmelo.

 

Blogger, digital P.R, strategie Social: spiegare questo lavoro a mia nonna

L’allenamento migliore è stato tentare di raccontarlo a mia figlia. La domanda “che lavoro fai?” mi ha messo in crisi per anni, difficile spiegare alla nonna che lavori con l’internet. La riflessione più seria l’ho fatta chiacchierando con un’amica che fa un lavoro molto simile e che una volta ha detto: “In fondo quello che facciamo noi è pubblicità, la puoi raccontare come vuoi, ma quello è!”.

Ci ho messo mesi per elaborare la tagline di questo blog, spiegare in pochissime parole il cuore della mia professione. Ora però voglio spingermi oltre e cercare di mettere in fila (come se lo spiegassi a mia suocera) cosa significa fare la blogger professionista e occuparsi di Digital P.R e Strategie Social. Continua a leggere

Wired e le donne

[Si può davvero parlare di innovazione e di come cambiare il mondo cadendo in questi triti stereotipi?]


In famiglia siamo abbonati a Wired Italia dal primo numero, di febbraio 2009. Entrambi ci occupiamo di web e Media, gli argomenti trattati ci interessano molto. Io seguo progetti editoriali dedicati all’innovazione: naturalmente Wired è una fonte preziosissima.

Mi dispiace però constatare (e ormai accade, puntualmente, mese dopo mese) che lo spazio dedicato all’innovazione al femminile è molto esiguo. Mi è piaciuto molto, ad esempio, l’articolo sulle Dieci tecno-donne da tenere d’occhio  del mese di agosto 2011, in cui si rilevano nomi importanti nel panorama innovativo mondiale, questi contributi sono però una rarità: sfogliando e leggendo la rivista si ha la sensazione che il panorama della cultura “geek” in Italia, ma non solo, sia dominato dai maschietti.

E non è solo una questione di temi.

Le firme della rivista sono per la maggior parte di uomini e basta guardare alla pagina che ogni mese viene dedicata ai collaboratori, per rendersi conto che i volti femminili sono sempre molto pochi, se non assenti.

Se è vero che le Start Up sono prevalentemente fondate da uomini (nel 2011 87% uomini contro 13% donne – fonte Mind the Bridge) è pur vero che esistono molti casi di eccellenza e che i progetti per favorire l’uso delle tecnologie e la messa in pratica della propria creatività innovativa che si rivolgono alle donne sono moltissimi  e sarebbe interessante dare conto anche di quelli.  Mi viene in mente, per restare in Italia, Daniela Ducato, vincitrice del Premio “Miglior innovatrice 2011” di Itwiin Italia 2011.

Questo mese, però, durante il consueto censimento mentale che faccio – mentre scarto la rivista dal cellophane – degli articoli che riguardano le donne o parlano di progetti di donne, ho dovuto ricredermi.

Un’intera pagina – anche se in battuta finale – è dedicata a noi.

Inutile dire che ho immediatamente segnalato allo IAP: non credo che un “culo” usato per appoggiare una bella carta da gioco sia davvero sostanziale per vendere l’amaro. Inutile dire che se volete farlo, potete anche voi.

Inutile ricordarvi che siamo tutti CONSUMATORI ATTIVI e possiamo decidere di non acquistare prodotti che ci offendono o promuovono un immaginario stereotipato e che come LETTORI possiamo scrivere a Wired e chiedere conto delle sue scelte inserzionistiche per decidere attivamente.

Non so perché, ma unendo i puntini, come donna comincio a sentirmi davvero a disagio nei confronti di questa rivista.

Si può davvero parlare di innovazione e di come cambiare il mondo cadendo in questi triti stereotipi?

Per segnalare allo Iap

  • precisare che si tratta della pubblicità “ToiletPaper” di Di Saronno, pubblicata in III di copertina di “Wired” , gennaio 2012
  • se volete potete inserire il link alla foto che ho fatto della pubblicità in rivista

Women in digital

Approfitto del tema per segnalare un interessante convegno, a cui io mi sono già iscritta che si terrà a Bologna il 20 gennaio 2012, al MaMBO:

Women in digital: donne e ICT hanno molto in comune

Piccoli stereotipi crescono

Ieri io e il mio compagno siamo andati in un negozio di giocattoli. Domenica la nostra bambina compie 5 anni e volevamo dare un’occhiata, pur avendo già le idee molto chiare su cosa regalarle.

Sono arrivata all’appuntamento con il non marito in anticipo e così mi sono messa a girovagare.

C’erano un sacco di persone che stavano comprando i regali di Natale. Quando chiedevano a una commessa un oggetto specifico, la sua prima domanda era sempre “Per un maschio o per una femmina?”. In molti negozi i giocattoli sono declinati al femminile e maschile grazie all’associazione con personaggi amati dai bambini e personaggi amati dalle bambine. Succede così per tutto, ad esempio anche per una chitarra giocattolo.

Ho fotografato i giochi dei due “reparti”.

Ho fotografato solo i giochi che nell’imballaggio rappresentavano chiaramente immagini di bambini.  I prodotti raccolti erano quelli più in evidenza.  Il packaging – lo sappiamo – è FONDAMENTALE per vendere un prodotto.

Giochi per bambine

  1. Bambolotto con kit per la piccola dottoressa – foto di bambina con grembiulino, in atteggiamento di cura
  2. Cucina con attrezzatura per cucinare – foto di bambina che mostra uno degli attrezzi inseriti nel kit (sembra un po’ un programma televisivo di promozione, lei sorride e ha i piedi incrociati, in posa)
  3. Lavatrice giocattolo – foto di bambina che tira fuori i panni appena lavati del proprio bambolotto
  4. Bambolotto con palestrina – foto di bambina che si prende cura del proprio bambolotto, facendo suonare i sonaglini in dotazione nella palestrina

Giochi per bambini

  1. Camion e lavori stradali – foto di bambino con faccia furba e capelli scompigliati, che gioca felice con il suo camion
  2. Macchine di cartone – foto di bambini che costruiscono le macchine e le dipingono usando la loro creatività
  3. fucile mitragliatore – foto di bambino con lo sguardo concentrato “da duro” che usa il suo fucile
  4. Set per portiere – foto di bambino che gioca a calcio in porta e para la palla
Premetto che non ho nulla contro le marche rappresentate e che la mia vuole solo essere una riflessione sui ruoli che – fin da piccoli – ci imponiamo, imponiamo ai nostri figli e ci vengono imposti.
Nella necessità di rispecchiamento con il mondo degli adulti che hanno i bambini e che passa attraverso il desiderio dei giochi di ruolo, mi sembra di capire che (di ruoli) ce ne siano di GRANITICI e che sovvertirli, quando arrivano a trasformarsi in giocattolo, sia veramente difficile.
Le bambine sono rappresentate come coloro che si occupano dei figli e che fanno i lavori domesticicucinano e usano lavatrici.
I bambini creano, fanno sport e costruiscono grazie a mezzi meccanici. I volti delle bambine sono sorridenti e esprimono dolcezza, quelli dei bambini sono furbi e esprimono la voglia di lanciarsi nell’avventura.
I bambini fanno giochi “aggressivi”, le bambine invece imparano ad accudire altri bambini e a tenere in ordine la casa.
E’ evidente che questi sono i giochi che “tirano”: sotto Natale sarebbe un suicidio non esporre in prima fila ciò che è più desiderabile per i nostri figli. E’ evidente che nella maggioranza delle famiglie è normale che le bambine giochino con alcune cose (tra cui la cucina e la lavatrice), mentre i maschi con altre (tra cui un fucile molto grosso).
E’ evidente che non vediamo correlazione tra questi giochi e distinzione di ruoli sociali che può diventare baratro nella costruzione di una relazione tra due persone, quando si cresce.
Il marketing che oggi si rivolge alle bambine così, poi si rivolgerà alle donne attraverso le pubblicità della Plasmon o quelle di 4salti in padella e agli uomini proporrà Amari davanti al camino, dopo la partita di caccia con gli amici o pubblicità telefoniche con il plus di tante tette.
E’ difficile sapere se è nato prima l’uovo o la gallina.
La pubblicità e i prodotti raccontano la società o contribuiscono anche a performarli, continuando a riproporre gli stessi stereotipi?
Noi genitori possiamo iniziare a parlare con i nostri bambini, proporre loro giochi che non siano fortemente connotati in questo modo e non spaventarci se un maschietto gioca con i pentolini o fare battute se la primogenita ama i camion.
Per quanto mi riguarda, anche da queste cose passa la mia responsabilità di genitore.
A proposito: alla cinquenne regaleremo un set per disegnare, visto che le piace tanto. E speriamo disegni tante facce colorate e diverse!

Pubblicità svilenti e offensive: come si segnalano?

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Non dobbiamo subire in silenzio (uomini e donne) gli stereotipi imposti da un certo genere di pubblicità che ha abdicato alla creatività a favore delle facili metafore sessuali.

Possiamo confrontarci e affrontare con determinazione chi produce contenuti che sviliscono l’immagine femminile, la cultura e l’immaginario collettivo contattando direttamente tutti coloro che sono coinvolti: pubblicitari, politici, televisioni.

Possiamo far emergere i casi emblematici affinché si allarghi la discussione e lo spirito critico, gli occhi nuovi con cui vedere a queste cose siano sempre di più: se la maggioranza delle pubblicità usa lo stesso messaggio che mercifica il corpo, dopo un po’ ci abituiamo, lo consideriamo normale. Ogni giorno un pezzettino di noi si assuefà e ci svegliamo una mattina che non riteniamo più di poter agire attivamente ma solo subire.

Se SMONTIAMO queste pubblicità, le guardiamo con occhi obiettivi ma critici e cerchiamo di cogliere TUTTI I SENSI contenuti in un determinato messaggio, ci accorgeremo che per fare pubblicità al caffè non serve ventilare ipotetici favori sessuali dell’immagine femminile mostrata sul manifesto. Non occorre, per vendere un telefono a Natale, trasformare Babbo Natale e le renne in pettorute ragazzine in posizioni invitanti.

Se SMONTIAMO i messaggi, ci accorgeremo che spesso le frasi associate alle immagini dicono molto più delle immagini stesse e che in maniera pervasiva, sottile ma costante, il messaggio va in una direzione ben precisa che è svilire la donna, il suo ruolo nella società e nelle relazioni con l’altro sesso, per ridurla a oggetto di desiderio o bramosa pantera che ha un unico obiettivo: accapparrarsi i favori dell’uomo.

Quando, dopo aver smontato una pubblicità o una trasmissione di questo genere, ci rendiamo conto che il caso è proprio questo:

POSSIAMO FARE QUALCOSA!

In una società matura è necessario che possano convivere le contraddizioni e le dicotomie e che si sviluppi la possibilità del confronto e della riflessione, anche in base ai punti di vista di coloro che non la pensano come noi.

Dato che l’obiettivo di questo progetto è soprattutto AMBIRE a questa società matura, in cui la questione culturale sia fortemente rivalutata e di cui l’immagine della donna (ormai monotematica) è la cartina di tornasole, quello che ci interessa è DIMOSTRARE che insieme possiamo fare molto, che LA RETE può dare voce anche alle persone come me (Francesca Sanzo che scrivo), a chi posta fotografie scattate al volo nella propria città e a tutti coloro che hanno voglia di fare qualcosa.

Se non vogliamo diventare censori possiamo diventare SEGNALATORI.

Istituto di autodisciplina publicitaria

Le pubblicità che offendono un gruppo di persone, un genere, una categoria in particolare possono essere segnalate, facilmente, all’Istituto di Autodisciplina pubblicitaria che prenderà in carico la nostra segnalazione e deciderà se quella campagna è davvero offensiva, obbligando, nel caso a rimuoverla dalle nostre città, da giornali e televisioni.  Riguardo alle donne, lo IAP ha stipulato un protocollo d’Intesa molto interessante.

E questo è il MODULO da compilare per le segnalazioni.

Dialogo

Esiste poi la possibilità di scrivere mail alle aziende coinvolte affinché sappiano che la cosa è emersa, che non abbiamo intenzione di stare in silenzio. Mail che devono richiamare al dialogo e far capire che oggi il potere del PASSAPAROLA è fondamentale per la buona riuscita o meno di qualsiasi prodotto, sia di comunicazione che commerciale.