Paolo Cognetti: autobiografia di uno scrittore e di un lettore

Paolo Cognetti firma "Le otto montagne"

Sabato scorso Paolo Cognetti – vincitore dell’ultimo Premio Strega – è arrivato a Bologna per presentare il suo Le otto montagne. Sono una grande estimatrice di Cognetti di cui, ancora prima di questo meritato successo, avevo letto le raccolte di racconti e un saggio illuminante sulla pratica della scrittura, A pesca nelle pozze più profonde, che cito sempre durante i miei corsi.

Anche se l’ho saputo all’ultimo secondo, mi sono catapultata all’Archiginnasio, una delle biblioteche più suggestive che abbiamo in città. C’erano almeno 200 persone e chi non aveva trovato posto a sedere come la sottoscritta, è rimasto comunque. Era tanto tempo che non ascoltavo una lectio magistralis come la sua, un lungo e appassionato racconto di come è arrivato alla lingua delle Otto Montagne e di come si è formato la propria cultura di lettore e scrittore. A gambe incrociate, seduta per terra, ho scarabocchiato qualcosa sul mio quaderno per tenere traccia di parole preziose, suggerimenti e citazioni: provo a fare una sintesi per condividere con te qualche spunto. 

Qualunque scrittore alle prime armi come me sa che lo spauracchio di un autore è quello di ritrovarsi a presentare il proprio libro davanti a nessuno: Paolo Cognetti ha aperto il pomeriggio ricordando di quella volta che era venuto a Bologna per presentare Sofia veste sempre di nero e davanti a lui c’era solo una signora che gli aveva detto di essere lì perché anche sua sorella vestiva sempre di nero. Mi ha fatto molta tenerezza e mi ha ricordato come tutto sia relativo e quanto l’impegno alla base del lavoro di chi scrive sia l’unica stella polare da tenere presente.

Arrivare alla lingua delle Otto montagne e alla forma narrativa del romanzo, di quel romanzo, è stato un percorso lungo, di crescita: fin da ragazzo, lo scrittore ha capito che voleva formarsi come lettore da autodidatta e ha cominciato a sperimentare, alla ricerca dei suoi gusti. È così che – passando per Bukowsky – è arrivato alla letteratura americana e in particolare alla forma del racconto.

Il racconto era la mia forma, perché c’è gioia e libertà e si può giocare per cercare la propria lingua. 

Credo che in On writing, S. King scriva che il racconto è la forma più adatta alla sperimentazione, perché se “sbagli” a costruirlo, se l’architettura non regge, hai più agio di sistemare, rimettere a posto pezzi e trovare una nuova dimensione ai personaggi e alla storia. Ecco che Cognetti, sabato, ci ha confermato che per lui funzionava allo stesso modo, per molto tempo il racconto è stato il luogo dove crescere come autore.

Carver, più di tutti, gli ha messo la voglia di provare a scrivere. Dice Cognetti che secondo lui ci sono degli autori che ti intimoriscono, specie quando parlano di scrittura, mentre ne Il mestiere dello scrittore di Carver sembra esserci una specie di invito alla prova, al mettersi in gioco che lui ha seguito fin da subito: il mito dello scrittore autodistruttivo, che crea sotto l’effetto di droghe e alcol ha lasciato ben presto il posto a un’idea della scrittura come lavoro, come disciplina, come impegno costante per migliorare, sia nei contenuti che nella forma. Ecco che Cognetti, ancora a Milano, si mette al computer tutte le mattine, si costringe alla pratica delle parole dalle 7 alle 9, fin quando non si accorge che la costanza disciplinata lo apre alla frustrazione tipica di chi scrive, di doversi confrontare con i propri limiti. Oggi l’autore delle Otto montagne scrive quando lavora a un libro, molte ore di seguito, ma mai per auto costrizione. 

Ne Manuale per ragazze di successo, la sua prima raccolta di racconti, Cognetti esplora i non luoghi, gli amori che nascono in autogrill e le zone franche delle storie, quasi volesse fare l’americano. 

Ci ho messo diverso tempo a trovare il mio mondo. 

A un certo punto l’amore per l’America si esaurisce e finisce anche il rapporto con Milano, città che lo svuota di energie: sceglie di trasferirsi in Val d’Aosta. Ecco dove trova la montagna e la sua dimensione. Arrivano Hemingway,  Thoreau, il Primo Levi de Il sistema periodico e la Natalia Ginzburg di Lessico familiare. Nel dopoguerra tutto accadeva nella città, mentre Cognetti va alla ricerca di letteratura degli spazi aperti, di montagna, ma sembra una tradizione mancante qui da noi. 

Mario Rigoni Stern è stata la scoperta di una lingua.

Fino alla nascita de Le otto montagne, Cognetti sente di non avere ancora trovato una sua lingua, che lo radichi in un luogo ma con Rigoni Stern inizia un percorso alla scoperta dei sostantivi. È Rigoni Stern quello che gli  insegna a svuotare, sottrarre, precisare e scegliere solo le parole necessarie. 

Ecco che mentre Cognetti parla, non posso evitare di pensare all’esattezza che invoca Calvino in Lezioni americane

Esattezza vuol dire per me, soprattutto, tre cose: 

  1. un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato; 
  2. l’evocazione d’immagini visuali nitide, incisive, memorabili; (…)
  3. un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione. 

La montagna diventa la stanza tutta per sé dello scrittore, comincia a cercare le parole che nominano i luoghi e tutte quelle che si stanno perdendo per strada. 

In Le Otto montagne ci sono dentro 20 anni di studio e scrittura. 

La scrittura non è sempre un atto gioioso: spesso ti mette di fronte a ciò che non sai fare, alla frustrazione di non arrivare al nocciolo di quello che vorresti scrivere, Cognetti ha bisogno di silenzio, cerca una dimensione e la trova in Val d’Aosta e in un pomeriggio di inizio autunno ci regala uno squarcio sul mestiere dello scrittore, ma anche quello del lettore, facendoci sentire tutti in grado di andare alla ricerca della nostra dimensione verbale. 

Era tanto tempo che non sentivo quell’afflato al miglioramento, al volere imparare, leggere, scrivere meglio, grazie alle parole di un uomo che un tempo presentava libri a “pochi intimi” e ora riempie lo Stabat Mater di Bologna. 

Grazie. Sono uscita per incontrare alcuni amici per cena e abbiamo passato la prima mezz’ora a parlare di libri, di montagna e di lingua e io ero piena di energia “magica”. 

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