È così importante sapere se un libro autobiografico è vero? A margine del Premio Strega

Una delle cose che possono succedere quando si scrive un libro autobiografico, è che le persone pretendano (o suppongano) che chi scrive incarni il libro. Sempre. Se poi in quel libro ci metti pezzi di storia italiana (li infili a tradimento o esplicitamente, ammantandoli del dubbio o lasciandoli scorrere come fossero cosa indiscutibile), li condisci con la descrizione di un’infanzia nel lusso e ci infili tutte le tue ipocondrie, ecco che il mix bomba divide i lettori in chi commenta la qualità del testo e in chi giudica la persona, pensando di conoscerla attraverso ciò che ha scritto.

Sto seguendo con interesse “il caso” Teresa Ciabatti, che con La più amata, il suo ultimo romanzo (memoir a metà strada tra finzione e autobiografia) è arrivata seconda al Premio Strega 2017. Mi interessano i commenti, la trafila di critiche  e tutto ciò che sta intorno al testo e che l’autrice stessa dissemina online e in interviste a riviste e a quotidiani. 

Mi interessa l’intreccio che la Ciabatti è riuscita a creare tra realtà e finzione e il personaggio che un momento fortifica (lo stesso che troviamo nel libro) e quello successivo rinnega (è solo un personaggio). [Approfondisci con “Nel mio libro metto a nudo me stessa e la mia famiglia” fonte Liberiamo]

Ma soprattutto mi ha intrigato come – da parte di molti – siano stati confusi il giudizio sull’opera e quello sulla persona Ciabatti. Ho infatti letto molti commenti critici che puntavano più alla persona che all’opera (Ciabatti si dipinge ruvida e antipatica, ma soprattutto ricca, colpa inammissibile in Italia). 

Ma partiamo dall’inizio: il Premio Strega 2017 lo ha vinto Le 8 montagne di Paolo Cognetti e io sono felice, perché l’ho trovato un libro molto più completo e arioso de La più amata . Quest’ultimo l’ho trovato farcito di piccoli stereotipi storici, disseminato di immagini  da telefilm anni ’80 (l’anello con il simbolo della Massoneria, i prodotti dimagranti di Wanna Marchi, ecc.) e di personaggi poco credibili. La Teresa Ciabatti protagonista è una persona piena di ansie, paranoie, talmente insicura da mostrarsi vanitosa e certa della propria superiorità: pur avendo riconosciuto in lei alcuni tratti di un’adolescenza che è stata anche la mia, non sono riuscita a empatizzare perché la sua fragilità è granitica, dipinta quasi come se fosse l’archetipo della fragilità e non qualcosa di mobile, vivo, umano. Insomma: anche se la storia è una storia vera (e poco importa) io l’ho trovata poco credibile e se una storia non la sento come credibile, un libro non riesce a entrarmi dentro. La sintassi poi è artificiosa: qualcuno sostiene che è il suo stile, a me ha fatto l’effetto di qualcosa di costruito in maniera fin troppo evidente per risultare naturale. È come se la lingua e la costruzione prendessero il sopravvento sull’autore, senza che fossero la sua voce viva. 

Detto questo, provo stima per l’autrice Ciabatti che ha fatto una scelta coraggiosa e continua a vivificare (anche in un articolo comparso oggi sul Corriere) il personaggio che ha creato, in un continuo gioco di specchi tra fiction e realtà. 

Credo quindi che La più amata sia un libro da leggere e che “il caso” Ciabatti possa far nascere numerose riflessioni. È così importante sapere se la Teresa Ciabatti personaggio è aderente alla Teresa Ciabatti autrice? Ai fini dell’esperienza di lettura, di quello che possiamo imparare da un libro e di come possiamo giudicarlo – secondo i nostri gusti – serve sapere quanto c’è di vero in un libro? 

Io credo che il fascino della scrittura autobiografica risieda proprio in questo: tutti possiamo manipolare la memoria per raggiungere un duplice obiettivo, da una parte trasmettere un messaggio, dall’altra imparare dal nostro passato, modificarlo, trasformarlo in un emblema da cui imparare per il futuro. Anche il protagonista de Le otto montagne di Cognetti è finzionale/autobiografico: ho avuto il piacere di ascoltarlo raccontare del suo rapporto con il padre e di come ha ricostruito una relazione con la montagna, durante un incontro a la Repubblica delle Idee, a giugno, qui a Bologna e ne scrive anche in A pesca nelle pozze più profonde, il suo saggio sulla scrittura. 

Vado oltre: è così importante sapere quanto di vero c’è in un post su facebook? Ognuno di noi, quando usa i social o scrive per un blog, commette sempre la stessa “frode letteraria”, costruisce un mini mondo in cui seleziona ciò che narra online di sé, lo ricostruisce per un fine e se è bravo, riesce a costruire un’identità online fondata sull’onestà, la spontaneità e i propri valori senza dover per forza raccontare TUTTO. Quando ci raccontiamo, siamo sempre qualcosa che esce dalla realtà e entra in quel territorio affascinante della finzione e dello storytelling. Quelli di noi che riescono a coinvolgere un maggior numero di lettori, ci riescono perché hanno la capacità di raccontare la storia di tutti attraverso la propria. 

Ecco allora che la Ciabatti è un ottimo esempio di come la letteratura e la memoria si leghino, giochino l’una con l’altra e siano le due facce della stessa medaglia: la vita che per avere un senso, va raccontata, tramandata, compresa. Anche attraverso la finzione. 

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