Praxis: dal dire al fare

Buone prassi: se ne parla spesso ma siamo sicuri di applicarle?

Non è facile: chiunque ci abbia provato in nome di un ideale ma anche solo di un obiettivo professionale o sociale, lo sa. Le buone prassi si scontrano con la diversa definizione che ciascuno di noi dà alle cose, con le differenti modalità che ciascuno di noi mette dentro alle idee.

Ma partiamo dall’inizio con un’operazione linguistica.

Prassi deriva dal greco Praxìs. Il Dizionario del Corriere ne offre questa definizione:

  • 1 Attività pratica, contrapposta, sia in filosofia che nel l. com., alla teoria
  • 2 estens. Modo di procedere adottato, per consuetudine, in un’attività:seguire la p. consueta
  • • a. 1829

Dunque la prassi si contrappone alla teoria  e riguarda AZIONI concrete volte alla realizzazione di qualcosa di pratico e durevole (consuetudinario).

Forse da questo dovremmo partire, dal fatto che ogni teorizzazione a monte di una prassi rischia di mangiarsi la prassi stessa, perché proprio in quanto teorica non può tenere conto della realtà e di quello che possiamo incontrare sulla nostra strada.

Se penso a buone prassi, credo che quelle realmente durevoli e buone (e realmente concrete) sono SUCCESSE prima ancora che essere TEORIZZATE. Forse proprio il loro accadere senza essere imbrigliate dentro a una teorizzazione troppo rigida le ha rese concrete e virtuose.

Non è un discorso vizioso quello che voglio fare, ma è pur vero che nel momento stesso in cui in tanti ne scriviamo, il rischio può essere quello di lasciarci andare a elucubrazioni teoriche che poco hanno a che fare con la prassi. E’ pur vero che in un paese al palo, proprio perché le uniche prassi valorizzate dall’immaginario collettivo sono quelle che portano vantaggio al singolo rispetto alla comunità, è giusto parlarne e raccontare – in uno storytelling collettivo che permetta di definire anche un immaginario differente.

Le buone prassi che mi vengono in mente e che oggi voglio testimoniare sono fondamentalmente 2 e riguardano gruppi umani molto limitati, ma certamente che possono essere di exemplum per modi.

I genitori della scuola materna di mia figlia

Senza un accordo preventivo ma in maniera molto naturale e spontanea, tra genitori della classe di mia figlia ci diamo una mano a vicenda. Quando uno di noi ha problemi di lavoro, ritardi o impegni improrogabili, invece di affidarsi al buon cuore di una baby sitter, sa naturalmente che può affidarsi alla rete degli altri genitori. I bambini trascorrono il pomeriggio insieme, dopo la scuola e la gestione interna diventa molto più fluida.

Questo sistema – assai semplice – di af-fidarsi ad altre persone con cui condividi la scuola e che abitano il tuo stesso quartiere si è dimostrato vincente per molti motivi

  1. I bambini si sono legati molto
  2. I genitori stanno tranquilli
  3. Non si spendono soldi extra per la cura spot del proprio bambino (e in tempi di crisi direi che non è un motivo secondario, anche se molto prosaico)
  4. I genitori si sono a loro volta uniti
L’unione dei genitori ha permesso in questi 2 anni e mezzo di sviluppare rapporti di amicizia e – in alcuni casi – collaborazioni professionali. Il geometra ha bisogno di un sito? Si rivolge al mio compagno che li fa. Il musicista deve ristrutturare casa propria? Parla con il geometra. E così via. Non mi sembra poco in un momento storico come questo.
Senza parlare delle bene cene e serate che passiamo tutti insieme.
La rete bolognese #Bologna
In questi ultimi mesi mi sono resa conto che a Bologna FACCIAMO rete. Ho volutamente messo l’accento sulla concretezza del fare. Tra associazioni, persone che si occupano di cittadinanza attiva a vario titolo, professionisti della comunicazione e della cultura stanno succedendo delle cose. Creiamo momenti di incontro e confronto sui temi caldi della città, organizziamo eventi molto pratici e concreti, come per esempio NPDonne, cerchiamo di mettere in circolo buone idee e prassi, usando quel potente mezzo che è Twitter, che funziona come aggregatore di temi e di persone senza indebolire le differenze.
Non ci siamo messi d’accordo nemmeno in questo caso, semplicemente è successo. L’obiettivo comune (fare qualcosa di concreto per la nostra città) raduna persone e associazioni le quali mettono ciascuna le proprie competenze e il proprio valore differenziale aggiunto. La potenza di questa rete è che non è esclusiva e tende a crescere ogni giorno in maniera liquida e non strutturata.
Ecco, a pensarci bene credo che le prassi diventino buone quando sono davvero tarate sulle esigenze concrete. Si attivano per risolvere dei problemi in maniera innovativa e non strutturata teoricamente. A voi sembrerà una banalità ma io ci ho messo molto tempo per capirlo e farlo mio. Strano, perché la Rete, gli ecosistemi digitali e sociali del web funzionano allo stesso modo: laddove c’è un’efficacia condivisa nell’uso vanno avanti e si trasformano secondo quello che gli utenti ci riconoscono dentro. Lo stesso Twitter e il modo in cui, nel tempo, si è modificata la sua sintassi, ne sono un ottimo esempio.
Secondo me dobbiamo parlarne di buone prassi, ma anche non troppo. A seconda del contesto, bisogna individuare la carenza, il vuoto, ciò di cui si sente una necessità e cominciare a operare per trovare una soluzione. Ci accorgeremo presto di non essere soli e che la nostra soluzione non è l’unica ma che tra tante soluzioni diverse può nascere una condivisione che porta a perfezionare l’idea e a risolvere il problema.
Non tutti individuiamo le stesse criticità: l’ascolto reciproco, il rispetto dell’idea di ognuno e la volontà di fare, sono già per se stesse ottime prassi.
A cui tristemente, tanto poco, siamo abituati.
Concludo dicendo che la Rete è un mezzo potente per il passaparola ma che non possiamo concludere la buona prassi nella discussione. Mi auguro (prima di tutto per me stessa) che questa occasione sia importante per una riflessione che non venga scambiata per operatività. Qui si scrive, le prassi si attivano tra e con le persone.
[Ho scritto questo post per contribuire a una buona idea di Mammamsterdam e del gruppo DonnexDonne. Per una volta ho voluto interpretare l’invito a parlare di “pluralità dei generi” considerando per “generi” quelli che si riferiscono alle prassi. Esistono molti generi di prassi!]
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3 commenti
  1. Mariantonietta dice:

    Mi piace l’idea della narrazione che consente di ridefinire l’immaginario. La trovo molto interessante e concreta. Circa le buone prassi, mi chiedo quanto incida il contesto.

    Nella mia esperienza, non nascono spontaneamente e neanche quando cerchi di organizzarle.

    Forse in alcuni luoghi la prassi deve essere preceduta dall’immaginario.

  2. Mammamsterdam dice:

    Francesca, innanzitutto grazie per aver risposto così al volo a quest’appello di riflessione. A me quello che piace e che riconosco profondamente mio nel tuo discorso è proprio quella spontaneità del farsi da sé delle prassi dove ci sia un’ esigenza concreta. Anche qui però sono d’accordo con Mariantonietta quando parla del contesto.
    E qui credo che l’ anello mancante sia costituito dalla massa critica minima perché la prassi si faccia.
    Per esempio, se nel nostro gruppo l’ esigenza pratica del darsi una mano in caso di imprevisti è solo di pochissimi (fai finta che gli altri abbiano nonni, zie, tate o non abbiano grandi impegni di lavoro) capisci che la prassi non si fa, perché una tantum un favore lo chiedi e te lo fanno, ma poi soprattutto chi ha bisogno più spesso si pone il dubbio del non approfittare e quindi la cosa non parte e non marcia da sé. Viceversa, se la cosa cominica e si contraccambia spontaneamente, alla fine viene fagocitato anche chi non ha magari bisogno spesso che gli si riprendano i bambini dall’ asilo, ma partecipa alle cene, agli appuntamenti, ai giochi e quindi i suoi di figli vanno anche a casa degli altri.
    Questo da noi si è anche molto sviluppato nel vecchio quartiere e ne sono nate amicizie che continuano anche se viviamo tutti sparsi e ci vediamo quelle 4 volte l’ anno ai compleanni, e con figlio piccolo che ha cambiato scuola due settimane fa tutto questo ancora non si crea, cara grazia se ho scambiato due parole con una madre molto disponibile e ne riconosco un’ altra. Inizierò io offrendomi di fare cose per la scuola con gli altri genitori perché così si comincia, ma ci vuole il suo tempo.
    Però finchè non ti ci trovi e non vedi quali sono i piccoli accorgimenti per dar via a qualcosa, forse spesso no si ha il coraggio di iniziare, ci vuole sempre qualcuno che fa da trigger, o lancia un’ idea che ha visto che funzionava in altri contesti, o che semplicemente era talmente sprovveduto, come ho letto una citazione giorni fa, da non sapere che quelle cose non si possono fare e l’ ha fatta prima di capirlo.
    Insomma, anche la valanga ha bisogno del sassolino per partire. Visto che sei la prima ad accogliere questo invito, il sassolino stavolta sei tu. Grazie.

  3. circodipulci dice:

    Io ti porto un esempio lavorativo. Osservo e apprezzo da qualche tempo l’Associazione piuconzero.it, che in campo culturale si propone di mettere in rete le competenze dei membri (associazioni culturali piemontesi) e compensare in questo modo la scarsità di risorse esterne con la ricchezza dei know-how integrati. Tutti i soci sono tenuti a mettere a disposizione un monte ore di competenze, contestualmente all’adesione all’associazione. Il settore culturale lo si immaginerebbe già ampiamente colonizzato da analoghe prassi di mutuo soccorso. Invece questo primo tentativo organico e ampiamente teorizzato dai promotori, mi pare si scontri, nella pratica, con molteplici difficoltà legate all’individualismo e alla diffidenza degli operatori. Discutendone fra colleghi, spesso chi più trarrebbe beneficio da far parte di una simile rete, più se ne tiene a margine proprio per la difficoltà a interiorizzare il modello di rete, con il quale ha poca dimestichezza.
    Chi già lo faceva ha trovato una realtà che organizzasse e ne potenziasse le possibilità, chi è isolato tende a rimanerlo.
    In sintesi, il progetto è nato dal riconoscimento di una prassi e dalla sua teorizzazione, ma l’averla strutturata e organizzata ha reso, in parte, l’idea più esposta e debole, almeno inizialmente (per quanto molto ammirata).
    Come uscire dal loop prassi/teoria?

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